Una specie in pericolo: i sapiens
7 Aprile 2025
laFonteTV (3827 articles)
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Una specie in pericolo: i sapiens

Alzarsi la mattina, essere avvolti da un cielo terso, guardare verso l’orizzonte e trovare il mare decorato di isole che sembrano dipinte a mano, ed ancora, percorrendo una piccola strada di campagna, in armonia con lo stridio del fagiano, imbattersi nelle maestose cime della Maiella innevata. Sono fortunato ad iniziare così la giornata. La domanda è se facciamo qualcosa per preservare questo incanto, se lo apprezziamo a sufficienza, ma soprattutto se ce ne prendiamo cura.
A noi previlegiati, che viviamo nella parte ricca del pianeta, sembra che quanto offerto da madre natura sia sempre a nostra disposizione ed in maniera illimitata, come se riserve idriche, energetiche, commestibili, fossero sempre e per sempre a nostra disposizione: credete sia possibile?
In realtà viviamo in un mondo i cui equilibri sono regolati da uno scandire del tempo rispettoso dei bisogni, ma anche delle caratteristiche di tutti i suoi abitanti. Questo purtroppo non è molto chiaro alla nostra specie. Dove arriviamo facciamo danni, perché il nostro atteggiamento non è da coinquilini, ma da padroni. La povera alca impenne ne sa qualcosa. Viveva in gruppi numerosi in tutto il nord atlantico, simile ad un pinguino, ma anche al nostro gabbiano, non aveva spiccate doti di volo e questo l’ha resa vulnerabile all’avidità dell’uomo, che l’ha cacciata per le sue carni e le sue uova sino a farla estinguere nel 1844.
Nel 2010 nell’accordo della COP10 di Nagoya, in Giappone, venne inserita la dichiarazione di volontà che nessuna altra specie si sarebbe dovuta estinguere: purtroppo non è stato così! Le percentuali di rischio di estinzione oggi sono molto alte: 35% per le conifere, il 25% per i mammiferi, 13% degli uccelli, il 10% degli insetti. I rischi su citati non derivano da ciò che rientra nella competizione e nei comportamenti degli esseri viventi all’interno di un ecosistema, ma sono dovuti all’arrivo dell’uomo, che, in quell’ambiente, con il degrado e lo sconvolgimento dell’ ecosistema, estingue e cancella gli habitat naturali.
Mi piace qui riportare un esempio del geologo Tozzi: “Se la biodiversità fosse una biblioteca con miliardi di volumi, quello che stiamo facendo alle specie dei viventi è bruciare quei libri prima di averli letti”.
Nel 2024 l’Unione Europea ha approvato nel Nature Restoration Law, che prevede il ripristino del 20% degli ecosistemi naturali terrestri e marini danneggiati entro il 2030 ed il recupero a “buone condizioni” del restante 80% entro il 2050. Oggetto di questo provvedimento sono le aree verdi nelle città, l’abbandono della deforestazione, la limitazione delle aree destinate all’agricoltura intensiva con incremento delle biodiversità e delle torbiere, la tutela degli insetti impollinatori, le riqualificazioni pluviali e la trasformazione in sponge city degli spazi urbani, per favorire la capacità di assorbimento, filtraggio e gestione dell’acqua in modo naturale ed efficace. Peccato che per questa legge l’Italia abbia votato contro, in ogni caso senza potersi sottrarre alla direttiva EU.
Da tempo le raccomandazioni, la produzione dei dati sul riscaldamento globale e le indicazioni sulla transizione energetica, sono esaustive ed inequivocabili. Uno studio pubblicato su Environmental Research Letters ha elaborato circa 12.000 articoli scientifici sulla crisi climatica evidenziando che il 97% di questi concorda nello stabilire che l’attività umana è causa principale del riscaldamento globale.
Facciamo un minimo di chiarezza. Il cambiamento climatico potrebbe dipendere dalle seguenti cause:
1) deriva delle placche continentali
2) energia del sole
3) correnti oceaniche
4) variazione dell’orbita terrestre
5) variazione di carbonio in atmosfera
Da sempre le prime quattro cause sono state preponderanti, si può dire che la quinta è sempre stata trascurabile. Adesso le prime quattro sono stabili, mentre la quinta componente è in forte crescita.
Già nel luglio 1977 il rapporto redatto da Frank Press, per l’allora presidente degli USA Jimmy Carter, Release of Fossil CO₂ and the Possibility of a Catastrophic Climate Change, diceva: “La combustione dei carburanti di origine fossile è aumentata a ritmo esponenziale negli ultimi 100 anni. Di conseguenza, la concentrazione di CO₂ è ora del 12% sopra il livello della CO₂ preindustriale… potrà ancora crescere… e nei prossimi 60 anni… a causa dell’effetto serra della CO₂ atmosferica, l’aumento della concentrazione indurrà un riscaldamento climatico compreso tra +0,5 e +5 C°”
Da allora abbiamo solo perso tempo, dando fiato ai negazionisti, portabandiera dei poteri forti, personaggi non titolati per il clima, ma forti del proprio status e carriera, un tempo autorevoli, ma senza una pubblicazione di quanto sostenuto. Smentiti dai dati scientifici di volta in volta pubblicati. Un esempio su tutti: i sostenitori della causa solare come responsabile dell’aumento delle temperature, smentiti dallo studio NASA che dimostra come l’attività solare sia nella norma e che il ciclo undecennale Solare 25, iniziato nel 2019, presenta un’attività senza anomalie rispetto alle previsioni ed ai cicli precedenti. Che fare? Prendere definitivamente coscienza dei danni che l’attività umana sta producendo ad un pianeta che risorse illimitate non ha e adottare sempre più comportamenti in sintonia con l’ecosistema. Per la crisi climatica è necessario abbandonare ciò che inquina e che apporta CO₂ in atmosfera, non in un tempo rinviabile, ma prossimo, togliendo sovvenzionamenti all’industria gas-petrolifera per stornarli verso le rinnovabili.
In generale si deve prendere coscienza che la Terra con i suoi 510 milioni di km² ha risorse limitate, che al momento il 20% della popolazione consuma per il 75%, con uno sfruttamento egoistico e discriminante sorretto da una visione solo di profitto economico senza alcun valore ecologico. La via di uscita esiste solo con un cambiamento radicale, che veda prevalere una logica della conservazione piuttosto che del consumo, una scelta di sostenibilità piuttosto che una di sfruttamento, un’azione circolare degli scarti piuttosto che una produzione di rifiuti.
Pensando ai recenti catastrofici eventi causati dalla crisi climatica, mi torna in mente la metafora attribuita a Noam Chomsky della rana in una pentola posta su un fornello, che gustandosi il tepore dell’acqua, non ha avuto scampo per l’imminente bollore. Mi auguro che non faremo la stessa fine e che saremo tanto saggi da uscire dall’acqua prima che bolla.☺

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