Siamo a dicembre, mese del Natale, simbolo di pace e fratellanza tra i popoli.
Le vicende di questi giorni, la campagna contro i romeni, ci allontanano dal Natale. Lo Stato deve legiferare e garantire i cittadini, questo è indubbio. Ma passare alle squadriglie o al far west è altra cosa. Omologare tutti i romeni in Italia a delinquenti non è umano. E’ contro ogni regola di vita. Il delinquente in tutti i popoli e nazioni, come tale, deve essere perseguito dalle leggi, senza incertezze o dubbi: solo così saranno ristabilite le regole della giusta e corretta convivenza.
Preoccupa il riemergere di crociate lanciate dal mondo occidentale. Nel nome di Cristo e nel segno della Croce sono stati commessi orrendi delitti e numerose nefandezze. Il mondo cattolico, quasi a giustificare la teoria dei corsi e ricorsi della storia di vichiana memoria, si veste da giudice e vuole fare giustizia sommaria, come il popolo “ romano” che si placava con il sangue degli innocenti.
Parliamo spesso dell’integralismo islamico, dimenticando l’integralismo occidentale, cristiano e cattolico. O noi riteniamo di essere immuni da questi peccati?
Il nostro integralismo è certamente più raffinato, più ricercato, più sofisticato, perciò meno appariscente.
Curcio e company sono nati nelle sacrestie, nel segno dell’integralismo e degli “ismi” che aleggiano in molti ambienti anche di chiesa.
Quanti per nascondere i loro fallimenti personali, familiari e di lavoro ancora oggi utilizzano le sacrestie per scaricare rancori, risentimenti e gli “ismi” dall’egoismo al pietismo, seminando zizzania e non grano, dividendo e facendo “crocchie” e non comunità. Quanti ritengono di essere impegnati nelle attività delle parrocchie, ma nella vita quotidiana non sono educatori per i figli, leali e premurosi nella vita di coppia, assenti dall’impegno sociale, trincerandosi dietro la frase priva di ogni senso “io non faccio politica”?
Il Natale ci impone di pensare, sognare, sperare e lottare per una società concretamente diversa, dove ognuno è veramente al servizio degli altri. Una società dove ognuno alza la croce e non la utilizzi per farsene scudo. Solo così forse riusciamo a superare questa era che, come sostiene un mio carissimo e fidato amico, è segnata dal trionfo dell’individualismo pervaso dall’ignoranza.
La Chiesa, quella di frontiera, ha sin dall’inizio sostenuto le settimane sociali che hanno come fondamento i temi etici e il bene comune, aspetti dimenticati nella nostra epoca.
Cento anni fa Giuseppe Toniolo con altri cattolici laici intellettuali, prendendo ispirazione dalla Rerum Novarum, istituì le settimane sociali, pur sapendo che doveva scontrarsi con due culture e ambienti avversi: il socialismo di impronta marxista e la massoneria. Ossia lo statalismo e il capitalismo.
A Camaldoli, nel 1943, un gruppo di intellettuali cattolici elaborò i concetti di economia mista che hanno consentito la crescita della nostra nazione, ponendo al centro delle attenzioni non gli “ismi” di tanti ambienti, ahimè anche di matrice cattolica, ma il bene comune, guardando ai più deboli, ai poveri, a chi meno ha. Ponevano in pratica il messaggio della capanna di Betlemme.
A Pisa in occasione dell’ultima settimana sociale è stata sostenuta la necessità di dar vita ad un terzo pilastro della politica sociale, quello della solidarietà. Il mondo cattolico, in particolare, è chiamato a lavorare, riflettere, suggerire in un operoso silenzio, per il bene comune.
Il Papa ha voluto porre l’attenzione sul tema del precariato e sull’universo giovanile. Il precariato arreca danno ai giovani soprattutto perché è un impedimento per la costruzione della famiglia, fondamento del bene comune. Ma per far emergere il bene comune bisogna aprirsi alla realtà sociale, superare i piccoli orticelli o nicchie ricavate in ambiti angusti e fare scelte coraggiose e forti. Oggi, e non mi scomunichi don Antonio, forse serve un rosario in meno e più forte partecipazione al tessuto sociale. I cattolici devono partecipare sempre più alla vita politica e sociale, a tutti i livelli per il trionfo, come ha sostenuto Zamagni a Pisa, della democrazia della prossimità come vero antitodo all’antipolitica.
Il Natale del 2007 dovrebbe far esplodere l’impegno dei cattolici per superare gli egoismi, far trionfare la giustizia e il rispetto tra e per la gente di ogni razza e nazionalità. La nostra fede ci chiama a impegnarci, chiedendoci una partecipazione sempre maggiore. ☺
mario@ialenti.it
Siamo a dicembre, mese del Natale, simbolo di pace e fratellanza tra i popoli.
