soliloquio finale del paramour interiore - commento di | La Fonte TV
Accendi la prima luce della sera, come in una stanza
Dove riposiamo e, per piccola ragione, pensiamo
Il mondo immaginato, è il bene ultimo.
Questo è, perciò, il più intenso rendez-vous.
È in quel pensiero che raccogliamo noi stessi,
Da tutte le indifferenze, in un’unica cosa:
Entro una sola cosa, un solo scialle
Avvolto stretto intorno a noi, poiché siamo poveri, un calore,
Una luce, una forza, l’influsso miracoloso.
Qui, ora, dimentichiamo l’un l’altro e noi stessi.
Sentiamo l’oscurità di un ordine, un tutto,
Una conoscenza, ciò che ha fissato il rendez-vous.
Entro il suo confine vitale, nella mente
Diciamo Dio e l’immaginazione sono uno…
Quanto alta quell’altissima candela illumina l’oscurità.
Da questa stessa luce, dalla mente centrale,
Facciamo una dimora nell’aria della sera,
Ove essere là insieme è abbastanza.
Wallace Stevens,
La poesia è una forza distruttiva: tredici poesie, Milano, Mondatori,1979
Fra i massimi poeti americani del Novecento, troviamo Wallace Stevens per la ricercatezza formale delle sue opere e per la familiarità con le avanguardie, anche europee, quali il simbolismo francese e il cubismo. Dopo aver trascorso tutta la vita a Harford nel Connecticut lavorando in una compagnia assicurativa, negli anni precedenti alla morte, avvenuta nel 1955, parve essersi convertito al cattolicesimo. Nel Soliloquio…, composto nel 1950 e pubblicato nella raccolta The Rock, l’autore usa il linguaggio prosaico e colloquiale della riflessione interiore.
Coerentemente alla scelta di Stevens di dedicare alla poesia quella parte del tempo quotidiano dopo o prima degli impegni delle ore lavorative o familiari, Soliloquio… ci mostra un uomo nella condizione solitaria del raccoglimento delle idee e delle immagini. Tale stato mentale fa scaturire l’incontro tra la letteratura e la sua Musa ispiratrice.
A tu per tu con se stesso, la concretezza del quotidiano si riduce a poca cosa. Ciò che si rende evidente è una sola realtà, capace di dare conforto, forza e luce nel percorso esistenziale: la consapevolezza di un ordine, di un tutto percepito e conosciuto attraverso l’ispirazione e l’immaginazione, cioè tramite il momento poetico.
Decisivi sono i versi finali, il particolare atteggiamento dell’autore. Stevens non lascia spazio all’arroganza, alla pretesa vana del poeta di diventare il detentore unico dell’assolutezza.
Le parole, piuttosto, si accordano tra loro in una sorta di preghiera come in una grata forma di accoglienza per il valore del dono più prezioso che si può ricevere, per l’importanza del possedere il privilegio di un’appartenenza, scambievolmente riconosciuta in una medesima luce.
Lisa Rizzoli
lisarizzoli@aliceposta.it
Accendi la prima luce della sera, come in una stanza
Dove riposiamo e, per piccola ragione, pensiamo
Il mondo immaginato, è il bene ultimo.
Questo è, perciò, il più intenso rendez-vous.
È in quel pensiero che raccogliamo noi stessi,
Da tutte le indifferenze, in un’unica cosa:
Entro una sola cosa, un solo scialle
Avvolto stretto intorno a noi, poiché siamo poveri, un calore,
Una luce, una forza, l’influsso miracoloso.
Qui, ora, dimentichiamo l’un l’altro e noi stessi.
Sentiamo l’oscurità di un ordine, un tutto,
Una conoscenza, ciò che ha fissato il rendez-vous.
Entro il suo confine vitale, nella mente
Diciamo Dio e l’immaginazione sono uno…
Quanto alta quell’altissima candela illumina l’oscurità.
Da questa stessa luce, dalla mente centrale,
Facciamo una dimora nell’aria della sera,
Ove essere là insieme è abbastanza.
Wallace Stevens,
La poesia è una forza distruttiva: tredici poesie, Milano, Mondatori,1979
Fra i massimi poeti americani del Novecento, troviamo Wallace Stevens per la ricercatezza formale delle sue opere e per la familiarità con le avanguardie, anche europee, quali il simbolismo francese e il cubismo. Dopo aver trascorso tutta la vita a Harford nel Connecticut lavorando in una compagnia assicurativa, negli anni precedenti alla morte, avvenuta nel 1955, parve essersi convertito al cattolicesimo. Nel Soliloquio…, composto nel 1950 e pubblicato nella raccolta The Rock, l’autore usa il linguaggio prosaico e colloquiale della riflessione interiore.
