
Sul palco della vita
“Non so se mi prenderanno, ma ci provo. Non è la prima volta. E anche se devi stare immobile, è comunque tutta esperienza. La scocciatura è che per la selezione spesso ti tocca rimanere in fila per ore, ma intanto si chiacchiera e il tempo passa. E poi, se hai fortuna, ti scelgono …” (Ferzan Ozpetek, Cuore nascosto).
Le frasi cariche di aspettativa, anche se a tratti sconfortanti, sono quelle che il regista Ozpetek fa dire ad uno dei personaggi del suo ultimo romanzo, una ragazza che vorrebbe diventare attrice. Aspirare ad una professione in campo teatrale o cinematografico è comune a molte/i giovani; il desiderio di mostrare il proprio talento, di valorizzare ciò per cui si sentono portate/i, di dare spazio al proprio mondo interiore è ciò che spinge tanti e tante ad intraprendere una strada certamente non semplice, che porterà a collezionare rifiuti, sperimentare situazioni cui in precedenza non si era abituate/i, conoscere la delusione.
È dal mondo della recitazione, sia essa teatrale oppure cinematografica, che vorrei trarre spunto per qualche breve considerazione – leggera, ma non troppo. Il nostro quotidiano è attraversato ormai da una varietà di messaggi, siano essi notizie, informazioni, pubblicità ma anche contenuti di tipo diverso: ad esempio, il fenomeno delle cosiddette ‘serie’ (in televisione o sulle piattaforme a pagamento) ci ha contagiato, molte/i di noi si sono appassionate/i e le seguono con interesse; in cambio questi ‘prodotti’ offrono a chi li guarda relax, divertimento, pausa dalle tensioni.
Con il rispetto dovuto a quante/i si impegnano nel campo della realizzazione di queste opere (film, drammi, serie tv) non va dimenticato che questa forma d’arte appartiene alla storia, anzi nasce con la civiltà umana: si pensi al teatro antico il cui scopo non è mai stato un divertimento fine a sé stesso bensì quello di creare consapevolezza nel pubblico, trasmettere valori ed insegnamenti. La peculiarità dello spettacolo teatrale – ma la si può rintracciare anche in quello cinematografico – l’ha espressa bene William Shakespeare nelle sue opere. Un esempio lo possiamo trarre da Romeo e Giulietta:
-“Taci, Mercuzio, taci: tu parli di niente!
– È vero, io parlo dei sogni, che sono figli di un cervello ozioso, generati da nient’altro che da una fantasia vana che è di una sostanza sottile come l’aria e più incostante del vento …” (Atto I, sc. IV).
È Romeo, uno dei protagonisti della tragedia, ad apostrofare il fraterno amico Mercuzio, biasimandolo per la sua abitudine a raccontare ‘storie’; ma l’interlocutore gli risponde difendendo la propria posizione: “Io parlo dei sogni”. Il personaggio di Mercuzio è in effetti un ‘attore’, che ama giocare con le parole per esprimere la propria anima.
I sogni che il teatro (o il cinema) veicola sono patrimonio di ogni persona, colpiscono emotivamente il pubblico ma appartengono anche a tanti/e giovani che aspirano a calcare un giorno il palcoscenico o un set cinematografico. Che ne sarà dei loro sogni? Sono destinati a restare vani ed incostanti come li definiva Shakespeare? Può darsi, e nella realtà – con cui dobbiamo sempre fare i conti – essi sono condizionati dal cosiddetto fenomeno delle call back [pro- nuncia: col-bech].
L’espressione inglese – efficacissima nella sua sinteticità – sta ad indicare la risposta ‘positiva’ ad un provino, ad una selezione per ottenere la parte in uno spettacolo. Nel mondo dell’arte, si sa, si utilizza un linguaggio convenzionale: call back è un verbo che letteralmente traduce ‘richiama- re’, intendendo ovviamente che in precedenza ci sia stato un contatto, una conversazione op- pure un colloquio o esame che dir si voglia. Linguisticamente il verbo è neutro: ‘richiamare’ vuol dire effettuare una chiamata in risposta ad una pregressa interlocuzione, ma senza indicarne né il motivo né l’esito. Nel campo della recitazione e, più in generale, delle performance artistiche call back è un secondo invito che un attore o un’attrice riceve per presentarsi ad un provino; si tratta spesso della risposta ufficiale che indica l’attribuzione di un ruolo nello spettacolo, la conferma al/alla giovane aspirante ad una parte che essa gli/le è stata conferita. Le call back, dette anche ‘audizioni di richiamata’, intendono approfondire le precedenti e costruire il ruolo anche in base alle caratteristiche mostrate dagli/dalle aspiranti.
Quante persone, noi compresi, attendono una call back dalla vita? Cosa ci differenzia da queste/i giovani che si cimentano nei provini e con perseveranza e studio tentano di dare il meglio di sé, di trasmettere emozioni e suggestioni, aiutarci a comprendere noi stessi e il mondo che ci circonda? Riconosciamolo questo ruolo, rifuggendo da quelle banalizzazioni di cui essi/e stessi/e sono consapevoli e con autoironia stigmatizzano: “… finché non sei famoso, finché non ti vedono in tv o da qualche altra parte che conferisca prestigio ai loro occhi, per la gente normale recitare non è un lavoro. No. Per le persone sei solo un nullafacente, sei considerato un parassita” (Pierpaolo Spollon, Tutto non benissimo).☺