Invasori e invasi
12 Novembre 2015
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Invasori e invasi

Nel 1907 uscì in Francia un romanzo (mai tradotto in italiano – e sfido io!) di Louis Bertrand, autore mediocre. Titolo: L’invasion. Che c’azzecca? Ci azzecca, perché gli “invasi” sarebbero i cittadini di Marsiglia e gli “invasori” saremmo noi italiani, i nostri emigranti, che in quell’alba di secolo sciamavano per il mondo a centinaia di migliaia.

È una notiziola che ho isolato nel bellissimo libro di Fernand Braudel Il Mediterraneo, che non è un best seller recente, tutt’altro. La prima edizione francese è del 1977 e la traduzione italiana risale al 2002. Oggi lo si può leggere nell’edizione Bompiani.

Braudel, maestro di metodo storico e storiografo di amplissimo respiro, dice che “la storia non è altro che una costante interrogazione del passato in nome dei problemi e delle curiosità – e anche delle inquietudini e delle angosce – del presente”. In questa prospettiva sono tornato a Il Mediterraneo e credo sia utile riproporlo, perché l’immane tragedia cui assistiamo, dei popoli “in movimento”, ci sembra una novità partorita dall’età globale. No. Per capire è necessario conoscere. Per conoscere è necessario anche slegarsi dalla cronaca e alzarsi al livello della storia.

Nel libro curato da Braudel, in collaborazione con altri storici, il nostro spazio mediterraneo, disteso dalla Spagna all’Asia Minore, dai Balcani all’Africa del Nord, è raccontato nelle cose e negli uomini (La terra, Il mare, Un solo Dio, La famiglia), negli eventi (La storia, Migrazioni) e nel lascito che ci ha consegnato (L’eredità). Libro tutto godibile, informato, dagli orizzonti vasti e inusitati, con prospettive che sbriciolano i compartimenti stagni della manualistica.

Ma un capitolo mi sembra qui il caso di segnalare: “Migrazioni”, di M. Aymard. “Il Mediterraneo – scrive Braudel – [è] non una civiltà, ma diverse civiltà sovrapposte le une alle altre … è un crocevia antichissimo. Da millenni, tutto è confluito verso di esso, mescolandosi, arricchendo la sua storia: uomini, animali, macchine, merci, idee, religioni … Perfino le piante. Le si crede mediterranee, ma … quasi tutte sono nate lontane da questo mare … i cipressi, anche loro: sono persiani”.

Perché ci serva respirare a pieni polmoni l’aria della storia con libri come questo lo si capisce senza troppi sforzi: siamo troppo soggiogati dalla pressione mediatica del giornalismo prezzolato o superficiale, che catastrofizza un fenomeno regolarmente iscritto nel grande libro dei secoli. “Sul piano umano – dice Aymard – il volto attuale del Mediterraneo è prima di tutto l’opera dell’insieme di tre grandi movimenti migratori, scaglionati nell’arco di tre millenni”. Ed ecco succedersi gli indoeuropei (Ittiti, Greci, Italici, Celti – in fondo Salvini discende da extracomunitari anche lui – Franchi, Longobardi, Slavi), poi Arabi, dai deserti tropicali del Vicino Oriente, poi Turchi, dalle fredde steppe dell’Asia centrale. Ma le nostre gazzette, oggi, gareggiano in allarmismo con gli scrittori della bassa latinità,  atterriti, al tramonto di Roma, dall’arrivo dei “barbari”.

Ogni invasione ha potuto lasciare la sua traccia, ancora oggi leggibile, ma senza mai fare tabula rasa. Ci furono anche tentativi cruenti di “purificare”: i Giovani turchi sterminando gli Armeni, gli spagnoli del sec. XV espellendo gli ebrei. Ma “la purezza di sangue è illusoria: la regola non è forse, nella penisola iberica come in tutto il Mediterraneo, l’intreccio stretto delle comunità etniche e religiose … e quindi la coesistenza?”.

Ma il Mediterraneo non ha solo “accolto” e “integrato”. Ha fornito uomini al resto del mondo, di ogni lingua, di ogni nazione. L’Italia “in poco più di un secolo (1860-1970) ha registrato venticinque milioni di partenze: metà della popolazione del 1960”. E la primissima migrazione, primi decenni del sec. XIX, fu – indovinate un po’? – verso il nord Africa: Egitto, Tunisia, Impero Ottomano. Nel 1913 il record, ben 872.958 italiani in un anno solo. “Ma dietro ogni emigrazione – ammonisce M. Aymard – bisogna saper vedere la violenza culturale fatta a coloro che partono e quindi la necessità di quei poveri strumenti che permettono loro di resistere”. Che per gli italiani di Sicilia furono, ad esempio, i dollari alla statua di santa Rosalia, per il popolo dei barconi di oggi sarà una lingua, un dialetto, o anche solo una parola.

Un’ultima prospettiva: Aymard accenna a un’invasione “pacifica”, cui l’Italia sarebbe sottoposta annualmente, quella del turismo. “Pacifica, ma non innocente. Distruttrice di siti e di paesaggi sfigurati dal lusso un po’ falso degli hotel, degli edifici “di fronte al mare” e delle seconde case … Consumatrice di esotismo e di folklore e che si avvicina al modo di vita mediterraneo come a un gioco e non a una realtà: per la prima volta il Mediterraneo si ritrova minacciato di essere ridotto al rango di oggetto”.

Una provocazione? Forse. Ma degna di essere discussa.☺

 

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