Guerra in corso
17 Dicembre 2015
laFonteTV (3827 articles)
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Guerra in corso

Parigi è una tragica lezione. Il grande rischio, quasi la certezza, è che resti solo la tragedia delle tante vittime e, rapidamente, si dimentichi la lezione. Le risposte dei tanti commentatori di casa nostra sono già sul tavolo. I lestofanti di professione dicono: “bisogna bombardare e rigettare i migranti”; gli uomini di buona volontà: “non dobbiamo farci spingere verso la barbarie”; i prudenti: “ci vorranno anni per battere il terrorismo”. Partirei dall’ultima considerazione che rivela una certa lungimiranza, anche se nulla dice sul perché della “guerra in corso” e su cosa andrebbe fatto per uscire da questa drammatica situazione.
Indicherei tre ragioni fondamentali che fanno da sfondo, sono all’origine di queste vicende e con la loro ferocia stanno segnando questi nostri tempi.
a) La madre di tutte le ragioni è il mutamento radicale avvenuto nel mondo in questi ultimi trenta anni, una vera rivoluzione che ha cambiato la natura del sistema mondiale. Ovvero: la fine dell’equilibrio e del controllo bipolare del mondo, il crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti come potenza unica alla guida del mondo. Sempre in quegli anni ha preso il volo la globalizzazione economica, finanziaria e tecnologica del sistema internazionale. Questa rivoluzione nei primi anni, ha consegnato le chiavi del Pianeta agli Stati Uniti, poi le cose sono cambiate ed è emersa sempre più l’altra faccia del nuovo mondo globale: un mutamento profondo dei “rapporti di forza” fra l’Occidente e il resto del mondo, il protagonismo nello scenario mondiale di nuovi grandi paesi dalla Cina al Brasile e infine è iniziato l’esodo di milioni di donne e uomini dal Sud verso il Nord. Insomma in questi ultimi anni vi è stata una vera rivoluzione che ha mutato tutto dagli equilibri geopolitici alle relazione economiche e finanziarie, dal ruolo della tecnologia alla cultura e ai costumi di miliardi di cittadini del mondo.
b) La seconda e decisiva ragione che permette di comprendere lo stato di cose attuali va ricercata nella risposta miope ed egoista che Stati Uniti e Occidente hanno dato ai grandi cambiamenti di questi anni. Di fronte alla globalizzazione, di fronte al disordine in aree fondamentali del mondo la potenza americana e la Nato hanno utilizzato la guerra, le menzogne e la violenza per affermare i loro interessi neocoloniali e il loro primato. La prima guerra in Iraq, la seconda guerra in Iraq, i bombardamenti francesi sulla Libia, il vaneggiamento interessato sulle Primavere arabe e sulla democrazia sino arrivare a una pericolosa collisione Statunitense e Giapponese con la nascente potenza cinese che potrebbe aprire, questa sì, le porte alla terza guerra mondiale. Intervenendo militarmente in Iraq il presidente americano ebbe a dichiarare: “Dobbiamo intervenire per tutelare lo stile di vita, il tenore di vita del popolo americano”. Bush con il suo candore e la sua arroganza diceva una elementare verità: il mondo sta cambiando, ma gli Stati Uniti e l’Occidente avrebbero usato la forza per difendere i loro interessi e i loro privilegi. Il cancro col quale abbiamo a che fare è un Giano bifronte, ha due teste: una è il terrorismo e l’altro è l’ arroganza cieca del potere e dei privilegi. Un’altra via era e continua ad essere possibile. La fine dell’URSS e i processi di globalizzazione hanno dato all’Occidente la grande opportunità di socializzare e globalizzare la democrazia, i diritti sociali e dei lavoratori, l’idea di libertà e la cultura laica, insomma la parte migliore della nostra storia. La civiltà occidentale – quello dello Stato sociale, dello Stato di diritto e dello statuto dei diritti dei lavoratori – se si fosse messa a disposizione del nuovo sistema globale avrebbe realmente aperto le porte ad un mondo migliore e avrebbe fecondato virtuosamente “il nuovo” che si stava affermando. Si è fatto esattamente l’opposto e le conseguenze di questa scelta scellerata sono sotto gli occhi di tutti. Se non ripartiamo da qui, se non piantiamo, insieme alla lotta al terrorismo, la pianta della giustizia sociale e di un nuovo equilibrio democratico fra i paesi e i popoli del mondo, noi potremo anche vincere oggi con le armi la lotta contro lo stato del terrore del califfo, ma domani la metastasi del terrorismo tirerà nuovamente fuori la testa.
c) Una terza ed ultima questione riguarda più direttamente noi e il nostro assetto sociale e democratico. In tanti, non solo i Salvini, i Meloni, i Le Pen, i Kacynski, gli Orbàn chiedono di tirare su i muri contro l’onda degli immigrati. È un illusione, i muri e i fili spinati, senza quella barbarie nazista e fascista che l’Europa ha conosciuto nella prima metà del novecento, nulla potranno contro questa biblica migrazione. Se non vogliamo iscriverci nel lungo elenco dei nuovi barbari di fronte a un problema reale che crea difficoltà, conflitti e paure in primo luogo nella parte più popolare e povera della nostra società, dobbiamo cogliere la questione alle radici e provare una risposta su due terreni. La prima scelta, ripetuta come una giaculatoria da tutti per poi essere non a caso sistematicamente ignorata, è quella di sostenere uno sviluppo economico e sociale degno nei paesi di provenienza dei migranti. Non a caso ignorata, perché questa scelta, almeno per diversi anni, comporta una redistribuzione di ricchezza fra noi e i popoli del sud e ci obbligherebbe a un mutamento del “nostro tenore di vita”. Anche Renzi dopo il vertice del G 20 in Turchia si è posto questo problema, francamente non sa di cosa parla. La questione non è quella di un risibile incremento dei fondi della cooperazione, si tratta di immaginare un nuovo piano Marshall per queste aree povere del Sud del mondo, di mobilitare risorse straordinarie e di piegare a questa filosofia le grandi istituzioni internazionali dal F.M.I. alla Banca mondiale. La seconda questione riguarda il nostro vivere sociale, il senso e la qualità della nostra democrazia. I migranti hanno la loro storia, la loro cultura, spesso una vita piena di disperazione e di sofferenza. Se questi nuovi dannati della terra approdano in un territorio degradato e senza identità sociale, in una società deresponsabilizzata, se arrivano in un paese dove la vita democratica è inesistente e l’etica pubblica profondamente inquinata, allora è facile che essi vadano ad ingrossare le file della marginalità e della decadenza sociale. Il problema, se vogliamo essere seri, non è il migrante, ma la miseria della nostra democrazia e della politica, l’opportunismo e il trasformismo delle classi dirigenti, la povertà del nostro vivere sociale e l’inciviltà dei nostri comportamenti. Il re è nudo, prima ce ne renderemo conto, prima potremo affrontare i veri problemi. ☺

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