Negli ultimi decenni diversi episodi hanno suscitato profonde preoccupazioni per la protezione dell’ambiente e dell’habitat umano, della sicurezza e della salute dell’uomo. Si tratta, solo per citare alcuni esempi, di grandi catastrofi ecologiche (naufragio delle petroliere Amoco Cadiz, Prestigi, esplosione della piattaforma nel Golfo del Messico), di emissioni nell’ambiente di prodotti chimici o comunque tossici ( Seveso 1976, Bophal 1984), di perdite di materiale radioattivo (Three Mile Island, Chermobyl, Fukushima), di alterazioni della catena alimentare, anche dovute ad incidente, (secondo l’immaginifico linguaggio dei “media”: mucca pazza), ecc.
Ciò ha suscitato: a) una crescente attenzione dell’opinione pubblica alle potenziali implicazioni, anche di lungo periodo, dell’attuale modello di sviluppo tecnologico ed industriale; b) un clima di progressiva sfiducia nei riguardi dei meccanismi pubblici di controllo; c) la necessità per i Governi di individuare nuovi principi in grado di facilitare, da una parte, la valutazione ed il contenimento dei rischi e, dall’altra, la gestione di questi ultimi non solo ai fini della loro accettabilità sociale, ma anche per consentire uno sviluppo realmente sostenibile. L’espe- rienza, infine, ci ha resi edotti del fatto che la gravità degli episodi ricordati, taluni dei quali ripetutisi, talvolta ha dato luogo ad emergenze ed eventi catastrofici immediati, ma altre volte è emersa solo molto tempo dopo la manifestazione del rischio collegato all’evento in questione, dando luogo a conseguenze sanitarie o ecologiche “ritardate” il cui nesso di causalità è stato accertato. Emerge in questo modo una diversa dimensione del rischio, di natura più subdola e di tipo non solo qualitativo (tossico), ma anche quantitativo, che invoca l’esigenza di far precedere lo sviluppo industriale da una fase più articolata di ricerca per conseguire i margini di sicurezza necessari e per verificare le ipotesi scientifiche iniziali.
Tali sollecitazioni hanno prodotto due ordini di conseguenze: da un lato, la richiesta dei cittadini di essere previamente informati e di partecipare alle decisioni che riguardano tanto lo sviluppo tecnico-scientifico, quanto gli insediamenti industriali; dall’altra, una maggiore consapevolezza dei governi di prendere in considerazione comportamenti e decisioni orientati alla prevenzione, ove possibile, o al nuovo criterio di precauzione, qualora esistano significativi margini di incertezza sul rapporto tra rischio e conseguenze dannose di determinate attività per l’uomo e per l’ambiente. Così, accanto ad approcci ispirati alla tolleranza zero si è affermata l’esigenza di una più attenta valutazione della proporzionalità tra rischi e benefici in grado di orientare lo sviluppo tecnico-scientifico, secondo un principio di mediazione tra esigenze e sensibilità diverse, proprie della scienza, dell’industria ed della società civile.
Per concorrere al diffondersi di un sentimento di responsabilità più maturo nell’opinione pubblica, é opportuno sviscerare alcuni aspetti etico-giuridici che investono la cosiddetta “società postindustriale”, la quale ha provocato una nuova sensibilità nei confronti del rischio e del controllo di alcune espressioni dello stesso tramite il “principio di precauzione”.
Si dovrà, pur se in breve, fare riferimento al contesto internazionale e comunitario europeo, più sensibile alle sollecitazioni sottese all’applicazione del principio di precauzione di quanto non abbia dimostrato esserlo, finora, il contesto italiano, che pure di recente ha visto l’adozione di alcuni provvedimenti normativi ispirati al principio in esame.
Si delineano, in breve, tre passaggi di riflessione su cui soffermarsi: 1) lo scenario nel quale si iscrive il principio di precauzione come conseguenza dei fattori che hanno concorso a determinare il concetto di società del rischio; 2) i criteri di identificazione e valutazione del rischio, con l’obiettivo della tutela della sicurezza-salute collettiva, tenendo presenti sia le posizioni ed i criteri adottati dagli esperti, sia, per altri versi e nella debita proporzione, le posizioni diffuse nell’opinione pubblica e fra i cittadini-utenti; 3) infine, gli strumenti sociali (filosofici, giuridici ed organizzativi) mediante i quali la società contemporanea reagisce di fronte ai rischi nel vasto campo delle attività umane preso in considerazione.
