Una nuova coscienza
9 Maggio 2023
laFonteTV (3015 articles)
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Una nuova coscienza

Il bisogno di senso, perché possa sorgere una nuova umanità adeguata ai tempi e alle sfide del presente, – come nello scorso numero si sottolineava – porta a chiederci in che cosa si esprime e dove maggiormente si è manifestata questa crisi di senso che ha investito il mondo, in particolar modo le società dell’ Occidente avanzato, dall’inizio di quell’evento di portata epocale che è la globalizzazione, in cui siamo pienamente immersi. Secondo Stefano Zamagni, possiamo intravederla in alcune separazioni avvenute nel campo socio-economico, in particolare la separazione tra la sfera dell’economia e la sfera del sociale e quella del lavoro separato dalla creazione della ricchezza.

Una delle tante eredità non positive, che la recente modernità ha introdotto, è il convincimento in base al quale il titolo per accedere al “club dell’economia” è l’essere cercatori di profitto. Non si è propriamente imprenditori se non si cerca di perseguire esclusivamente la massimizzazione del profitto; in caso contrario, ci si deve rassegnare a far parte dell’ambito del sociale, dove operano le imprese sociali, le cooperative, le fondazioni di vario tipo.

In secondo luogo, per secoli l’ umanità ha ritenuto che all’origine della creazione della ricchezza ci fosse il lavoro umano, di qualunque tipo. Anche la nostra Costituzione recita al primo articolo “la repubblica è fondata sul lavoro”. Ma circa un trentennio fa si è cominciato a ritenere che sarebbe stata la finanza speculativa a creare ricchezza molto più in fretta e in modo più efficiente dell’attività lavorativa. Il risultato di tale visione è stato il maldestro tentativo di sostituire alla figura del lavoratore quella del cittadino consumatore come categoria centrale dell’ordine sociale. Oggi, di fatto, non disponiamo di un’idea condivisa del lavoro che ci consenta di capire le trasformazioni in atto, mentre si assiste alla distruzione del valore del lavoro e alla sua frammentazione in tipologie sempre più vicine allo sfruttamento delle persone, e parallelamente la volontà di imbrigliare le rappresentanze sindacali nella tutela dei lavoratori.

Una terza scissione, secondo il filosofo Roberto Mancini, è quella del mercato dalla democrazia con pervertimento e letterale mortificazione della vita pubblica dove si incuneano tre logiche politiche: la politica religiosa di potenza, il centrismo dei privilegiati, il riformismo dei tutelati.

Tratti tipici della religione della potenza sono l’instaurazione della menzogna come verità teologale e pubblica, l’imperialismo, il fanatismo sterminatore, l’ansia di vincere, il ricorso sistematico alla violenza come energia politica e come criterio di efficacia, l’affannosa ricerca tecnologica di armamenti sempre più distruttivi. Tale scenario delirante può essere fatto valere in maniera apertamente fanatica o in forme più razionalizzate e secolarizzate come accade nella civiltà occidentale.

Per rendersi conto del centrismo dei privilegiati è necessario capire che “centro” vuol dire tenersi lontano da tutto ciò che è estremo, quindi anche dai confini della società, dai marginali, in breve da chiunque sia “altro”, straniero, respinto, esubero, povero. Anche in questa politica abbiamo a che fare con una logica di morte, giacché il primato di sé e del proprio essere insediati nel privilegio comporta il non voler vedere la condizione dei sacrificati, l’ostinata resistenza a qualsiasi cambiamento delle cose. In occidente e anche in Italia questa posizione politico-spirituale è incline, tuttora, a servirsi del cristianesimo per legittimare sé stessa. Tra i tratti caratteristici dello pseudo cristianesimo politico il tradizionale richiamo ai valori, concetti enfatizzati con la retorica della fedeltà assoluta ed evocati nella reticenza verso quei valori viventi incarnati che sono le persone, le comunità, l’umanità intera, il creato. Il centrismo politico-teologico dei privilegiati si indigna a difesa dei valori ed è moderatamente feroce con le persone concrete; filtra il moscerino e ingoia il cammello. Colonizzando donano verità e democrazia, arricchendosi assistono i poveri.

C’è ancora la terza logica della politica: quella del riformismo. Ma da tempo noi siamo alle prese  semplicemente con il riformismo dei tutelati, di coloro che hanno già le loro garanzie sociali, economiche, culturali e politiche. Sembra vincente un “cinismo degli impotenti” che sorge dal rancore di chi ha scelto in cuor suo di insediarsi nella propria presunta impotenza, rinunciando alla libertà responsabile. Da questo luogo esistenziale accetta ogni nefandezza della storia ma reagisce indignato contro quanti sperano e lottano perché possono ricordagli l’umiliazione che ha inferto a sé stesso e che ogni giorno rinnova. Per continuare ad affermarsi, la morte deve travestirsi come fosse la vita e, in essa, come fosse una potenza naturale, necessaria, artefice di benessere, sicurezza e progresso. È l’antica mimetizzazione del “sepolcro imbiancato”.

È raro potersi trovare nell’innocenza passiva. Sappiamo che è arduo per chiunque, nella rete complessa delle corresponsabilità e delle complicità volontarie o involontarie, sentirsi la coscienza a posto. Tuttavia è possibile svoltare, entrare in un altro presente, in un futuro cominciato, quello dell’innocenza attiva. Benché inseriti in un contesto di universale iniquità possiamo accedere ad un modo di vivere, di agire e di esporci alla vita che sia tale da favorire il bene, la giustizia, la pace, la misericordia. Entrare in quell’altro presente personale e collettivo che schiude uno spazio di extraterritorialità al male. Non una immunità angelica, ma il prodursi di una nostra distanza dall’adesione al male.

La Gaudium et Spes del Vaticano II nel capitolo su “la promozione del progresso e della cultura” indicava: “Perciò è necessario coltivare lo spirito in modo che si sviluppino le facoltà dell’ammirazione, dell’intuizione, della contemplazione, e si diventi capaci di formarsi un giudizio personale e di coltivare il senso religioso, morale e sociale. Infatti la cultura, scaturendo direttamente dalla natura ragionevole e sociale dell’uomo, ha un incessante bisogno della giusta libertà per svilupparsi e le si deve riconoscere la legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri princìpi. A ragione dunque essa esige rispetto e gode di una certa inviolabilità, salvi evidentemente i diritti della persona e della comunità, sia particolare sia universale, entro i limiti del bene comune “(GS 59).☺

 

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