Una nuova regione
6 Febbraio 2024
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Una nuova regione

Per rimediare a un errore non se ne può fare un altro. E non si può adottare la logica del senno di poi. Sarebbe questa la condizione in cui verrebbe a trovarsi il Molise se andassero avanti i propositi – peraltro tecnicamente complessi – di soppressione della Regione e di riunificazione all’Abruzzo. Nella storia ogni cosa va letta nel suo contesto, va spiegata prima ancora che giudicata. Quando le due entità territoriali si separarono, nel 1963, c’era da attuare la Costituzione e le Regioni sembravano, allora, lo strumento primario di consolidamento dell’unità nazionale e della coesione sociale, il modo per riequilibrare l’accesso ai diritti e alle opportunità in un Paese strutturalmente e storicamente diversificato. Fu uno sbaglio? Probabilmente sì, pensando alla dimensione demografica e alle condizioni fisiche del territorio. I tentativi di sviluppo industriale secondo lo schema dei “nuclei”, se sul momento frenarono un poco l’emigrazione della forza lavoro (squilibrando però ancor più il rapporto tra poli e aree interne), poi si sarebbero rivelati un’illusione: non era possibile sviluppare il Sud trapiantandovi pezzetti di Nord. Anche la crescita connessa all’estensione del terziario, specialmente di pubblica amministrazione, conseguente all’istituzione della Regione (e poco dopo della seconda provincia), si sarebbe rivelata una droga mortificatrice delle capacità produttive del Molise, delle sue vocazioni e delle sue risorse territoriali. Ed è divenuta nel tempo anche un indebolimento morale.
È vero che tra le 20 regioni italiane, quella molisana è di più recente e contrastata costituzione, tra le meno estese territorialmente e maggiormente afflitte da rarefazione demografica, ancora oggi di modesta visibilità e identificabilità al di fuori dei suoi ristretti confini. In un articolo di qualche anno fa su “Glocale” Gino Massullo ha dimostrato che osservare uno dei casi più problematici e controversi di costruzione regionale può aiutare a descriverne le caratteristiche attuali. In tale ottica il Molise può divenire un vero laboratorio per la sperimentazione di una strategia di rinascita centrata sulla valorizzazione delle risorse autoctone e sul recupero di aree emarginate dai processi di modernizzazione. Le aree interne, seppur deprivate di popolazione e di attività produttive, hanno tuttavia conservato potenzialità ambientali significative e rappresentano condizioni essenziali per la ripresa e lo sviluppo a livello della regione e non solo. Per muoversi in questa direzione, occorre tornare a leggere e a curare il territorio, innovando e unendo cultura ed economia: la prima fase è quella della conoscenza, alla quale deve seguire quella della tutela e poi quella della valorizzazione, o meglio della fruizione, recuperando il concetto di bene comune e rifuggendo una malintesa idea della valorizzazione intesa come monetizzazione o (s)vendita del patrimonio territoriale. Senza le prime due non può esserci neanche la terza. In questa filiera giocano un ruolo fondamentale la consapevolezza delle risorse locali, la collaborazione dei livelli istituzionali, sia in senso verticale che orizzontale, e soprattutto l’integrazione dell’offerta di un territorio. La seconda fase è, su queste basi di rilettura territoriale, la ricostruzione di una classe politica degna di questo nome, sganciata da logiche partitiche e clientelari e contrassegnata dalla prevalenza del diritto sul favore.
Ecco, se noi riuscissimo a fare queste due cose essenziali – leggere il territorio e ricostruire una classe politica – avremo posto le basi non solo della permanenza della Regione Molise, ma soprattutto della sua possibilità di divenire un terreno di rigenerazione di una nuova Regione, forse anche di un nuovo regionalismo, con un modello di governance partecipato, orizzontale e coeso, rifuggendo i neocentralismi regionali che si sono venuti costituendo nelle regioni più grandi, Abruzzo compreso, e che la sciagurata via dell’autonomia differenziata contribuirà ad accentuare e a rendere irreversibili. Non sono strade semplici da intraprendere, ma così il Molise potrebbe porsi come caso nazionale anche nella prospettiva della crisi del regionalismo. Il Molise dovrebbe porsi l’ obiettivo di diventare una nuova regione, non quello di tornare ad essere una provincia periferica dell’Abruzzo, che sappiamo avere anch’esso i suoi problemi, a giudicare ad esempio dalle condizioni delle zone più interne e/o di confine. Per costruire la nuova regione è necessaria l’unione di tutte le forze sane della società civile, del mondo della cultura, dell’ambiente, della produzione. È necessario uscire dalla logica dei numeri per entrare in quella della qualità della vita, pretendere servizi e diritti, senza bramare che qualcuno ce li conceda per grazia ricevuta o per favore, appunto. Una nuova regione al posto di una non-regione: è questa la sfida da giocare subito. Se anche ammettessimo che sessant’anni fa separarsi dall’Abruzzo fu uno sbaglio, non possiamo rischiare adesso di farne un altro riunendoci alla casa madre come un figliol prodigo che torna sconsolato e col cappello in mano.☺

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