Tra le consuetudini non cristiane, che ancora resistono nelle nostre celebrazioni natalizie, vi è quella, di origine celtica, di regalare un ramo di vischio, da appendere alla porta di casa e sotto cui scambiarsi un bacio di buon auspicio. In un brano della sua Naturalis historia, Plinio il Vecchio ne descrive il rito della raccolta, affidata ad un sacerdote, che, vestito di bianco, scalzo e digiuno, saliva sull’albero a tagliarlo con un falcetto d’oro. Plinio aggiunge che i Celti indicavano il vischio come “la pianta che guarisce tutto” e gli attribuivano un grande potere: essendo una pianta aerea, che non ha radici ma vive attaccata al tronco di altri alberi, era considerata una manifestazione degli dei che vivono in cielo e dunque un simbolo di vigore, di rigenerazione e di rinnovata speranza per iniziare il nuovo ciclo dell’anno.
Ma, oltre al ramo di vischio, c’è un altro dono “che guarisce tutto”, ed è il libro, il migliore dei regali. Per esempio un libro di poesia, dato che se ne legge sempre meno. Per esempio il libro delle poesie di Giovanni Giudici, pubblicato nei “Meridiani” Mondadori nel 2000, con il titolo I versi della vita, e poi, in versione economica, negli “Oscar” Mondadori nel 2014, con il titolo Tutte le poesie. Sostiene infatti il critico Alfonso Berardinelli che la poesia di Giudici possiede “una dote abbastanza rara. Sta in piedi da sé, non ha bisogno di puntelli e di giustificazioni. Non richiede particolari istruzioni per l’uso né allude a sofisticati presupposti di poetica”.
Scomparso nel 2011, Giudici è una delle voci più interessanti della poesia del secondo Novecento. Come suggerisce il titolo della raccolta a mio avviso più bella, La vita in versi, ha cantato in versi la vita quotidiana, con il lavoro, la famiglia, le conversazioni, le faccende familiari, i problemi comuni. Ha trasformato così in poesia la prosa di ogni giorno, con uno stile ironico e brillante nella sua semplicità. Nei suoi testi la lingua del poeta si incontra con quella del lettore, il quale può facilmente rispecchiarsi nelle forme realistiche che assumono i gesti sempre uguali di ogni giorno, la routine delle occupazioni domestiche. Per esempio in questi versi tratti da Una sera come tante, una delle poesie più originali ed efficaci: “Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura / che dice: domani, domani… pur sapendo / che il nostro domani era ieri già da sempre”. Un invito indiretto, tra i ripiegamenti delle nostre disillusioni e le viltà dei nostri autoinganni, a non rinviare al domani i momenti di ritrovata energia – come quella che può regalare un ramo di vischio.
Tra le consuetudini non cristiane, che ancora resistono nelle nostre celebrazioni natalizie, vi è quella, di origine celtica, di regalare un ramo di vischio, da appendere alla porta di casa e sotto cui scambiarsi un bacio di buon auspicio. In un brano della sua Naturalis historia, Plinio il Vecchio ne descrive il rito della raccolta, affidata ad un sacerdote, che, vestito di bianco, scalzo e digiuno, saliva sull’albero a tagliarlo con un falcetto d’oro. Plinio aggiunge che i Celti indicavano il vischio come “la pianta che guarisce tutto” e gli attribuivano un grande potere: essendo una pianta aerea, che non ha radici ma vive attaccata al tronco di altri alberi, era considerata una manifestazione degli dei che vivono in cielo e dunque un simbolo di vigore, di rigenerazione e di rinnovata speranza per iniziare il nuovo ciclo dell’anno.
Ma, oltre al ramo di vischio, c’è un altro dono “che guarisce tutto”, ed è il libro, il migliore dei regali. Per esempio un libro di poesia, dato che se ne legge sempre meno. Per esempio il libro delle poesie di Giovanni Giudici, pubblicato nei “Meridiani” Mondadori nel 2000, con il titolo I versi della vita, e poi, in versione economica, negli “Oscar” Mondadori nel 2014, con il titolo Tutte le poesie. Sostiene infatti il critico Alfonso Berardinelli che la poesia di Giudici possiede “una dote abbastanza rara. Sta in piedi da sé, non ha bisogno di puntelli e di giustificazioni. Non richiede particolari istruzioni per l’uso né allude a sofisticati presupposti di poetica”.