Le vicende di questi giorni, la campagna contro i romeni, ci allontanano dal Natale. Lo Stato deve legiferare e garantire i cittadini, questo è indubbio. Ma passare alle squadriglie o al far west è altra cosa. Omologare tutti i romeni in Italia a delinquenti non è umano. E’ contro ogni regola di vita. Il delinquente in tutti i popoli e nazioni, come tale, deve essere perseguito dalle leggi, senza incertezze o dubbi: solo così saranno ristabilite le regole della giusta e corretta convivenza.
Preoccupa il riemergere di crociate lanciate dal mondo occidentale. Nel nome di Cristo e nel segno della Croce sono stati commessi orrendi delitti e numerose nefandezze. Il mondo cattolico, quasi a giustificare la teoria dei corsi e ricorsi della storia di vichiana memoria, si veste da giudice e vuole fare giustizia sommaria, come il popolo “ romano” che si placava con il sangue degli innocenti.
Parliamo spesso dell’integralismo islamico, dimenticando l’integralismo occidentale, cristiano e cattolico. O noi riteniamo di essere immuni da questi peccati?
Il nostro integralismo è certamente più raffinato, più ricercato, più sofisticato, perciò meno appariscente.
Curcio e company sono nati nelle sacrestie, nel segno dell’integralismo e degli “ismi” che aleggiano in molti ambienti anche di chiesa.
Quanti per nascondere i loro fallimenti personali, familiari e di lavoro ancora oggi utilizzano le sacrestie per scaricare rancori, risentimenti e gli “ismi” dall’egoismo al pietismo, seminando zizzania e non grano, dividendo e facendo “crocchie” e non comunità. Quanti ritengono di essere impegnati nelle attività delle parrocchie, ma nella vita quotidiana non sono educatori per i figli, leali e premurosi nella vita di coppia, assenti dall’impegno sociale, trincerandosi dietro la frase priva di ogni senso “io non faccio politica”?
Il Natale ci impone di pensare, sognare, sperare e lottare per una società concretamente diversa, dove ognuno è veramente al servizio degli altri. Una società dove ognuno alza la croce e non la utilizzi per farsene scudo. Solo così forse riusciamo a superare questa era che, come sostiene un mio carissimo e fidato amico, è segnata dal trionfo dell’individualismo pervaso dall’ignoranza.
La Chiesa, quella di frontiera, ha sin dall’inizio sostenuto le settimane sociali che hanno come fondamento i temi etici e il bene comune, aspetti dimenticati nella nostra epoca.
Cento anni fa Giuseppe Toniolo con altri cattolici laici intellettuali, prendendo ispirazione dalla Rerum Novarum, istituì le settimane sociali, pur sapendo che doveva scontrarsi con due culture e ambienti avversi: il socialismo di impronta marxista e la massoneria. Ossia lo statalismo e il capitalismo.
A Camaldoli, nel 1943, un gruppo di intellettuali cattolici elaborò i concetti di economia mista che hanno consentito la crescita della nostra nazione, ponendo al centro delle attenzioni non gli “ismi” di tanti ambienti, ahimè anche di matrice cattolica, ma il bene comune, guardando ai più deboli, ai poveri, a chi meno ha. Ponevano in pratica il messaggio della capanna di Betlemme.
A Pisa in occasione dell’ultima settimana sociale è stata sostenuta la necessità di dar vita ad un terzo pilastro della politica sociale, quello della solidarietà. Il mondo cattolico, in particolare, è chiamato a lavorare, riflettere, suggerire in un operoso silenzio, per il bene comune.
Il Papa ha voluto porre l’attenzione sul tema del precariato e sull’universo giovanile. Il precariato arreca danno ai giovani soprattutto perché è un impedimento per la costruzione della famiglia, fondamento del bene comune. Ma per far emergere il bene comune bisogna aprirsi alla realtà sociale, superare i piccoli orticelli o nicchie ricavate in ambiti angusti e fare scelte coraggiose e forti. Oggi, e non mi scomunichi don Antonio, forse serve un rosario in meno e più forte partecipazione al tessuto sociale. I cattolici devono partecipare sempre più alla vita politica e sociale, a tutti i livelli per il trionfo, come ha sostenuto Zamagni a Pisa, della democrazia della prossimità come vero antitodo all’antipolitica.
Il Natale del 2007 dovrebbe far esplodere l’impegno dei cattolici per superare gli egoismi, far trionfare la giustizia e il rispetto tra e per la gente di ogni razza e nazionalità. La nostra fede ci chiama a impegnarci, chiedendoci una partecipazione sempre maggiore. ☺
Siamo a dicembre, mese del Natale, simbolo di pace e fratellanza tra i popoli.
