Vecchi e diritti negati
3 Dicembre 2024
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Vecchi e diritti negati

Le Residenze sanitarie assistenziali (RSA), così come sono strutturate e organizzate, sono ‘luoghi’ chiusi in cui stanno, si collocano i vecchi non autosufficienti. Non sono ‘case’, intese come ambiti relazionali, in cui i vecchi possono vivere e condurre dignitosamente la propria vita, compatibilmente con le proprie condizioni psico-fisiche. Sono strutture che documentano come la politica assistenziale consideri queste persone ‘invisibili’, nonostante che da tempo si segnali una loro costante crescita, e li deprivi di molti diritti propri di ogni persona umana. Gli ultrasessantacinquenni sono, oggi, 14 milioni, pari al 26 per cento della popolazione e saranno, nel 2050, 20 milioni. I vecchi non-autosufficienti, che necessitano di assistenza e cura, sono, oggi, circa 3 milioni e saranno 5 milioni nel 2030.
Le RSA, istituite a fine anni Ottanta per gestire un’assistenza continua e appropriata ai vecchi non-autonomi, accusano carenze croniche di posti-letto. Sono 19 i posti-letto per ogni mille ultrasessantacinquenni, ponendo l’Italia nei Paesi OCSE al terzultimo posto prima di Polonia e Turchia. Il Covid ha ulteriormente depauperato tale offerta incrementandone i costi. Se prima della pandemia hanno chiuso i conti in rosso solo il 9% di tali strutture, oggi ciò interessa il 63% delle stesse. Si deve aggiungere a tale carenza finanziaria anche quella funzionale. Mancano il 22% di infermieri, il 13% di medici e l’11% di operatori socio-sanitari le cui condizioni di lavoro sono pesanti. Una ricerca, condotta dall’Università Bocconi di Milano, documenta la presenza di burn out (stress persistente) tra gli operatori in tre RSA su quattro. Tali condizioni inducono molti operatori a ‘emigrare’ verso strutture sanitario-ospedaliere in cui gli stipendi sono più elevati e le condizioni lavorative meno pesanti e stressanti. Forse si deve pensare a momenti di ’stacco’, a una formazione culturale e tecnica vera e permanente, a un supporto psicologico e a un incremento degli stipendi.
Si è avviata, nel 2001, una riforma degli IPAB (Istituti pubblici di assistenza e beneficenza), che gestiscono i servizi per i vecchi non-autosufficienti, trasferendole alle Regioni. A tutt’oggi, dopo 23 anni, tale riforma è, di fatto, ancora ai blocchi di partenza.
Le proiezioni demografiche evidenziano come non si possano affrontare i problemi, accennati sopra, aumentando i posti-letto. Chi chiede l’accesso alle RSA sono persone sempre più vecchie e con problemi psico-sanitari pesanti. Fa, poi, riscontro una sempre minor disponibilità di operatori (si parla di reclutamento all’estero) e questi non sono sempre culturalmente e tecnicamente preparati. Le famiglie sono sempre più sole nella cura dei propri famigliari non-autosuffi-cienti e sono gravate economicamente. Le risorse pubbliche, investite in tale direzione, sono sempre più irrisorie, nonostante la legge sulla non-autosufficienza varata un anno e mezzo fa e scarsamente finanziata.
Va individuato un nuovo e radicalmente diverso modello di assistenza, da costruirsi con e non per i vecchi non-autosufficienti, che preveda una rete di occasione e opportunità al cui interno si possa scegliere quella/e risposta/e che risponda al/i bisogno/i che in quel momento e in quel contesto geografico e socio-culturale si pone/pongono. Si deve pensare a ‘spazi’ socio-assistenziali aperti e non luoghi chiusi integrati nel territorio che possano garantire il diritto di scegliere dove e come condurre la propria vita dignitosamente.☺

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