sulla solidarietà
16 Aprile 2010 Share

sulla solidarietà

 

Avevamo pensato in linea generale che per questo numero de “La Fonte” potesse essere presente una riflessione complessiva sulla questione, oggi per nulla minimale, del rapporto fra la “nonviolenza” e i “conflitti di classe”, ossia fra la filosofia nonviolenta dell’azione politica e del rapporto con le classi dirigenti e la praxis del conflitto di classe, che sul versante della lotta sindacale e su quello della dialettica appare molto diversa dalla nonviolenza, addirittura antitetica.

La nonviolenza e il conflitto sono entrambi necessari nella quotidianità politica e nel rapporto con le classi politiche dirigenti. Nello stesso momento siamo convinti che il tema della nonviolenza è per noi un argomento sul quale dobbiamo procedere tenendo ben presente la lezione di pensiero e di civiltà di un maestro insuperabile quale è (stato)  Piergiorgio Acquistapace, delicato e civile sostenitore delle tesi capitiniane, insostituibile propugnatore di quelle tesi che oggi rischiano di apparire risibili in un mondo distratto e superficiale come è la nostra società contemporanea. Alla luce di queste note riprenderemo con affettuosa deferenza le argomentazioni sulla pace/nonviolenza e sui legami che questi nodi hanno ed implicano con il conflitto di classe, antagonistico e spesso violento.

Sulla base di queste argomentazioni, dunque, ci soffermiamo nuovamente sul concetto di “solidarietà” nei confronti di coloro che soffrono per la precarietà dell’esistenza o, come nel caso delle cronache di questi ultimi giorni, che patiscono per la superficialità se non per la “cecità” della classe governante, distratta, insignificante, approssimativa, arrogante, non vedente e dunque per tali motivazioni da sostituire,  come si dice in queste circostanze,  “adesso e subito”.

Le immagini della spazzatura e dei rifiuti sono ben drammaticamente presenti e lasciano pensare non solo alla difficoltà della soluzione del problema ma anche alla refrattarietà impudica e insolente della classe dirigente locale e nazionale, che, pur in presenza di tali annose e non risolte problematiche, le scaricano sulle (s)palle degli altri, facendo silenzio sulle proprie personali responsabilità (pensiamo, per esempio, al presidente del consiglio, al ministro dell’ambiente, al governatore della regione campana, al sindaco di Napoli, ai vari commissari straordinari che si sono succeduti in Campania negli ultimi 14/15 anni, gli anni dell’emergenza appunto della spazzatura, dei rifiuti, della “munnezza”).

Tuttavia, pur in presenza di tali immani problemi che meritano un’analisi puntuale e propositiva, noi in parte lasciamo il terreno propriamente politico per affrontarne un altro, quello più vicino alla sensibilità della gente comune che o chiede solidarietà ed aiuto nella soluzione immediata del problema dello smaltimento dei rifiuti e nella richiesta di liberare le strade delle città dalla immondizia, cosa che si fa con la solidale vicinanza di altre comunità d’Italia, disponibili a  raccogliere nelle proprie discariche i rifiuti, naturalmente organici e frutto di una selezione da raccolta differenziata, oppure esprime un inequivocabile rifiuto della proposta di solidarietà avanzata dalle autorità napoletane, pur in presenza delle loro gravi responsabilità, di certo anche legali.

Raccolta differenziata

Noi assistiamo quotidianamente a servizi radio-televisivi o leggiamo sui quotidiani locali e nazionali delle reazioni della gente comune al tema irrisolto dei rifiuti, oggi napoletani ma domani di tutta la collettività nazionale se non si punta sulla educazione alla raccolta differenziata: queste reazioni sono violente, quasi sempre irrazionali, solo in rari casi sono reazioni di spontanea e civile solidarietà nei confronti di popolazioni, quelle campane, che hanno solo il torto di aver con civiltà spesso e con dignità sperato che le proprie classi dirigenti potessero risolvere il problema dell’immondizia, pur a fronte di pesanti macigni quali la camorra napoletana o la complicità delle classi governative con tale struttura perversa e onnivora nella non risoluzione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti.

