Una pasqua in ospedale
5 Maggio 2015 Share

Una pasqua in ospedale

In una vita trascorsa nell’ avvicendarsi di avvenimenti ed episodi di diversa panoramica, mi era mancata l’urgenza di un improvviso ricovero ospedaliero coincidente con una delle festività più attese dal popolo, che coincide con l’avvento della primavera. Eppure mi è capitato di vivere un’esperienza tanto avvincente che non avrei mai immaginato. Rinserrato in una stanza in solitudine o in una camerata di più ampio spazio? Né l’una, né l’altra. Sono stato accolto in un luogo su misura per la convivenza con un altro malato che non mi è apparso per nulla estraneo.

È questa la prima sensazione che mi colpisce in questo ambiente. L’incontro con persone  si traduce in convivenza che, seppure in tempi brevi, dà spazio al dialogo volto alla reciproca conoscenza che, passo dopo passo, si traduce in momenti di ascolto e di solidarietà reciproca che apre lo spazio anzitutto ad un genuino atteggiamento di interesse dell’uno per l’altro. Me ne danno felici testimonianze le infermiere che operano nell’ospedale. Siamo nel reparto Medicina del “Cardarelli” di Campobasso. Il primo impatto con loro non si traduce in un approccio di natura formale ma mi sorprende, come ricoverato, lo schietto sorriso della giovane donna che mi guida ad entrare nella camera a me assegnata.

Col passare dei giorni si scoprono aspetti di accoglienza che con una crescita quotidiana ampliano i rapporti tra cittadini malati. Si amplia il panorama delle conoscenze reciproche, gli spazi del sorriso e di un dialogo che si apre sui problemi di ciascuno di essi, a partire dal lavoro che hanno dovuto sospendere per curarsi, alle ricadute che la loro condizione genera sulla famiglia per poi aprirsi anche alla condizione di figli e genitori che, giorno dopo giorno, vengono a far visita ai familiari. In tempi ristretti ci conosciamo tra diversi, ci salutiamo con chiaro sorriso e avviamo conversazioni che toccano eventi e questioni attinenti la condizione di malessere fisico e di disagio che ciascuno finisce con l’attenuare in un clima di fraterna solidarietà.

Mi vien fatto di credere che forse in un mondo fortemente segnato da malessere sociale, egoismo, guerre e terrorismo sono i più deboli, i sofferenti  che possono costituire un fronte di solidarietà, di reciproco sostegno e di speranza per un altro futuro. Ne è testimonianza efficace un episodio evangelico trattato nella parabola del buon Samaritano che non si accomoda all’atteggiamento di indifferenza di un sacerdote e di un levita, ambedue personalità di rilievo a quel tempo, che vedono e ignorano la triste vicenda del poveruomo che venne derubato, spogliato e percosso da briganti e, a seguire, è una persona che in quella terra non godeva di stima che si fa prossimo per il poveretto e lo sostiene anche con un intervento personale di rapporto fisico e con la copertura delle spese di ricovero in un albergo.

Diamo la parola a qualcuna di queste figure umane che operano nel Cardarelli. Mariangela è tra le più giovani delle infermiere professionali dell’ospedale. Mi racconta del suo impegnativo corso di laurea durato tre anni. Il tema centrale che l’ha molto impegnata riguardava “L’umanizzazione dell’aspetto infermieristico” al punto da sollecitarla a centrare la sua tesi di laurea su “Il rapporto con il malato”. I primi sette anni li ha trascorsi in diversi ospedali del Molise per poi ritrovarsi a Campobasso. Confida di avere un buon rapporto con i pazienti e che è meno agevole la comunicazione con i familiari. Giovanna, infermiera anch’essa, non ha freni a riconoscere che il suo lavoro le piace anche se nella vita i sogni e l’utopia si scontrano con la realtà e questo procura un po’ di malinconia. E con determinazione non ha riserve nell’affermare: “Le persone che devono prendere decisioni dovrebbero praticare il nostro lavoro”. E ancora: “L’umanità è lo spirito che anima i vocaboli nel nostro lavoro quotidiano”. E non si astiene dal definire le “grandinate” che investono il loro lavoro per quanto attiene problemi quali il debito pubblico e la carenza di risorse.

Ritrovo nel flusso quotidiano del personale ospedaliero una scenografia ricorrente lungo il corridoio del reparto che mi avvince. Il tracciato è del tutto simile ad un percorso sportivo quale il circuito di una pista di atletica leggera. Il corridoio splendidamente diritto come il tratto di arrivo della pista prossimo  al traguardo dello sport è, ora per ora, movimentato dal personale: dottori, infermieri, addetti alle pulizie, cittadini che svolgono attività di volontariato. Ma a più riprese lo stesso modello di solerzia lo ha mostrato il responsabile del reparto, dott. Antimo Aiello, a più riprese passando anch’egli con passo atletico per condividere e alimentare il lavoro e lo spirito di solidarietà dell’intero personale.

Il personale, per lo più femminile, dell’ospedale si mobilita con stile e con premura gestendo contenitori di materiale di ogni genere dalle medicine, all’alimentazione e ad attrezzi di varia natura da applicare a servizio degli ospiti in rapporto ai loro bisogni. È un materiale che non si è soliti verificare in altri contesti dei servizi pubblici. E questo spirito di attivismo a servizio di chi ha bisogno traduce in quotidiana testimonianza il pensiero di una donna che ha dato chiari messaggi di vita a noi tutti. Troviamo lungo il corridoio del reparto di Medicina dell’ Ospedale Cardarelli il volto e il pensiero di una donna che ai bisognosi ha dedicato la sua esistenza: Madre Teresa di Calcutta che non esitò a scrivere: “Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici… non importa,  fa’ il bene”.

A conclusione un interrogativo che angustia l’intera Italia: ma quale soluzione si va delineando da parte della politica sulle tematiche attinenti la sanità pubblica? E non solo in Molise… ☺

 

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