il rovo
18 Aprile 2010 Share

il rovo

 

Il rovo, un arbusto appartenente alla famiglia delle Rosacee, è la specie di piccoli frutti più diffusa al mondo allo stato spontaneo. Semi di questi frutti sono stati rinvenuti nelle località di origine lacustre del neolitico, a testimonianza dell’esistenza della pianta e del consumo del frutto più di 10.000 anni fa. La sua diffusione, anche ad altitudini elevate e con le condizioni di terreno e di clima più disparate, evidenzia l’estrema resistenza del rovo.

             Il nome scientifico è Rubus ulmifolius Schott. Rubus è il nome che i latini hanno dato ai Rovi e alle Rose; ulmifolius  perché le sue foglie assomigliano a quelle dell’olmo. Ma il rovo si presenta sotto molteplici forme botaniche e soltanto gli specialisti sono in grado di distinguerle l’una dall’altra; a volte, la differenza morfologica è una sottigliezza. Esistono più di 1000 specie per cui la possibilità di differenziazione è molto ardua. Senza considerare poi che queste forme intermedie mutano da località a località.

Nella cultura biblica, al rovo è legato un simbolismo negativo: in un cespuglio di rovi si sarebbe impigliato con le corna l’ariete che Abramo sacrificò al posto del figlio Isacco e in cui gli antichi teologi scorsero un simbolo di Gesù coronato di spine; e proprio con rami di rovo sarebbe stata intrecciata la corona di spine di Gesù. Anche nella tradizione popolare il rovo evoca immagini negative, se non addirittura sinistre: dalla raffigurazione dell’Ingiuria come una donna orribile con un mazzo di rovi in mano, al linguaggio dei fiori, in cui il rovo è simbolo dell’invidia, al mondo delle fiabe dove i rovi, formando una cortina alta e impenetrabile, impediscono il passaggio ai príncipi che cercano di raggiungere la dimora della bella addormentata.

Il rovo si presenta infatti molto aggrovigliato per i numerosi fusti che, sviluppandosi, si intrecciano fra di loro e ai quali vanno ad aggiungersi nuovi getti per la sua grande capacità di emettere sempre nuovi polloni. Inizialmente i tralci evidenziano un portamento eretto e poi, raggiunta l’altezza di 80-100 cm, si curvano verso terra assumendo un andamento strisciante. Quando la punta del tralcio raggiunge il terreno può emettere radici e dare origine ad una nuova piantina (nella tarda estate o nei primi mesi autunnali). Questa caratteristica botanica trova riscontro in una leggenda che mi raccontava mio padre: un giorno alcuni contadini portarono in dono a Gesù dei grappoli di uva. Dopo averli assaggiati, Gesù chiese loro quale fosse la pianta che li produceva ed essi, preoccupati che non fossero stati di suo gradimento, risposero, mentendo, che la pianta era il rovo e non la vite. Allora Gesù disse: «Pòzze crésce ’n gape e ’n bede», tipica espressione locale usata per augurare un rigoglioso sviluppo. Da quel giorno il rovo, come ricordato sopra, ha la capacità di radicare anche all’estremità del ramo appena questa viene a contatto col terreno. Spesso l’estremità del tralcio si ramifica in tanti piccoli ramoscelli, proprio come il delta di un fiume e ognuno di questi emette delle radici, le quali, conficcandosi nel terreno, danno origine ad altrettante nuove piantine che presto si affrancano dalla pianta madre. Il fenomeno, noto in botanica con il termine “capogatto”, è una delle cause della crescita sempre più fitta dei rovi, spesso fino a costituire delle siepi impenetrabili.

Nonostante lo sviluppo eccessivamente folto e la presenza di spine pungenti in tutte le sue parti, il rovo spontaneo era conosciuto e apprezzato già nell’antichità, in particolare per i suoi frutti. Secondo Plinio, per esempio, fra le tante virtù delle more vi era quella di guarire dal veleno dei serpenti e degli scorpioni. Oltre ai frutti, del rovo si possono utilizzare anche i germogli e le foglie. I germogli si raccolgono in marzo-aprile e contengono acidi organici, vitamine e tannino. Vengono impiegati per preparare insalate crude miste, frittate e minestre. Ma si possono preparare anche delle tagliatelle ai germogli di rovo oppure dello sformato di carne. Dalle foglie, raccolte in maggio-giugno e mescolate con quelle di lampone, si ottiene un tè molto aromatico. Il decotto è un efficace astringente che si può usare come lozione per il viso oppure per effettuare gargarismi contro le affezioni della bocca. (Tutte le preparazioni devono essere accuratamente filtrate). Anche in cosmesi le foglie vengono usate in preparazioni per pelli grasse.

I frutti, che botanicamente sono falsi frutti, più precisamente sorosi o more (’i m’riqu’le), contengono vitamine B e C, acido salicilico, pectina e zuccheri semplici. Sono dissetanti e diuretici e si possono consumare al naturale oppure in preparazioni di succhi, sciroppi, gelatine, marmellate, bevande fermentate e per guarnire torte e paste.

Per effetto della legge regionale 23 febbraio 1999, n. 9, art. 3 la quantità massima di frutta raccolta non può superare 1 Kg a persona.

Marmellata di more di rovo

Ingredienti:

1 Kg di more; 800 g di zucchero; una bustina di vaniglia.

Preparazione:

Mondare le more togliendo il picciolo, lavarle e lasciarle sgocciolare, poi metterle in una casseruola e farle cuocere a fuoco moderato per dieci minuti. Spegnere il fuoco e passare al setaccio. Riporre il passato in un recipiente di acciaio, aggiungere lo zucchero, la bustina di vaniglia e lasciare cuocere lentamente mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio di legno e schiumando, per circa mezz’ora. Controllare la cottura versando alcune gocce di marmellata su un piatto: se risulterà addensata e non scorrerà sarà pronta. Invasare, chiudere ermeticamente e conservare i vasi in luogo fresco e asciutto.

Sciroppo di more di rovo

Ingredienti:

1 kg di more fresche e mature; zucchero q.b.

Preparazione:

Lavare e asciugare le more, metterle in una terrina e schiacciarle; coprire e lasciare riposare per 12 ore in luogo fresco. Passare le more al setaccio, pesare il succo e aggiungere 350 g di zucchero ogni 600 g di liquido. Fare cuocere a bagnomaria fino a quando lo zucchero non sarà sciolto. Lasciare raffreddare, filtrare e imbottigliare, poi sterilizzare per 20 minuti. Quando le bottiglie saranno completamente raffreddate, sigillare il tappo con paraffina sciolta. Conservare in luogo fresco e asciutto.  ☺

 

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