Si incontreranno concetti di amplissimo rilievo, sui quali non sarà possibile soffermarsi dettagliatamente: si citano ad esempio la questione dello “sviluppo sostenibile” o quella dell’as- setto dei poteri legislativi in materia ambientale, che nelle nuova versione dell’art. 117 della Costituzione italiana è affidata allo Stato con la formula piena “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”; a tali concetti ci si dovrà ispirare per le riflessioni, le decisioni e le buone prassi necessarie.☺
Negli ultimi decenni diversi episodi hanno suscitato profonde preoccupazioni per la protezione dell’ambiente e dell’habitat umano, della sicurezza e della salute dell’uomo. Si tratta, solo per citare alcuni esempi, di grandi catastrofi ecologiche (naufragio delle petroliere Amoco Cadiz, Prestigi, esplosione della piattaforma nel Golfo del Messico), di emissioni nell’ambiente di prodotti chimici o comunque tossici ( Seveso 1976, Bophal 1984), di perdite di materiale radioattivo (Three Mile Island, Chermobyl, Fukushima), di alterazioni della catena alimentare, anche dovute ad incidente, (secondo l’immaginifico linguaggio dei “media”: mucca pazza), ecc.
Ciò ha suscitato: a) una crescente attenzione dell’opinione pubblica alle potenziali implicazioni, anche di lungo periodo, dell’attuale modello di sviluppo tecnologico ed industriale; b) un clima di progressiva sfiducia nei riguardi dei meccanismi pubblici di controllo; c) la necessità per i Governi di individuare nuovi principi in grado di facilitare, da una parte, la valutazione ed il contenimento dei rischi e, dall’altra, la gestione di questi ultimi non solo ai fini della loro accettabilità sociale, ma anche per consentire uno sviluppo realmente sostenibile. L’espe- rienza, infine, ci ha resi edotti del fatto che la gravità degli episodi ricordati, taluni dei quali ripetutisi, talvolta ha dato luogo ad emergenze ed eventi catastrofici immediati, ma altre volte è emersa solo molto tempo dopo la manifestazione del rischio collegato all’evento in questione, dando luogo a conseguenze sanitarie o ecologiche “ritardate” il cui nesso di causalità è stato accertato. Emerge in questo modo una diversa dimensione del rischio, di natura più subdola e di tipo non solo qualitativo (tossico), ma anche quantitativo, che invoca l’esigenza di far precedere lo sviluppo industriale da una fase più articolata di ricerca per conseguire i margini di sicurezza necessari e per verificare le ipotesi scientifiche iniziali.
Tali sollecitazioni hanno prodotto due ordini di conseguenze: da un lato, la richiesta dei cittadini di essere previamente informati e di partecipare alle decisioni che riguardano tanto lo sviluppo tecnico-scientifico, quanto gli insediamenti industriali; dall’altra, una maggiore consapevolezza dei governi di prendere in considerazione comportamenti e decisioni orientati alla prevenzione, ove possibile, o al nuovo criterio di precauzione, qualora esistano significativi margini di incertezza sul rapporto tra rischio e conseguenze dannose di determinate attività per l’uomo e per l’ambiente. Così, accanto ad approcci ispirati alla tolleranza zero si è affermata l’esigenza di una più attenta valutazione della proporzionalità tra rischi e benefici in grado di orientare lo sviluppo tecnico-scientifico, secondo un principio di mediazione tra esigenze e sensibilità diverse, proprie della scienza, dell’industria ed della società civile.
Per concorrere al diffondersi di un sentimento di responsabilità più maturo nell’opinione pubblica, é opportuno sviscerare alcuni aspetti etico-giuridici che investono la cosiddetta “società postindustriale”, la quale ha provocato una nuova sensibilità nei confronti del rischio e del controllo di alcune espressioni dello stesso tramite il “principio di precauzione”.
Si dovrà, pur se in breve, fare riferimento al contesto internazionale e comunitario europeo, più sensibile alle sollecitazioni sottese all’applicazione del principio di precauzione di quanto non abbia dimostrato esserlo, finora, il contesto italiano, che pure di recente ha visto l’adozione di alcuni provvedimenti normativi ispirati al principio in esame.
Si delineano, in breve, tre passaggi di riflessione su cui soffermarsi: 1) lo scenario nel quale si iscrive il principio di precauzione come conseguenza dei fattori che hanno concorso a determinare il concetto di società del rischio; 2) i criteri di identificazione e valutazione del rischio, con l’obiettivo della tutela della sicurezza-salute collettiva, tenendo presenti sia le posizioni ed i criteri adottati dagli esperti, sia, per altri versi e nella debita proporzione, le posizioni diffuse nell’opinione pubblica e fra i cittadini-utenti; 3) infine, gli strumenti sociali (filosofici, giuridici ed organizzativi) mediante i quali la società contemporanea reagisce di fronte ai rischi nel vasto campo delle attività umane preso in considerazione.
