Cos’è che non va, forse il suono?
Nel limbo ci sei stato e nell’averno
e tra i postriboli o le torri telecomandate.
Non vedi che l’organo suona per te
ingresso senza biglietto né stola
e quelle braccia tese sul legno madre
sono le tue e di chiunque abbia capito il seme.
Pastorale larga che sale e secerne latte
a fontane chiare e su ogni pietra divelta.
Il mio loculo è un participio passato
ricurvo sul delta d’arrivo. Travertino di risulta.
Nel confessionale (vuoto) recito a soggetto
senza costrizioni e ceri accesi né paternali.
– Spalle strette, petto nudo, mani giunte -.
Comprendersi tra Croce e croce il diluvio,
questo sillabario che aggiunge nuovi grani.
Misura trentotto passi la navata centrale,
dal transetto alla porta grande: scarpe lente.
Vorrei non uscire dal tempio, dall’incenso.
Il canto gregoriano affoga le caviglie e veste
le costole d’un nuovo abbrivio.
Ogni nota d’organo allarga la mia gabbia d’ossa.