l corso di un pacato intervento alla direzione PD del 7 agosto scorso, Matteo Renzi ha accennato alla disastrosa situazione del Mezzogiorno ed ha annunciato, con apprezzabile chiarezza e determinazione, che a settembre il partito Democratico sarebbe uscito “con un vero e proprio Masterplan per il Sud, fatto di proposte concrete”. Il segretario nazionale del PD, che attualmente guida il Paese da Palazzo Chigi, ha preso l’oneroso impegno di affrontare il tema del Mezzogiorno senza improvvisazioni e con un metodo scientifico. Possiamo, dunque, aspettarci che l’arduo obiettivo di ridurre, gradualmente ma drasticamente, le distanze tra Nord e Sud sarà perseguito, d’ora in poi, con l’adozione di precise linee strategiche pluriennali di governo che individueranno strumenti normativi, modalità organizzative e strumenti finanziari da attivare e monitorare costantemente.
Tutto bene, dunque? Assolutamente no, almeno per il momento. Il Masterplan non c’è ancora e nulla sappiamo sugli obiettivi che dovrà perseguire e sugli strumenti che saranno messi a disposizione dello stesso. In attesa del Masterplan, sospendiamo doverosamente il giudizio. C’è, però, in questa vicenda qualcosa che possiamo e dobbiamo giudicare subito e con la maggiore severità possibile. L’accertato rischio, certificato dallo Svimez, di un Sud condannato al sottosviluppo permanente non ha chiamato in causa solo il Capo del Governo nazionale, ma anche le classi dirigenti di questa parte d’Italia, a partire dai presidenti delle regioni. Molti di loro sono stati eletti di recente e non hanno responsabilità dirette sul fallimento che i loro predecessori hanno collezionato insieme ai dirigenti imprenditoriali, sindacali e del mondo finanziario.
Questo avrebbe dovuto renderli liberi di condannare immediatamente e senza appello i veri e propri crimini perpetrati nei decenni, come il parziale e inappropriato utilizzo dei fondi comunitari, il sistematico dirottamento di stanziamenti destinati al Sud, l’insufficiente attenzione ai temi della legalità, l’assenza di una credibile pianificazione strategica nazionale per la crescita delle aree in ritardo di sviluppo. La condanna qui evocata avrebbe potuto costituire un sostanzioso capitale di credibilità per coloro che vogliono davvero cambiare rotta e che non si limitano ad aspettare le indicazioni del governo sulla nuova strada da seguire.
I presidenti hanno prima balbettato, sono poi sprofondati in un reticente silenzio e, sopratutto, sono rimasti inattivi. Essi, però, sono nella condizione di poter recuperare rapidamente il tempo perduto, passando all’azione. Per fare cosa? Prendere in parola Renzi e chiedergli di farli partecipare direttamente e attivamente alla stesura del Masterplan per il rilancio del Sud. Una simile mossa non sarebbe semplice come l’impugnazione dei provvedimenti sulla “buona scuola” o l’opposizione alle trivellazioni in Adriatico. Per partecipare alla stesura di un Masterplan finalizzato al rilancio del Mezzogiorno bisogna essere pronti a fare un serio sforzo di elaborazione e a rinunciare a molte facili leve del potere e del consenso.
Per entrare nel merito di una questione che richiederebbe ben altro spazio di approfondimento, pare opportuno fare qualche riferimento preciso ai pilastri portanti di qualsiasi Masterplan per la rivitalizzazione del Sud: le risorse finanziarie e la cultura della legalità.
Diamo qui per scontata la volontà di predisporre, per il Mezzogiorno, un piano di sviluppo coerente con gli obiettivi della “Strategia Europa 2020”, che punta a rilanciare l’economia dell’UE nel prossimo decennio, raggiungendo elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale e rivolgiamo la nostra attenzione alle leve finanziarie e fiscali necessarie per far ripartire un motore produttivo affaticato. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha detto di recente che il governo sta studiando agevolazioni fiscali per il Mezzogiorno compatibili con le normative europee. È una buona notizia, che accompagniamo con la nostra esortazione al governo ad impegnarsi per l’irrobustimento e l’attivazione del Piano Juncker per gli investimenti, ma non basta. Quello che serve da subito è l’impegno congiunto del governo centrale e dei governi regionali a creare le condizioni per spendere interamente e bene i fondi della programmazione 2014/2020, anche attivando subito l’Agenzia nazionale per la coesione territoriale, per evitare il ripetersi di quanto accaduto per i fondi strutturali del passato, che sono stati dispersi in mille rivoli e, in buona parte, restituiti a Bruxelles.
Ma qui entrano in gioco i temi del potere, del consenso, e della legalità. Sono pronti i nostri governi regionali a rinunciare alla pratica del frazionamento delle risorse in centinaia di migliaia di microprogetti che uccidono l’economia, alimentano il clientelismo e minano la cultura della legalità? E il governo è pronto a smetterla di dirottare altrove i fondi destinati al cofinanziamento degli interventi comunitari?