Si incontreranno concetti di amplissimo rilievo, sui quali non sarà possibile soffermarsi dettagliatamente: si citano ad esempio la questione dello “sviluppo sostenibile” o quella dell’as- setto dei poteri legislativi in materia ambientale, che nelle nuova versione dell’art. 117 della Costituzione italiana è affidata allo Stato con la formula piena “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”; a tali concetti ci si dovrà ispirare per le riflessioni, le decisioni e le buone prassi necessarie.☺
Negli ultimi decenni diversi episodi hanno suscitato profonde preoccupazioni per la protezione dell’ambiente e dell’habitat umano, della sicurezza e della salute dell’uomo. Si tratta, solo per citare alcuni esempi, di grandi catastrofi ecologiche (naufragio delle petroliere Amoco Cadiz, Prestigi, esplosione della piattaforma nel Golfo del Messico), di emissioni nell’ambiente di prodotti chimici o comunque tossici ( Seveso 1976, Bophal 1984), di perdite di materiale radioattivo (Three Mile Island, Chermobyl, Fukushima), di alterazioni della catena alimentare, anche dovute ad incidente, (secondo l’immaginifico linguaggio dei “media”: mucca pazza), ecc.
Ciò ha suscitato: a) una crescente attenzione dell’opinione pubblica alle potenziali implicazioni, anche di lungo periodo, dell’attuale modello di sviluppo tecnologico ed industriale; b) un clima di progressiva sfiducia nei riguardi dei meccanismi pubblici di controllo; c) la necessità per i Governi di individuare nuovi principi in grado di facilitare, da una parte, la valutazione ed il contenimento dei rischi e, dall’altra, la gestione di questi ultimi non solo ai fini della loro accettabilità sociale, ma anche per consentire uno sviluppo realmente sostenibile. L’espe- rienza, infine, ci ha resi edotti del fatto che la gravità degli episodi ricordati, taluni dei quali ripetutisi, talvolta ha dato luogo ad emergenze ed eventi catastrofici immediati, ma altre volte è emersa solo molto tempo dopo la manifestazione del rischio collegato all’evento in questione, dando luogo a conseguenze sanitarie o ecologiche “ritardate” il cui nesso di causalità è stato accertato. Emerge in questo modo una diversa dimensione del rischio, di natura più subdola e di tipo non solo qualitativo (tossico), ma anche quantitativo, che invoca l’esigenza di far precedere lo sviluppo industriale da una fase più articolata di ricerca per conseguire i margini di sicurezza necessari e per verificare le ipotesi scientifiche iniziali.
Tali sollecitazioni hanno prodotto due ordini di conseguenze: da un lato, la richiesta dei cittadini di essere previamente informati e di partecipare alle decisioni che riguardano tanto lo sviluppo tecnico-scientifico, quanto gli insediamenti industriali; dall’altra, una maggiore consapevolezza dei governi di prendere in considerazione comportamenti e decisioni orientati alla prevenzione, ove possibile, o al nuovo criterio di precauzione, qualora esistano significativi margini di incertezza sul rapporto tra rischio e conseguenze dannose di determinate attività per l’uomo e per l’ambiente. Così, accanto ad approcci ispirati alla tolleranza zero si è affermata l’esigenza di una più attenta valutazione della proporzionalità tra rischi e benefici in grado di orientare lo sviluppo tecnico-scientifico, secondo un principio di mediazione tra esigenze e sensibilità diverse, proprie della scienza, dell’industria ed della società civile.
Per concorrere al diffondersi di un sentimento di responsabilità più maturo nell’opinione pubblica, é opportuno sviscerare alcuni aspetti etico-giuridici che investono la cosiddetta “società postindustriale”, la quale ha provocato una nuova sensibilità nei confronti del rischio e del controllo di alcune espressioni dello stesso tramite il “principio di precauzione”.
Si dovrà, pur se in breve, fare riferimento al contesto internazionale e comunitario europeo, più sensibile alle sollecitazioni sottese all’applicazione del principio di precauzione di quanto non abbia dimostrato esserlo, finora, il contesto italiano, che pure di recente ha visto l’adozione di alcuni provvedimenti normativi ispirati al principio in esame.
Si delineano, in breve, tre passaggi di riflessione su cui soffermarsi: 1) lo scenario nel quale si iscrive il principio di precauzione come conseguenza dei fattori che hanno concorso a determinare il concetto di società del rischio; 2) i criteri di identificazione e valutazione del rischio, con l’obiettivo della tutela della sicurezza-salute collettiva, tenendo presenti sia le posizioni ed i criteri adottati dagli esperti, sia, per altri versi e nella debita proporzione, le posizioni diffuse nell’opinione pubblica e fra i cittadini-utenti; 3) infine, gli strumenti sociali (filosofici, giuridici ed organizzativi) mediante i quali la società contemporanea reagisce di fronte ai rischi nel vasto campo delle attività umane preso in considerazione.
Si incontreranno concetti di amplissimo rilievo, sui quali non sarà possibile soffermarsi dettagliatamente: si citano ad esempio la questione dello “sviluppo sostenibile” o quella dell’as- setto dei poteri legislativi in materia ambientale, che nelle nuova versione dell’art. 117 della Costituzione italiana è affidata allo Stato con la formula piena “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”; a tali concetti ci si dovrà ispirare per le riflessioni, le decisioni e le buone prassi necessarie.☺
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