Non c’è stato finora il silenzio complice della popolazione ma la sua tacita convinzione che il problema dei rifiuti potesse essere risolto in tempi ragionevoli; invece oggi noi constatiamo con amarezza di essere di fronte ad un nodo gordiano che richiede un taglio, una cesura radicale, che non sono affatto rappresentati dalla nomina di un nuovo commissario straordinario, l’ex capo della polizia, ma da una strategia a più largo raggio, di cui sia il governo nazionale sia quelli regional-locali dovrebbero farsi carico: da un lato il rispetto delle norme che esistono e che devono semplicemente essere applicate, magari, in questo frangente terribile,  con l’ausilio di un intervento, rigorosamente temporaneo, solo di carattere  “civile e straordinario”, di quei reparti dell’esercito che dispongono di attrezzature e di veicoli per la rimozione immediata dei rifiuti dalle strade e per il loro invio nei siti di raccolta stabiliti in sintonia e collaborazione con altre autorità locali e regionali, a supporto, per l’appunto, delle necessità impellenti delle popolazioni campane; da un altro lato un processo graduale ma fondamentale di educazione alla raccolta differenziata dei rifiuti in tutta Italia delle persone di ogni ordine e grado, puntando soprattutto ad educare a tutti i livelli quelle fasce giovanili scolarizzate (quindi, fino all’università) che rappresentano ovviamente la speranza della collettività nazionale per un futuro dalla qualità della vita sperabilmente superiore ai livelli attuali.

La solidarietà

I volti che appaiono sui giornali o ai telegiornali sono l’espressione di esasperazione e di disincanto non irragionevole; tuttavia, sarebbe opportuno fare individualmente anche uno sforzo di comprensione per le difficoltà che altri stanno incontrando drammaticamente, esprimendo quella solidarietà che le persone debbono manifestare per quanti sono in difficoltà. 

La solidarietà non si inventa e neppure la si trova aprioristicamente o nella società o dentro di noi: essa è l’espressione di una educazione a condividere con altri gioie e dolori, strategie e percorsi comunemente indicati ed affrontati.

Noi stiamo vivendo un’età pericolosamente predisposta all’egoismo individuale prima e di classe sociale poi: chi sta bene difende i propri privilegi e le proprie “aiuole”, impedendo agli altri di progredire; anzi, l’età del neoliberismo, età dell’ingordigia e dell’accumulazione impropria di ricchezze, spinge verso l’illiberalità delle istituzioni e verso l’egoismo che equivale a chiudersi agli altri, impedendo ad altri di vivere più dignitosamente. Chiudersi equivale a costruire nuove strategie di comportamenti fondati più che sulla condivisione solidale di beni comuni, sulla difesa irragionevole e immotivata di privilegi; questi costruiscono le barriere e le dighe sociali, che poi  rischiano di scivolare verso, o di manifestarsi come, “vandee distruttrici”, ritenute dunque pericolose e segno di violenza social-delinquenziale o di forme improprie, comunque matrice,  di  terrorismo.

 Di qui, ovviamente, la costruzione parafilosofica di un concetto accomodante ed egoistico di sicurezza che esclude  gli altri da sé e che considera gli altri come nemici da tenere lontani perché appestanti, sia se si tratti di “migranti”, comunitari o extracomunitari, sia se si tratti di persone che vivono e abitano in luoghi diversi da quelli nostri, in luoghi contrassegnati o dalla povertà o dalla “sporcizia” o dall’incultura insensibile alla dignità della vita dell’uomo o a quell’armonia di civile rapporto fra l’uomo e la natura.

Qualsiasi manifestazione o scoppio d’ira popolare rischiano di essere catalogati come emanazione di una strategia pericolosamente illiberale ed antidemocratica; per evitare tale linea di tendenza reale bisogna lavorare sul concetto di condivisione delle sofferenze e delle problematiche degli altri, prenderle su di sé senza tentennamenti o vergogna ed aiutare gli altri ad uscire fuori dal bisogno contingente e dalla difficoltà di vita.

Questa progettualità politica e culturale noi pensiamo che debba essere indicata all’opinione pubblica con una strategia che si riagganci al bene comune come frutto essenziale per tutti, alla democrazia del nostro paese, per la salvaguardia di valori che noi siamo convinti essere non “antichi” ma ancora presenti ed operanti.

E’ la risposta alla superficialità, all’avarizia e all’ingordigia della classe politica oggi dominante, che in larghissima parte va cambiata e sostituita; è la riposta, matura e consapevole,  della gente alla degradazione ambientale: il sale della democrazia è la partecipazione convinta di tutti al processo armonico di crescita della comunità, il cui bene e la cui ricchezza di civiltà sono un avere patrimoniale di tutti, che fa crescere tutti e che accomuna tutti all’interno di un comune obiettivo condiviso, ossia la elevazione qualitativa dell’esistenza di ogni cittadina/o, di ogni uomo e di ogni donna. ☺

bar.novelli@micso.net

 

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