Lo vedremo con l’annunciata e auspicabile nascita del Masterplan per il Mezzogiorno.☺
l corso di un pacato intervento alla direzione PD del 7 agosto scorso, Matteo Renzi ha accennato alla disastrosa situazione del Mezzogiorno ed ha annunciato, con apprezzabile chiarezza e determinazione, che a settembre il partito Democratico sarebbe uscito “con un vero e proprio Masterplan per il Sud, fatto di proposte concrete”. Il segretario nazionale del PD, che attualmente guida il Paese da Palazzo Chigi, ha preso l’oneroso impegno di affrontare il tema del Mezzogiorno senza improvvisazioni e con un metodo scientifico. Possiamo, dunque, aspettarci che l’arduo obiettivo di ridurre, gradualmente ma drasticamente, le distanze tra Nord e Sud sarà perseguito, d’ora in poi, con l’adozione di precise linee strategiche pluriennali di governo che individueranno strumenti normativi, modalità organizzative e strumenti finanziari da attivare e monitorare costantemente.
Tutto bene, dunque? Assolutamente no, almeno per il momento. Il Masterplan non c’è ancora e nulla sappiamo sugli obiettivi che dovrà perseguire e sugli strumenti che saranno messi a disposizione dello stesso. In attesa del Masterplan, sospendiamo doverosamente il giudizio. C’è, però, in questa vicenda qualcosa che possiamo e dobbiamo giudicare subito e con la maggiore severità possibile. L’accertato rischio, certificato dallo Svimez, di un Sud condannato al sottosviluppo permanente non ha chiamato in causa solo il Capo del Governo nazionale, ma anche le classi dirigenti di questa parte d’Italia, a partire dai presidenti delle regioni. Molti di loro sono stati eletti di recente e non hanno responsabilità dirette sul fallimento che i loro predecessori hanno collezionato insieme ai dirigenti imprenditoriali, sindacali e del mondo finanziario.
Questo avrebbe dovuto renderli liberi di condannare immediatamente e senza appello i veri e propri crimini perpetrati nei decenni, come il parziale e inappropriato utilizzo dei fondi comunitari, il sistematico dirottamento di stanziamenti destinati al Sud, l’insufficiente attenzione ai temi della legalità, l’assenza di una credibile pianificazione strategica nazionale per la crescita delle aree in ritardo di sviluppo. La condanna qui evocata avrebbe potuto costituire un sostanzioso capitale di credibilità per coloro che vogliono davvero cambiare rotta e che non si limitano ad aspettare le indicazioni del governo sulla nuova strada da seguire.
I presidenti hanno prima balbettato, sono poi sprofondati in un reticente silenzio e, sopratutto, sono rimasti inattivi. Essi, però, sono nella condizione di poter recuperare rapidamente il tempo perduto, passando all’azione. Per fare cosa? Prendere in parola Renzi e chiedergli di farli partecipare direttamente e attivamente alla stesura del Masterplan per il rilancio del Sud. Una simile mossa non sarebbe semplice come l’impugnazione dei provvedimenti sulla “buona scuola” o l’opposizione alle trivellazioni in Adriatico. Per partecipare alla stesura di un Masterplan finalizzato al rilancio del Mezzogiorno bisogna essere pronti a fare un serio sforzo di elaborazione e a rinunciare a molte facili leve del potere e del consenso.
Per entrare nel merito di una questione che richiederebbe ben altro spazio di approfondimento, pare opportuno fare qualche riferimento preciso ai pilastri portanti di qualsiasi Masterplan per la rivitalizzazione del Sud: le risorse finanziarie e la cultura della legalità.
Diamo qui per scontata la volontà di predisporre, per il Mezzogiorno, un piano di sviluppo coerente con gli obiettivi della “Strategia Europa 2020”, che punta a rilanciare l’economia dell’UE nel prossimo decennio, raggiungendo elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale e rivolgiamo la nostra attenzione alle leve finanziarie e fiscali necessarie per far ripartire un motore produttivo affaticato. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha detto di recente che il governo sta studiando agevolazioni fiscali per il Mezzogiorno compatibili con le normative europee. È una buona notizia, che accompagniamo con la nostra esortazione al governo ad impegnarsi per l’irrobustimento e l’attivazione del Piano Juncker per gli investimenti, ma non basta. Quello che serve da subito è l’impegno congiunto del governo centrale e dei governi regionali a creare le condizioni per spendere interamente e bene i fondi della programmazione 2014/2020, anche attivando subito l’Agenzia nazionale per la coesione territoriale, per evitare il ripetersi di quanto accaduto per i fondi strutturali del passato, che sono stati dispersi in mille rivoli e, in buona parte, restituiti a Bruxelles.
Ma qui entrano in gioco i temi del potere, del consenso, e della legalità. Sono pronti i nostri governi regionali a rinunciare alla pratica del frazionamento delle risorse in centinaia di migliaia di microprogetti che uccidono l’economia, alimentano il clientelismo e minano la cultura della legalità? E il governo è pronto a smetterla di dirottare altrove i fondi destinati al cofinanziamento degli interventi comunitari?