Le vicende di questi giorni, la campagna contro i romeni, ci allontanano dal Natale. Lo Stato deve legiferare e garantire i cittadini, questo è indubbio. Ma passare alle squadriglie o al far west è altra cosa. Omologare tutti i romeni in Italia a delinquenti non è umano. E’ contro ogni regola di vita. Il delinquente in tutti i popoli e nazioni, come tale, deve essere perseguito dalle leggi, senza incertezze o dubbi: solo così saranno ristabilite le regole della giusta e corretta convivenza.
Preoccupa il riemergere di crociate lanciate dal mondo occidentale. Nel nome di Cristo e nel segno della Croce sono stati commessi orrendi delitti e numerose nefandezze. Il mondo cattolico, quasi a giustificare la teoria dei corsi e ricorsi della storia di vichiana memoria, si veste da giudice e vuole fare giustizia sommaria, come il popolo “ romano” che si placava con il sangue degli innocenti.
Parliamo spesso dell’integralismo islamico, dimenticando l’integralismo occidentale, cristiano e cattolico. O noi riteniamo di essere immuni da questi peccati?
Il nostro integralismo è certamente più raffinato, più ricercato, più sofisticato, perciò meno appariscente.
Curcio e company sono nati nelle sacrestie, nel segno dell’integralismo e degli “ismi” che aleggiano in molti ambienti anche di chiesa.
Quanti per nascondere i loro fallimenti personali, familiari e di lavoro ancora oggi utilizzano le sacrestie per scaricare rancori, risentimenti e gli “ismi” dall’egoismo al pietismo, seminando zizzania e non grano, dividendo e facendo “crocchie” e non comunità. Quanti ritengono di essere impegnati nelle attività delle parrocchie, ma nella vita quotidiana non sono educatori per i figli, leali e premurosi nella vita di coppia, assenti dall’impegno sociale, trincerandosi dietro la frase priva di ogni senso “io non faccio politica”?
Il Natale ci impone di pensare, sognare, sperare e lottare per una società concretamente diversa, dove ognuno è veramente al servizio degli altri. Una società dove ognuno alza la croce e non la utilizzi per farsene scudo. Solo così forse riusciamo a superare questa era che, come sostiene un mio carissimo e fidato amico, è segnata dal trionfo dell’individualismo pervaso dall’ignoranza.
La Chiesa, quella di frontiera, ha sin dall’inizio sostenuto le settimane sociali che hanno come fondamento i temi etici e il bene comune, aspetti dimenticati nella nostra epoca.
Cento anni fa Giuseppe Toniolo con altri cattolici laici intellettuali, prendendo ispirazione dalla Rerum Novarum, istituì le settimane sociali, pur sapendo che doveva scontrarsi con due culture e ambienti avversi: il socialismo di impronta marxista e la massoneria. Ossia lo statalismo e il capitalismo.
A Camaldoli, nel 1943, un gruppo di intellettuali cattolici elaborò i concetti di economia mista che hanno consentito la crescita della nostra nazione, ponendo al centro delle attenzioni non gli “ismi” di tanti ambienti, ahimè anche di matrice cattolica, ma il bene comune, guardando ai più deboli, ai poveri, a chi meno ha. Ponevano in pratica il messaggio della capanna di Betlemme.
A Pisa in occasione dell’ultima settimana sociale è stata sostenuta la necessità di dar vita ad un terzo pilastro della politica sociale, quello della solidarietà. Il mondo cattolico, in particolare, è chiamato a lavorare, riflettere, suggerire in un operoso silenzio, per il bene comune.
Il Papa ha voluto porre l’attenzione sul tema del precariato e sull’universo giovanile. Il precariato arreca danno ai giovani soprattutto perché è un impedimento per la costruzione della famiglia, fondamento del bene comune. Ma per far emergere il bene comune bisogna aprirsi alla realtà sociale, superare i piccoli orticelli o nicchie ricavate in ambiti angusti e fare scelte coraggiose e forti. Oggi, e non mi scomunichi don Antonio, forse serve un rosario in meno e più forte partecipazione al tessuto sociale. I cattolici devono partecipare sempre più alla vita politica e sociale, a tutti i livelli per il trionfo, come ha sostenuto Zamagni a Pisa, della democrazia della prossimità come vero antitodo all’antipolitica.
Il Natale del 2007 dovrebbe far esplodere l’impegno dei cattolici per superare gli egoismi, far trionfare la giustizia e il rispetto tra e per la gente di ogni razza e nazionalità. La nostra fede ci chiama a impegnarci, chiedendoci una partecipazione sempre maggiore. ☺
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