distretti energetici agricoli
22 Aprile 2010 Share

distretti energetici agricoli

 

Riprendendo il percorso intrapreso nei precedenti numeri della rivista, aggiungiamo in questa pagina qualche altro tassello nel tentativo di dare concretezza alla nostra proposta di economia “alternativa”: economia sobria, locale, responsabile e solidale come esempio di economia equa e sostenibile. Presteremo quindi la dovuta attenzione al tema delle biomasse agricole energetiche, nella specifica dimensione locale dei “distretti energetici agricoli”.

Le realizzazioni pratiche sul territorio molisano possono essere varie: centrali cogenerative (calore/elettricità) o trigenerative (calore/elettricità/refrigerazione) a biomasse agricole a livello comunale, sub-comunale o di singola azienda agricola, basate su caldaie a combustione alimentate con cippato di legna e turbine a vapore per la produzione di calore ed elettricità; gruppi elettrogeni ad olio vegetale con scambiatori di calore per la produzione di energia termica; bruciatori ad olio vegetale per riscaldamento domestico. Come reperire il combustibile che verrebbe usato in questo tipo di impianti? Organizzando e coordinando in maniera razionale la raccolta delle biomasse agricole solide o liquide esistenti in loco: il “cippato” – cioè legname triturato e trasformato in scaglie derivante da colture lignee dedicate, residui delle potature di olivi, viti ed alberi da frutto, residui forestali, ornamentali e colturali – e l'olio vegetale ottenuto dalla sola spremitura dei semi di girasole appositamente coltivato su una frazione delle superfici agricole aziendali.

Le scale dimensionali di questi impianti sarebbero facilmente adattabili alle singole esigenze: le centrali termiche a gasolio o a metano di un ospedale, una scuola, una casa di riposo o una palestra trasformate in piccoli impianti termici o cogenerativi/trigenerativi a biomasse; la caldaia a gasolio o a metano di un fabbricato residenziale sostituita da un bruciatore ad olio vegetale; la richiesta termica ed elettrica di una azienda agricola soddisfatta non con il ricorso a fonti energetiche esterne ma sfruttando tutta la biomassa agricola prodotta all'interno dell'azienda stessa. Ancora, si pensi a centrali comunali a biomassa, diffuse sul territorio, per la produzione di elettricità da immettere nella rete locale e di calore da distribuire mediante sistemi di teleriscaldamento. Dove per comunale si intende non solo la scala territoriale e dimensionale dell'impianto ma anche il fatto che lo stesso sarebbe comune, pubblico. Si tratta, ancora una volta, di pensare ed agire secondo logiche di filiera decentrata e sostenibile: nel valutare la dimensione economico-finanziaria di una tale iniziativa, bisognerà tenere in debita considerazione che quello che può apparire un costo, l'acquisto del combustibile, è in realtà un ricavo per la collettività perché la biomassa agricola è acquistata direttamente dai coltivatori locali, con evidenti ricadute positive sull'intero tessuto economico locale. Senza trascurare il fatto che la diffusione sul territorio degli impianti, in alternativa alla concentrazione su poche grandi strutture, tende ad armonizzare la disponibilità locale di biomassa con la richiesta di energia, evitando il trasporto della biomassa su lunghe distanze, con evidente minimizzazione dell'impatto ambientale e dei costi da sostenere (si presti la dovuta attenzione al fatto che anche il legname inquina, se si è costretti a trasportarlo su camion per centinaia di chilometri).

Progetti del tipo appena indicato porterebbero indubbi vantaggi sul piano ambientale, in quanto permettono un migliore utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, con immediate riduzioni delle emissioni inquinanti dovute all'impiego di gasolio e metano; sul piano economico/ambientale, in quanto permettono di ridurre la dipendenza dal petrolio e dai combustibili di origine fossile, e apportano, inoltre, un importante contributo sulla strada del rispetto del Protocollo di Kyoto, riducendo le emissioni di gas che producono effetto serra; sul piano dello sviluppo locale sostenibile, perché le colture energetiche, ottenute attraverso procedimenti tecnico-agronomici con ridotto impiego di input esterni, possono essere per le imprese agricole uno strumento per l'autosufficienza energetica e una fonte di reddito alternativa e possono contribuire al recupero delle aree incolte e marginali, al presidio del territorio e alla lotta al dissesto idrogeologico; sul piano della democrazia energetica, perché la produzione di energia termica ed elettrica non sarebbe concentrata in poche grandi centrali ma diffusa sul territorio, governata e controllata dalle comunità.

E non si pensi alla presente proposta come ad un insieme di progetti lontani ed illusori, perché in realtà le soluzioni indicate sono basate su tecnologie già esistenti e sperimentate, per le quali è ampiamente dimostrata la possibilità teorica, la fattibilità tecnica, l'efficienza energetica, la sostenibilità ambientale ed economica e, non ultima, la capacità di farci.progredire nell'utilizzo razionale ed efficiente della biomassa agricola per la produzione diffusa di energia termica ed elettrica.

Un'ultima annotazione: attraverso gli accorgimenti indicati sarà possibile orientare parzialmente la nostra agricoltura verso le coltivazioni energetiche, ripartendo con saggezza le superfici colturali a disposizione, senza entrare in conflitto quindi con la produzione alimentare ed anzi facendo progredire di pari passo le filiere agroalimentari biologiche e di qualità, il mercato locale e i distretti rurali, lungo il sentiero della ricostruzione di una “economia delle relazioni”. ☺

 

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