L’anno che verrà
10 Gennaio 2022
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L’anno che verrà

Questa volta la voce narrante non è quella di uno degli ospiti della casa circondariale di Larino, ma è di una dei tanti volontari che hanno il privilegio di poter camminare con alcuni di loro. Sicuramente potrà sembrare strano parlare di cammino in un luogo dove la vita subisce una forzata battuta di arresto: strano gioco di parole.

Oggi vorrei provare a raccontare il mio viaggio oltre le mura, quelle mura che quattro anni fa mi hanno dato la possibilità di essere varcate per poter condividere il percorso di chi non le ha scelte volontariamente. Desidero raccontare come mi sono sentita accolta e come mi senta a casa ogni volta che passo oltre.

Spesso alcuni mi chiedono cosa mi abbia spinto ad essere volontaria in carcere. Quando ne parlo, i loro occhi cercano risposte attraverso il mio non detto. È proprio così. Non sempre le parole riescono a descrivere ciò che il cuore vive. La prima volta che ebbi la possibilità di avvicinarmi a questa realtà, fu nell’estate del 2018, quando venni invitata per uno spettacolo teatrale tenuto dai “Ragazzi dell’Alta Sicurezza”. Misero in scena la Gatta Cenerentola. Rimasi affascinata da come fossero riusciti a far sognare ognuno di noi raccontando una fiaba.

Ognuno di noi ha un grande bisogno di continuare a sognare e desiderare. La parola ‘desiderio’ deriva dal latino e vuol dire ‘mancanza di stelle’. La sera della rappresentazione teatrale su di noi c’era un meraviglioso cielo stellato. La direttrice, ringraziando tutti i presenti, si soffermò proprio su questo: disse che, dopo tanto tempo, ognuno degli attori aveva potuto guardare nuovamente un cielo stellato. Tornare a sperare. Si, sperare e continuare a sognare anche oltre le sbarre. Quella calda sera di luglio fa è ancora impressa indelebilmente nella mia memoria. Il teatro per ognuno degli ospiti rappresentava la capacità di sognare ancora e sperare. Sperare di potersi rimettere in gioco. Tante vite che hanno visto il loro corso deviare, ma vite…

La cosa che mi colpì profondamente, quando entrai a Larino, fu il rumore del pesante portone in ferro che si chiudeva dietro di noi, dietro di me, dietro chi era libero e dopo poche ore lo avrebbe attraversato per tornare fuori. Sentire quasi un boato dietro le spalle, mi lasciò interdetta. Cominciai a pensare quali sensazioni potessero aver provato tutti quelli che in questi anni lo avevano attraversato. La sua chiusura coincideva con la perdita della libertà. Una libertà che, per svariati motivi, non si era riusciti a gestire al meglio. Oltre quel pesante portone, però, c’erano delle persone. Persone con le loro storie, i loro affetti, le loro fragilità. Uomini e ragazzi che cercavano di rialzarsi e cominciare a camminare, camminare per ricostruire, camminare per rinascere, camminare per tornare alla vita. Ognuno di loro aveva, e ha, la sua storia da raccontare. In questi anni ho imparato a conoscerli. Ho imparato ad affezionarmi ad ognuno di loro. In questi quattro anni sono cresciuta anche grazie a loro.

Probabilmente potrà suonare strana la mia affermazione. Si cresce sempre, si cresce anche quando si pensa di essere fermi. Ognuno di loro mi ha fatto comprendere quanto la vita possa essere meravigliosa. Guardando loro, ho cominciato ad apprezzare sempre di più ciò che avevo. Il confronto con chi, per un periodo più o meno lungo, è ristretto, ti fa capire che la vita va spesa al meglio. Adesso, probabilmente, ci sarà chi mi dirà che non si cambia. Chi è dietro le sbarre non potrà mai avere una vita diversa. Sicuramente c’è chi non desidera cambiare e tornerà alla vecchia vita, ma c’è anche chi, oltre il muro, ha trovato la sua dimensione, ha capito che forse può esserci un’altra strada.

Il mio passato Scout ritorna ogni volta che penso alla strada. La strada vista e vissuta a 360°. La vita di ognuno di noi è una strada. È necessario partire. Da quando si nasce bisogna sempre partire, uscire dal presente e andare verso l’ avvenire. Camminare. Non ci si può fermare perché l’esistenza prosegue. L’importante è camminare sulla strada, anche se faticosa. Verso la meta.

Spesso parlando con i miei ragazzi (così mi piace chiamarli) dico loro che il futuro è davanti a noi, è fondamentale camminare con speranza. Proprio loro che oggi sono forzatamente fermi. Si può camminare sempre, si deve avere chiara la propria rotta: siamo tutti un po’ viandanti, pellegrini. Proprio questo in questi anni ho condiviso con loro. Il senso profondo del cammino. Un cammino che si può fare anche stando fermi, anche tra le quattro mura di una cella.

Abbiamo condiviso tanto: il canto, la musica, la lettura e la scrittura. Insieme abbiamo scoperto la bellezza della lettura, cercando di potenziare e consolidare il piacere di leggere, suscitando attenzione ed interesse. Abbiamo scoperto come, attraverso la lettura, ognuno potesse comprendere sempre meglio i propri talenti. Sì, ognuno ne ha, ognuno, nonostante le proprie fragilità, ha il dovere di guardarsi dentro e tornare a sperare.☺

 

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