Una leggendaria pianta mediterranea
10 Marzo 2018
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Una leggendaria pianta mediterranea

Il leccio – Quercus ilex della famiglia delle Fagacee – è la tipica quercia mediterranea, pianta antica dalle tante leggende, che ha in sé mille particolarità e che resiste alle alte e basse temperature.

Secondo l’ipotesi più accettata, il nome del genere, Quercus, deriverebbe da due vocaboli di origine celtica: kaer = quer = bello; e cuez = albero; dunque, “bell’albero”. Il nome della specie, ilex, sarebbe legato alla radice greca hùlē = selva. Ilex, ilĭcis è anche il nome con cui i Romani indicavano l’agrifoglio (Ilex aquifolium, vd. la fonte n. 11 del 18/12/2005), una specie con lamine fogliari coriacee e a margini dentati spinosi, somiglianti a quelle presenti nel leccio, con cui potrebbe essere confusa. Dal latino tardo elex, elěcis deriverebbe poi il termine elce, altro nome della pianta del leccio.

Per la sua ampia chioma sempreverde – che, in condizioni favorevoli, può toccare in altezza i 20 metri -, il leccio spesso viene scelto e coltivato in parchi, giardini e alberature stradali. Non mancano alcuni esemplari trapiantati nella piccola piazza di Bonefro, a circondare la vasca, all’inizio del secolo scorso, come dimostrano alcune foto dell’epoca.

La sua rusticità e longevità (può raggiungere i 250-300 anni di vita) lo rendono molto diffuso e in alcune zone viene messo a dimora come augurio di una lunga vita per i neonati, anche per la sua crescita molto lenta.

Il fusto, da giovane, presenta una corteccia liscia e grigia, che col tempo diventa dura e finemente screpolata. Produce ottimo legname compatto e pesante, di color bianco-gialliccio, una volta impiegato per costruire pezzi di macchine e raggi di ruote. Ma il legno è usato soprattutto come combustibile e per la produzione di carbone vegetale. La corteccia è ricca di tannino e in passato era utilizzata in tintoria e per la concia delle pelli.

Le foglie, coriacee, a margine intero o dentato, sono di un bel verde scuro nella pagina superiore, grigiastre e tomentose in quella inferiore, e si rinnovano ogni due o tre anni.

I frutti, che maturano nello stesso anno della fioritura, sono delle ghiande terminanti con una punta detta mucrone e si presentano coperte per un terzo o metà della loro lunghezza da una cupola, da cui cupulifera, altro nome della famiglia di appartenenza. Le ghiande sono dolci e commestibili, molto apprezzate fin dai tempi più remoti, quando costituivano una delle principali fonti alimentari degli abitanti delle nostre campagne ed erano utilizzate per la preparazione del pane di quercia. Un tempo venivano anche torrefatte come surrogato del caffè. Costituiscono poi un ottimo alimento per la fauna selvatica (cinghiali) e per l’allevamento dei suini, tanto che in diverse parti d’Italia i boschi di leccio sono stati impiantati proprio a questo scopo.

Il leccio è molto diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo e in Italia forma boschi puri anche di notevoli dimensioni. Non ha particolari esigenze per quanto riguarda il terreno, anche se preferisce quello non troppo umido con un buon drenaggio.

Molti lecci sono annoverati fra gli alberi monumentali, tutti fra i 15 e i 20 metri di altezza, con tronchi di circonferenza dai 4 ai 5 metri. Famoso è il leccio di Carlino nel territorio di Zafferana Etnea, alto 25 metri e la cui età è stimata intorno ai 700 anni. La città di Lecce, secondo la toponomastica popolare, prenderebbe il suo nome proprio dal leccio; nello stemma della città il leccio compare infatti assieme a una lupa. Anche i paesi di Elcito ed Elice, in Abruzzo, prendono il nome dall’elce, altro nome del leccio (come si accennava sopra). Sulla cima della torre Guinigi a Lucca si trova poi un famoso giardinetto pensile, costituito da un cassone murato riempito di terra, nel quale sono state messe a dimora sette piante di leccio. Il Monte Ilice, ricordato da Giovanni Verga in Storia di una capinera, deve il suo nome proprio alla presenza di un fitto bosco di lecci.

E, passando alla mitologia, pare che la prua dell’Argo, la leggendaria nave degli Argonauti, i famosi cinquanta eroi che parteciparono al seguito di Giasone alla conquista del vello d’oro, fosse costruita con un pezzo di questa varietà di pianta intagliata dalla dea Atena. Ma i miti ci consegnano per lo più un’immagine, talvolta funesta, del leccio, quale pianta capace, come tutte le specie di querce, di attirare i fulmini. Per spezzare una lancia in suo favore, ricordiamo la leggenda secondo la quale pare che Cristo lo prediligesse, essendo stato l’unico albero ad offrire il suo legno per preparare la Croce e a capire il sacrificio necessario, così come il Salvatore, per contribuire alla Redenzione. A tal proposito ci piace riportare anche la leggenda delle isole Ionie, che racconta che gli alberi, dopo la condanna a morte di Cristo, si riunirono in assemblea impegnandosi a non offrire il legno per la croce. Quando i carnefici cominciarono a colpire con le asce il primo tronco degli alberi di un boschetto, il legno si spezzò in mille schegge, e così avvenne per tutti gli altri; soltanto il leccio restò integro, offrendo il legno per la Passione del Cristo.☺

 

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