
Viva la geografia
Fabio: “Marco, vogliamo fare un pezzo a quattro zampe sulla Geografia?” Marco: “Certo, perché no!” Così, quasi per scherzo, è nata l’idea di approntare un articolo su quella che tra le materie scolastiche è diventata la meno nobile, seppur la più attuale.
Siamo due “ragazzi” che amano la Geografia ma vedono, seguendo le rispettive figlie negli studi delle medie inferiori, che ci sono libri di testo superficiali e, sempre più spesso, insegnanti privi di passione che non creano le condizioni necessarie per far nascere l’interesse nei discenti. Manca quella passione necessaria affinché gli studenti provino coinvolgimento per una materia che è l’unica ancora in grado di far conoscere il mondo, al cospetto di una realtà costruita e confinata tra interrogazioni meramente burocratiche, compiti a casa a ripetizione come se non ci fosse un domani, tra lo schermo di un cellulare sempre accanto ai ragazzi ed un personal computer per didattica a distanza o per compiti da consegnare il giorno dopo con scadenze imperative. Eppure siamo nel 2021 e, come dice Federico Rampini, giornalista e saggista italiano naturalizzato statunitense, “la Geografia ci aiuta a capire il mondo ed è strano che nel XXI secolo sia così trascurata negli studi, quando invece ci si sposta, per viaggi e divertimento, molto più facilmente del passato, mentre prima la si studiava con più passione perché ci permetteva di viaggiare pur non potendo viaggiare”.
Senza farlo apposta due giorni dopo, mentre buttiamo giù le nostre idee, viene pubblicato su Repubblica un articolo dedicato alla geopolitica con un’intervista a Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes, il quale con un lodevole sforzo ha deciso di istituire una scuola di geopolitica per formare nuovi leader di domani, capaci di leggere il mondo. Nel giro di poche ore sono giunte in redazione oltre 1.000 domande di partecipazione su appena 100 posti disponibili.
Nell’intervista ci ha colpito la sua risposta alla domanda “[…] pensiamo alle relazioni internazionali e poi scopriamo che lo scontro tra Cina e Usa si gioca sui microchip. Quindi per capire il mondo bisogna sapere di fisica quantistica?” Caracciolo risponde in modo semplice “No. Bisogna sapere di storia e geografia, la geopolitica è l’analisi dei conflitti di potere”. Inoltre alla domanda se la geopolitica sia una materia per le élite, risponde: “Per quanto mi riguarda la insegnerei nelle scuole, per capire il mondo in cui ci troviamo, i rapporti di potere…”. Come non condividere questo punto di vista? Meglio ancora sarebbe se queste materie fossero insegnate dallo stesso docente, invece di due diversi, così che riesca a far interagire, dialogare gli argomenti.
Se ci fermassimo a riflettere sulla recente attualità, invece di sfogliarla e passare oltre con la superficialità che ci contraddistingue, leggeremmo meglio le vicende che accadono sul nostro pianeta. Ad esempio, l’ingorgo avvenuto a fine marzo nel canale di Suez ha portato alla ribalta un problema commerciale, economico, ma anche geopolitico, fatto di vecchie strade (Canale di Suez) e nuove (Rotta Artica) che si aprono a nord grazie ai cambiamenti climatici che stravolgeranno l’umanità non solo dal punto di vista ambientale, ma anche per le nuove rotte tra Asia ed Europa.
Gli stessi recenti vaccini sono figli più di giochi di potere geopolitico che di risoluzione univoca di problemi sanitari, con il rischio di prolungare invece la fase pandemica. Basti pensare che sono stati sviluppati esattamente dalle principali forze economiche e coloniali del pianeta: Usa, Cina, Russia e Gran Bretagna.
Le considerazioni porterebbero a voli infiniti, ma la scuola, la Dad, la Geografia e la Geopolitica ci riportano a questo 2021 che ha bissato la temperie scatenata dalla pandemia dell’anno passato. Anche in questo caso, seguire le figlie nelle loro lezioni a casa ci ha portato ad un’altra singolare considerazione, durante lo studio della letteratura italiana e del Decamerone di Boccaccio.
Sembra di rivivere un incredibile parallelo con la stringente attualità. Ma qui si innesca la divergenza che ci ha fatto riflettere: nella storia raccontata nel Decameron, i dieci giovani, sette ragazze e tre ragazzi che trovano rifugio lontani da Firenze per sfuggire alla peste, per occupare il tempo decidono di raccontare a turno delle novelle, il cui tema viene deciso ogni giorno da ciascun giovane. Sono alla ricerca di una nuova vita, secondo nuove regole precise e rispettate, per ricreare quella società che era stata sconvolta dal flagello della peste. La realtà purtroppo ci mostra che i libri dei ragazzi del ‘300 sono stati sostituiti dalla modernità del cellulare e quegli interrogativi posti dai giovani del Decameron sono agli antipodi rispetto a quelli della nostra Generazione Z.
La situazione non è molto diversa dal terribile flagello del ‘300. La gente muore, si cerca di sfuggire al virus trovando riparo nelle nostre case o, chi può, in campagna. Ma le domande che ci poniamo e che si pongono i ragazzi sono le stesse? O la realtà confortevole nella quale viviamo ci ha insegnato a dare tutto per scontato e già acquisito, tanto che non valga più la pena di lottare? ☺