Il cammino di santiago
12 Ottobre 2018
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Il cammino di santiago

Il cammino di Santiago come meta di pellegrinaggio religioso affonda le sue origini nel IX secolo. Nell’813 d.C. in un campo illuminato da luci misteriose (Campus Stellae) sul monte Libradon, vennero rinvenute le reliquie dell’Apostolo Giacomo. Il Re delle Asturie Alfonso II, secondo la tradizione, informato della miracolosa scoperta, fece costruire una chiesa sopra il sepolcro. Flussi di pellegrini, da tutta l’Europa, cominciarono a muoversi per recarsi in questo piccolo borgo sorto intorno alla chiesa, borgo che prese il nome di Santiago di Compostela.

I vari regni che si affermarono successivamente profusero risorse per migliorare le strade, i ponti, per costruire locande, ostelli e ospedali e favorire il transito di questa moltitudine di persone. Sorsero cattedrali e chiese lungo il cammino e il Papa Callisto II nel 1122 proclamò Anno Santo Jacobeo l’anno in cui il giorno del martirio dell’Apostolo, cioè il 25 luglio, cadeva di domenica. Si susseguirono secoli in cui le città del nord della Spagna, quelle attraversate da questi itinerari, ebbero un aspetto cosmopolita per la presenza di persone che giungevano da tutta l’Europa. E il numero dei pellegrini, con una diminuzione durante la guerra civile, è stato sempre in aumento con una punta di circa 300.000 presenze nel 2017.

L’UNESCO, nel 1985, ha dichiarato la Rotta Jacobea Patrimonio Universale dell’Umanità.

Sono ormai 1105 anni che uomini e donne da ogni angolo della terra e di ogni età partono per fare uno dei tanti cammini che conducono a Santiago. Quest’anno, con lo spirito del pellegrino medioevale, anch’io ho calpestato la strada del cammino francese, quella che va da Saint Jean Pied de Port, comune del dipartimento francese Pyrénnéés Atlantiques, fino a Santiago de Compostela, comune della Galizia, regione spagnola.

Ho conosciuto francesi, spagnoli, inglesi, danesi, italiani, tedeschi, svedesi, coreani, croati, australiani, americani. Nonostante codici linguistici nazionali diversi, un linguaggio proprio del Cammino ha permesso di comunicare e realizzare relazioni significative per comprensione e partecipazione.

Juliette e Véronique, due donne francesi, che, partite da Le Puy en Velay, nel cuore della Francia, in 54 giorni, hanno percorso circa 1300 km; Augustin che, venuto dal Perù, nonostante gravi difficoltà respiratorie, ha calpestato l’intero cammino francese; Javier che, dopo aver fatto il cammino già due volte, ha percorso il “camino de Madrid” fino a Santiago (620 km). Una energia positiva ha consentito ad Elisa di Firenze, a Brigitte dello Stato di Washington, a Giovanni giovane studente di Economia di sopportare i dolori delle piaghe ai piedi e alla giovane croata Ivanka con la tendinite di trascinarsi nella discesa prima di El Acebo. Amaia, una donna basca, con la caviglia gonfia ha voluto portare a termine il suo cammino arrivando in plaza de Obradorio, di fronte all’entrata principale della Cattedrale di Santiago e pregare sulla tomba di San Giacomo.

Perché una persona del XXI secolo dovrebbe mettersi a camminare per centinaia e centinaia di chilometri, lontano da casa, dormendo in un sacco a pelo in un albergue o in posti di fortuna, con un peso sulle spalle dovuto allo zaino (mochila)?

Quando il cielo scese sulla terra e non si faceva mistero della propria fede, l’esigenza di redenzione, di purificazione, di aiuto esistenziale, metteva i pellegrini in cammino verso quei luoghi dove maggiore era la presenza del divino. Affrontavano un viaggio che durava mesi e mesi, si partiva a piedi dalla propria dimora, si spogliavano dei beni materiali facendo testamento e il cammino li sottoponeva a fatiche penitenziali dovute alla sobrietà e frugalità dei pasti, ai digiuni, alle astinenze. E lungo il cammino, oltre ai pericoli ai quali si andava incontro, cresceva il suo vigore fino a quando non si raggiungeva la meta. Il pellegrinaggio era fonte di santità, prestigio.

Ma oggi nell’era di internet e del GPS (Sistema mondiale di posizionamento via satellite), dove è possibile coprire centinaia di chilometri con l’aereo in poche ore, dove il credo fondante la società è il dio denaro, l’effimero è una necessità, la sobrietà e frugalità virtù d’altri tempi, le motivazioni sono latenti, velate da un nichilismo imperante: la maggior parte delle persone con le quali ho parlato hanno dichiarato di non avere una ragione precisa, hanno semplicemente sentito il bisogno di fare quella esperienza. Una prova che mettesse in evidenza il loro senso della vita e del tempo. Oserei dire un viaggio nel quale sono cercate le risposte più vere alle domande esistenziali e personali che risiedono nel profondo di ognuno e che abitualmente si negano.

In molti c’è stata una incubazione del desiderio. Gigi, incontrato al bar a Najera, bevendo una birra, raccontò che erano passati tre anni, prima di lasciare la moglie e i tre figli, e partire per il Cammino di Santiago. Poi un bel giorno ha detto sì alla misteriosa voce interiore e in questa decisione, in questo fare il Cammino, rispondendo sì alla chiamata, ha trovato l’energia per affrontare le difficoltà e avvicinarsi alla verità, nella trasformazione del desiderio di fare il cammino in azione, in quell’osare, ritrovare se stessi, dare compimento al proprio essere.

Con la quotidianità dietro le spalle, lontana centinaia di chilometri, nel silenzio della strada rotto solo dallo scricchiolio dei propri passi, portandosi nell’anima il peso della vita, il pellegrino va’.

Buen camino.

 

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