Volete andarvene anche voi?
5 Maggio 2017
La Fonte (351 articles)
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Volete andarvene anche voi?

La domanda accorata (ma, chissà, potrebbe anche essere lievemente ironica) di Gesù ai discepoli sale spesso alla memoria scorrendo le pagine di Piccoli atei crescono (il Mulino), l’ultimo libro di Franco Garelli, sociologo della religione. I piccoli atei sono le nuove generazioni (tra 18 e 29 anni) che inesorabilmente, in fila indiana, stanno abbandonando non solo la chiesa, ma l’idea stessa del trascendente e di un Dio che fornisca di senso la vita. Eppure forse il titolo più azzeccato del libro dovrebbe essere Confusione, perché non saprei come altro definire la condizione di uno che si dichiara cattolico ma “non crede tanto in Dio” o di uno che si dichiara ateo e poi prega “in certe circostanze”.

Il libro si apre con una lunga introduzione che, insieme alla stringata e lucida conclusione, consente, a chi abbia fretta, di “leggerlo” anche senza sfogliarlo tutto. Ma sfogliarlo significa anche imbattersi non solo nelle (noiose) statistiche ma anche nelle interessantissime interviste, dalle quali affiorano davvero i cento volti e le mille voci della Confusione di cui dicevo sopra.

Sono “senza Dio” i giovani italiani tra i 18 e 29 anni? Detta così tranchant la cosa non funziona. “Certo, il fenomeno della non credenza tra le nuove generazioni sta assumendo dimensioni impensabili fino a pochi anni fa, di cui c’è scarsa consapevolezza sia nell’immaginario collettivo sia tra gli stessi operatori del sacro” e quest’ultima precisazione è di sorprendente gravità.

Fanno notizia New Age e simili, ma che “in un paese di lunga tradizione cattolica” emerga con grande vigore la generazione di coloro che “non soltanto vivono e si comportano come se Dio non esistesse (questo accadeva anche nei “cattolicissimi” anni Cinquanta ndr.) ma che dichiarano in modo esplicito di essere non credenti e di non avvertire più l’esigenza di una cittadinanza religiosa” dovrebbe allarmare ben di più.

Certo, c’è ateo e ateo. Chi lo è convintamente, chi per moda, chi per pigrizia mentale ecc., in un vasto ventaglio di sfumature. Ma il numero è crescente.

E ci sono poi i credenti. Anche costoro, però, non sono una tribù in uniforme. “La maggior parte di coloro che ancora oggi dichiarano di credere in Dio continua in qualche modo a riconoscersi nella religione della tradizione” anche perché convertirsi ad altre fedi storiche (islam, ebraismo…) non è di moda. Però ecco emergere “strani” cattolici (accanto a quelli d.o.c.): sono cattolici nelle intenzioni non nel vissuto; sono cattolici perché l’ambiente è quello che è, perché “in Cina se mi dichiaro cattolico mi sento italiano” e così via. Insomma “religio- samente connessi ma non religiosamente attivi”.

Colpisce poi che molti giovani ormai out vengono non da famiglie atee o indifferenti, ma da famiglie etichettate come cattoliche o addirittura dopo una formazione/frequentazione religiosa. Qui vedo sorridere sulla sua nuvoletta don Andrea Gallo (“La fede mi ha salvato dalla religione”). Infatti il giudizio sulla chiesa è generalmente impietoso, come dura è l’accusa ad essere stati “costretti” troppo presto nella gabbia di una religione e dei suoi dogmi e divieti.

Eppure dietro queste critiche affiora la nostalgia di una chiesa diversa e la ricerca di un senso della vita cercato ma non trovato. Per questo, ça va sans dire, l’ospedale da campo di papa Francesco è molto gettonato, anche se con varie formulazioni. E anche gli “atei” sono consapevoli che la chiesa “contiene al proprio interno delle figure e delle opere esemplari che rappresentano per tutti – credenti e non credenti – un richiamo alle cose che contano”.

Un’altra interessantissima evidenza ci fornisce questa indagine: in Italia si va affermando un clima di larga tolleranza circa la possibilità di credere o meno. I giovani credenti “capiscono” i non credenti e viceversa, senza polemiche, senza sopracciò. Nessuno dei due gruppi si ritiene depositario della Verità. Nessuna reciproca scomunica. E questa forse è la notizia più bella.

Cosa dire ancora? Che chiuso il libro ogni persona pensosa delle sorti del cristianesimo (e dell’umanità in genere) dovrebbe porsi il problema dell’annuncio e delle sue conseguenze. Chi oggi “annuncia” è credibile? L’annuncio appare una speranza o una minaccia? L’annuncio divide il mondo in santi e peccatori o è fatto da peccatori a peccatori? Come si vede, dalle risposte dipende la sorte del cristianesimo oggi, almeno in Italia.

Quello che mi pare più grave di tutto è che la chiesa italiana nonostante levi ogni tanto una geremiade sul “bel tempo che fu” non ha capito quali tempi sta vivendo, quali tempi il Signore le ha preparato per mettersi alla prova.

C’è chi vuole una chiesa “piccola e pura”. Ma non finirà per essere una sorta di catarismo? C’è chi vuole una chiesa dalle maglie larghissime. Ma non sarà un campo di Agramante? E c’è chi vuole, semplicemente, una chiesa che assomigli a Cristo. Ma questa merce è rara e nemmeno in Cina ne fabbricano copie. ☺

 

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