Scomparso nel 2011, Giudici è una delle voci più interessanti della poesia del secondo Novecento. Come suggerisce il titolo della raccolta a mio avviso più bella, La vita in versi, ha cantato in versi la vita quotidiana, con il lavoro, la famiglia, le conversazioni, le faccende familiari, i problemi comuni. Ha trasformato così in poesia la prosa di ogni giorno, con uno stile ironico e brillante nella sua semplicità. Nei suoi testi la lingua del poeta si incontra con quella del lettore, il quale può facilmente rispecchiarsi nelle forme realistiche che assumono i gesti sempre uguali di ogni giorno, la routine delle occupazioni domestiche. Per esempio in questi versi tratti da Una sera come tante, una delle poesie più originali ed efficaci: “Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura / che dice: domani, domani… pur sapendo / che il nostro domani era ieri già da sempre”. Un invito indiretto, tra i ripiegamenti delle nostre disillusioni e le viltà dei nostri autoinganni, a non rinviare al domani i momenti di ritrovata energia – come quella che può regalare un ramo di vischio.
Tra le consuetudini non cristiane, che ancora resistono nelle nostre celebrazioni natalizie, vi è quella, di origine celtica, di regalare un ramo di vischio, da appendere alla porta di casa e sotto cui scambiarsi un bacio di buon auspicio. In un brano della sua Naturalis historia, Plinio il Vecchio ne descrive il rito della raccolta, affidata ad un sacerdote, che, vestito di bianco, scalzo e digiuno, saliva sull’albero a tagliarlo con un falcetto d’oro. Plinio aggiunge che i Celti indicavano il vischio come “la pianta che guarisce tutto” e gli attribuivano un grande potere: essendo una pianta aerea, che non ha radici ma vive attaccata al tronco di altri alberi, era considerata una manifestazione degli dei che vivono in cielo e dunque un simbolo di vigore, di rigenerazione e di rinnovata speranza per iniziare il nuovo ciclo dell’anno.
Ma, oltre al ramo di vischio, c’è un altro dono “che guarisce tutto”, ed è il libro, il migliore dei regali. Per esempio un libro di poesia, dato che se ne legge sempre meno. Per esempio il libro delle poesie di Giovanni Giudici, pubblicato nei “Meridiani” Mondadori nel 2000, con il titolo I versi della vita, e poi, in versione economica, negli “Oscar” Mondadori nel 2014, con il titolo Tutte le poesie. Sostiene infatti il critico Alfonso Berardinelli che la poesia di Giudici possiede “una dote abbastanza rara. Sta in piedi da sé, non ha bisogno di puntelli e di giustificazioni. Non richiede particolari istruzioni per l’uso né allude a sofisticati presupposti di poetica”.
Scomparso nel 2011, Giudici è una delle voci più interessanti della poesia del secondo Novecento. Come suggerisce il titolo della raccolta a mio avviso più bella, La vita in versi, ha cantato in versi la vita quotidiana, con il lavoro, la famiglia, le conversazioni, le faccende familiari, i problemi comuni. Ha trasformato così in poesia la prosa di ogni giorno, con uno stile ironico e brillante nella sua semplicità. Nei suoi testi la lingua del poeta si incontra con quella del lettore, il quale può facilmente rispecchiarsi nelle forme realistiche che assumono i gesti sempre uguali di ogni giorno, la routine delle occupazioni domestiche. Per esempio in questi versi tratti da Una sera come tante, una delle poesie più originali ed efficaci: “Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura / che dice: domani, domani… pur sapendo / che il nostro domani era ieri già da sempre”. Un invito indiretto, tra i ripiegamenti delle nostre disillusioni e le viltà dei nostri autoinganni, a non rinviare al domani i momenti di ritrovata energia – come quella che può regalare un ramo di vischio.
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