Coerentemente alla scelta di Stevens di dedicare alla poesia quella parte del tempo quotidiano dopo o prima degli impegni delle ore lavorative o familiari, Soliloquio… ci mostra un uomo nella condizione solitaria del raccoglimento delle idee e delle immagini. Tale stato mentale fa scaturire l’incontro tra la letteratura e la sua Musa ispiratrice.
A tu per tu con se stesso, la concretezza del quotidiano si riduce a poca cosa. Ciò che si rende evidente è una sola realtà, capace di dare conforto, forza e luce nel percorso esistenziale: la consapevolezza di un ordine, di un tutto percepito e conosciuto attraverso l’ispirazione e l’immaginazione, cioè tramite il momento poetico.
Decisivi sono i versi finali, il particolare atteggiamento dell’autore. Stevens non lascia spazio all’arroganza, alla pretesa vana del poeta di diventare il detentore unico dell’assolutezza.
Le parole, piuttosto, si accordano tra loro in una sorta di preghiera come in una grata forma di accoglienza per il valore del dono più prezioso che si può ricevere, per l’importanza del possedere il privilegio di un’appartenenza, scambievolmente riconosciuta in una medesima luce.
soliloquio finale del paramour interiore – commento di
di
Accendi la prima luce della sera, come in una stanza
Dove riposiamo e, per piccola ragione, pensiamo
Il mondo immaginato, è il bene ultimo.
Questo è, perciò, il più intenso rendez-vous.
È in quel pensiero che raccogliamo noi stessi,
Da tutte le indifferenze, in un’unica cosa:
Entro una sola cosa, un solo scialle
Avvolto stretto intorno a noi, poiché siamo poveri, un calore,
Una luce, una forza, l’influsso miracoloso.
Qui, ora, dimentichiamo l’un l’altro e noi stessi.
Sentiamo l’oscurità di un ordine, un tutto,
Una conoscenza, ciò che ha fissato il rendez-vous.
Entro il suo confine vitale, nella mente
Diciamo Dio e l’immaginazione sono uno…
Quanto alta quell’altissima candela illumina l’oscurità.
Da questa stessa luce, dalla mente centrale,
Facciamo una dimora nell’aria della sera,
Ove essere là insieme è abbastanza.
Wallace Stevens,
La poesia è una forza distruttiva: tredici poesie, Milano, Mondatori,1979
Fra i massimi poeti americani del Novecento, troviamo Wallace Stevens per la ricercatezza formale delle sue opere e per la familiarità con le avanguardie, anche europee, quali il simbolismo francese e il cubismo. Dopo aver trascorso tutta la vita a Harford nel Connecticut lavorando in una compagnia assicurativa, negli anni precedenti alla morte, avvenuta nel 1955, parve essersi convertito al cattolicesimo. Nel Soliloquio…, composto nel 1950 e pubblicato nella raccolta The Rock, l’autore usa il linguaggio prosaico e colloquiale della riflessione interiore.
Coerentemente alla scelta di Stevens di dedicare alla poesia quella parte del tempo quotidiano dopo o prima degli impegni delle ore lavorative o familiari, Soliloquio… ci mostra un uomo nella condizione solitaria del raccoglimento delle idee e delle immagini. Tale stato mentale fa scaturire l’incontro tra la letteratura e la sua Musa ispiratrice.
A tu per tu con se stesso, la concretezza del quotidiano si riduce a poca cosa. Ciò che si rende evidente è una sola realtà, capace di dare conforto, forza e luce nel percorso esistenziale: la consapevolezza di un ordine, di un tutto percepito e conosciuto attraverso l’ispirazione e l’immaginazione, cioè tramite il momento poetico.
Decisivi sono i versi finali, il particolare atteggiamento dell’autore. Stevens non lascia spazio all’arroganza, alla pretesa vana del poeta di diventare il detentore unico dell’assolutezza.
Le parole, piuttosto, si accordano tra loro in una sorta di preghiera come in una grata forma di accoglienza per il valore del dono più prezioso che si può ricevere, per l’importanza del possedere il privilegio di un’appartenenza, scambievolmente riconosciuta in una medesima luce.
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