Troppe parole vuote
27 Gennaio 2018
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Troppe parole vuote

Un’interessante proposta di Timothy Garton Ash potrebbe risultare proficua per il Molise in questi estenuati (ed estenuanti!) tempi di campagna elettorale: lo scrittore inglese vorrebbe indire un Anno (Europeo) del silenzio.

Quale miglior proposito da scrivere nella lista delle cose da fare per il nuovo anno?

È tradizione dei paesi anglosassoni, nella sera del 31 dicembre, prima dei festeggiamenti d’obbligo, sedersi alla scrivania e stilare con serietà un elenco di ciò che si vorrebbe attuare, o cambiare, nella propria vita lungo i dodici mesi che stanno per cominciare. Un po’ seduta di autoanalisi, un po’ incrollabile speranza che dopo tutto sia ancora possibile modificare qualcosa nell’esistenza, anche quando molto di essa è già fuggita, un po’ rito divertente da condividere con amici.

Provare a redigere una lista simile, guardando al lato pubblico e non a quello privato della nostra vita, è indubbiamente attività rischiosa; dopo dieci minuti ci troveremmo sommersi dai punti che non vanno, e rischieremmo di scrivere una lista dei sogni, attività deprimente se, come sempre succede, la metti poi a confronto con la realtà.

Però se volessimo provare a scrivere l’elenco dei buoni propositi locali, il silenzio sarebbe senz’altro al primo posto: non un silenzio qualsiasi, però; dovrebbe essere un silenzio rumoroso, che soffocasse con un boato tutte le parole in libertà risuonate in questi anni a Termoli e in regione, e stendesse poi ovunque una coltre di assenza di rumore. In modo che dopo una disintossicazione dello spirito potessero nascere suoni meno inutili.

Per esempio, il silenzio dovrebbe avvolgere le motivazioni inconsistenti e offensive che hanno negato il referendum a Termoli, e cancellare gli strilli striduli del “dibattito pubblico” farsa. Come un cancellino sulla lavagna dovrebbe eliminare i lessemi “riqualificazione” e “mobilità sostenibile”, e portarsi via le bugie sui fondi non destinabili alle strade cittadine ridotte a colabrodo.

Potrebbe spegnere i “non so” e “è tutto in ordine” sul depuratore in pezzi, le rassicurazioni sulla balneabilità del nostro mare, le strampalate dichiarazioni di certi personaggi sul costruendo teatro più grande del Mezzogiorno, affacciato sull’Adriatico, le convinte asserzioni che privato sia meglio di pubblico.

E non sarebbe male se fosse un silenzio talmente assordante da soffocare le tante volte che abbiamo ascoltato i nostri amministratori regionali vantarsi della distruzione della sanità pubblica e della privatizzazione dell’acqua, promettere il completamento degli acquedotti, mascherare responsabilità e incapacità nella gestione delle crisi occupazionali, negare il lento spegnimento di questa terra nella quale non c’è giovane che resti a spendere qui le competenze che qui, nonostante la politica, ha acquisito, nascondere le autorizzazioni a gasdotti e trivelle che si lasceranno dietro solo macerie ambientali, svendendo il territorio per una manciata di euro.

Il silenzio che fin qui è servito solo a far passare sottotraccia decisioni non condivise diventerebbe, allora sì, un’arma di democrazia.

Ma prima di tutto dovrebbe far scomparire le parole orrende che negano diritti e accoglienza ai migranti, che ultimamente hanno fatto risuonare accozzaglie razziste di suoni e proclami convinti sul- la necessità di difendere i figli dall’ invasione prevista nelle zone del terremoto.

Ora poi è tempo di promesse elettorali, di assunzioni a orologeria, di magnifiche sorti e progressive; ora dunque il silenzio sarebbe davvero un dono divino. Se con un colpo di bacchetta magica potessimo togliere il sonoro a tutti i nostrani Soloni che si apprestano, in televisione o dal vivo, a proferire promesse per qualsiasi stagione (casalavoroprogressoeconomicosicurezzaindustrieambienteincontaminato), riusciremmo forse a riavvicinarci alla politica. Se invece delle parole si potesse, nel silenzio, valutare le azioni, magari un po’ non dico di fiducia, ma almeno di sospensione del giudizio potremmo accordarla, ai nostri amministratori locali presenti e futuri.

Perché le parole sono davvero pietre, e come tali andrebbero trattate; ricordando che non sono palline di gomma da far roteare con abilità di giocolieri, ma corrispondono a concetti precisi, sui quali chi ha, o si propone di assumere, la responsabilità della res publica dovrebbe riflettere. E autolimitarne l’uso.

Perché i cittadini, spesso, hanno buona memoria. E anche se per ora sono pochi quelli che chiedono conto delle parole pubbliche, possiamo sperare che aumentino. E che si mettano insieme. Per cui chiediamo anche noi silenzio; magari non per un anno, no. Ma per un tempo sufficiente ad elaborare un altro alfabeto, che suoni meno falso e meno contorto; e che sia soprattutto più pubblico, più condiviso, più partecipato.

Perché con il silenzio ci torni la voglia di immaginare insieme un futuro giusto.☺

 

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