Lo vedremo con l’annunciata e auspicabile nascita del Masterplan per il Mezzogiorno.☺
l corso di un pacato intervento alla direzione PD del 7 agosto scorso, Matteo Renzi ha accennato alla disastrosa situazione del Mezzogiorno ed ha annunciato, con apprezzabile chiarezza e determinazione, che a settembre il partito Democratico sarebbe uscito “con un vero e proprio Masterplan per il Sud, fatto di proposte concrete”. Il segretario nazionale del PD, che attualmente guida il Paese da Palazzo Chigi, ha preso l’oneroso impegno di affrontare il tema del Mezzogiorno senza improvvisazioni e con un metodo scientifico. Possiamo, dunque, aspettarci che l’arduo obiettivo di ridurre, gradualmente ma drasticamente, le distanze tra Nord e Sud sarà perseguito, d’ora in poi, con l’adozione di precise linee strategiche pluriennali di governo che individueranno strumenti normativi, modalità organizzative e strumenti finanziari da attivare e monitorare costantemente.
Tutto bene, dunque? Assolutamente no, almeno per il momento. Il Masterplan non c’è ancora e nulla sappiamo sugli obiettivi che dovrà perseguire e sugli strumenti che saranno messi a disposizione dello stesso. In attesa del Masterplan, sospendiamo doverosamente il giudizio. C’è, però, in questa vicenda qualcosa che possiamo e dobbiamo giudicare subito e con la maggiore severità possibile. L’accertato rischio, certificato dallo Svimez, di un Sud condannato al sottosviluppo permanente non ha chiamato in causa solo il Capo del Governo nazionale, ma anche le classi dirigenti di questa parte d’Italia, a partire dai presidenti delle regioni. Molti di loro sono stati eletti di recente e non hanno responsabilità dirette sul fallimento che i loro predecessori hanno collezionato insieme ai dirigenti imprenditoriali, sindacali e del mondo finanziario.
Questo avrebbe dovuto renderli liberi di condannare immediatamente e senza appello i veri e propri crimini perpetrati nei decenni, come il parziale e inappropriato utilizzo dei fondi comunitari, il sistematico dirottamento di stanziamenti destinati al Sud, l’insufficiente attenzione ai temi della legalità, l’assenza di una credibile pianificazione strategica nazionale per la crescita delle aree in ritardo di sviluppo. La condanna qui evocata avrebbe potuto costituire un sostanzioso capitale di credibilità per coloro che vogliono davvero cambiare rotta e che non si limitano ad aspettare le indicazioni del governo sulla nuova strada da seguire.
I presidenti hanno prima balbettato, sono poi sprofondati in un reticente silenzio e, sopratutto, sono rimasti inattivi. Essi, però, sono nella condizione di poter recuperare rapidamente il tempo perduto, passando all’azione. Per fare cosa? Prendere in parola Renzi e chiedergli di farli partecipare direttamente e attivamente alla stesura del Masterplan per il rilancio del Sud. Una simile mossa non sarebbe semplice come l’impugnazione dei provvedimenti sulla “buona scuola” o l’opposizione alle trivellazioni in Adriatico. Per partecipare alla stesura di un Masterplan finalizzato al rilancio del Mezzogiorno bisogna essere pronti a fare un serio sforzo di elaborazione e a rinunciare a molte facili leve del potere e del consenso.
Per entrare nel merito di una questione che richiederebbe ben altro spazio di approfondimento, pare opportuno fare qualche riferimento preciso ai pilastri portanti di qualsiasi Masterplan per la rivitalizzazione del Sud: le risorse finanziarie e la cultura della legalità.
Diamo qui per scontata la volontà di predisporre, per il Mezzogiorno, un piano di sviluppo coerente con gli obiettivi della “Strategia Europa 2020”, che punta a rilanciare l’economia dell’UE nel prossimo decennio, raggiungendo elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale e rivolgiamo la nostra attenzione alle leve finanziarie e fiscali necessarie per far ripartire un motore produttivo affaticato. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha detto di recente che il governo sta studiando agevolazioni fiscali per il Mezzogiorno compatibili con le normative europee. È una buona notizia, che accompagniamo con la nostra esortazione al governo ad impegnarsi per l’irrobustimento e l’attivazione del Piano Juncker per gli investimenti, ma non basta. Quello che serve da subito è l’impegno congiunto del governo centrale e dei governi regionali a creare le condizioni per spendere interamente e bene i fondi della programmazione 2014/2020, anche attivando subito l’Agenzia nazionale per la coesione territoriale, per evitare il ripetersi di quanto accaduto per i fondi strutturali del passato, che sono stati dispersi in mille rivoli e, in buona parte, restituiti a Bruxelles.
Ma qui entrano in gioco i temi del potere, del consenso, e della legalità. Sono pronti i nostri governi regionali a rinunciare alla pratica del frazionamento delle risorse in centinaia di migliaia di microprogetti che uccidono l’economia, alimentano il clientelismo e minano la cultura della legalità? E il governo è pronto a smetterla di dirottare altrove i fondi destinati al cofinanziamento degli interventi comunitari?
Lo vedremo con l’annunciata e auspicabile nascita del Masterplan per il Mezzogiorno.☺
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