Armonia
19 Ottobre 2017
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Armonia

Nel cuore del testo di Amoris lætitia (AL) non vi è semplicemente una svolta nella pastorale matrimoniale e familiare, ma una profonda e accurata rilettura della tradizione morale della Chiesa cattolica. Diversamente da quanto viene ripetuto da settori più restii ad accogliere tale svolta, non si tratta di una discontinuità che AL introduce nella tradizione morale della Chiesa. Bisogna purtroppo riconoscere il contrario: la discontinuità era stata introdotta da alcuni documenti del XX secolo – che vanno da Casti Connubii, a Humanae Vitae a Veritatis Splendor – i quali avevano privilegiato un “massimalismo morale”, con una forzatura nella lettura delle fonti tradizionali, e rispetto a cui AL opera un vero e proprio atto di “riconciliazione con la tradizione”. Come era stato il Concilio Vaticano II, AL, seguendone le orme, va letta anzitutto come “servizio alla tradizione”. Vorrei cercare di illustrare in modo semplice uno dei punti più evidenti di recupero della tradizione che AL realizza con grande forza e con vera profezia.

correlazione di oggetto e soggetto

Per comprendere questo aspetto in vista di una adeguata recezione del testo di AL, dobbiamo partire da uno dei punti-chiave del suo magistero, ossia dalla luminosa distinzione tra “legge oggettiva” e “circostanze soggettive”. Sulla base di questa onesta considerazione, AL elabora, nel cap. VIII, – quello più discusso – una comprensione delle “ferite della famiglia” in cui si propone una relazione tra “norme” e “discernimento” che recupera un’antica sapienza ecclesiale, rispetto a cui una “morale fredda da scrivania” (AL 312) aveva preteso di prendere le distanze in modo drastico e massimalistico, in nome, ad esempio, dei “principi non negoziabili” soprattutto nel contesto della chiesa italiana. Il punto centrale di questa ri-acquisizione può essere detto in positivo o in negativo. Consideriamo entrambe queste esposizioni:

  1. a) in positivo: “La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta ‘irregolare’ vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante” (AL 301);
  2. b) in negativo: “È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano” (AL 304).

Questa comprensione discende da un “luogo comune” classico della teologia morale, che AL presenta con autorevolezza mediante le parole di s. Tommaso (S. Th., I-II, 94, 4). Tale principio può essere chiamato della “indeterminazione del particolare” e suona nel testo di Tommaso – dedicato alla domanda “sembra che la legge naturale non sia la stessa per tutti” – con queste parole: “Sed ratio practica negotiatur circa contingentia, in quibus sunt operationes humanae, et ideo, etsi in communibus sit aliqua necessitas, quanto magis ad propria descenditur, tanto magis invenitur defectus» (Invece la ragione pratica tratta di cose contingenti, quali sono le azioni umane; perciò, sebbene nei principi universali vi sia una certa necessità, più si scende a deduzioni particolari e più si incontrano eccezioni). Testo che AL spiega e rende in questo modo illuminante: “È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari” (AL 304). Qui AL riprende anche un principio classico del diritto – che Triboniano aveva elaborato alla corte di Giustiniano – sulla poikilia (il lavorare con vari colori, il ricamare, l’essere variegato) della realtà storica, mai del tutto catturabile da una norma generale. Ed è significativo che questo sia un forte contrappeso alla tendenza razionalistica, di cui ha risentito nell’ultimo secolo anche la tradizione ecclesiale. Da questa comprensione del tutto tradizionale del rapporto tra legge e discernimento scaturiscono nel campo della teologia matrimoniale e relativa pastorale, una serie di conseguenze molto chiare, che aprono spazi nuovi alla prassi e alla teoria:

– “…è possibile che entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa” (AL 305).

– “…bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno, lasciando spazio alla misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile… Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente un suo insegnamento obiettivo, non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada” (AL 308).

AL, recuperando proprio ciò che in Veritatis Splendor era stato escluso, (n. 79-83, dedicati al tema dell’intrinsece malum, in cui si dà una lettura di Tommaso e della tradizione irrigidita e massimalista in contrapposizione alla deriva moderna) ritorna sul sentiero della tradizione. E lo fa non solo ascoltando i testi antichi con orecchio sensibile, ma mettendosi in ascolto della esperienza degli uomini e delle donne dove appare quella poikilìa della vita. E ci suggerisce, con finezza e benevolenza, che non si resta nella tradizione sostando al balcone o alla scrivania, ma uscendo per strada. Anche a costo di sporcarsi le scarpe col fango della vita. ☺

 

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