Divisi e soggiogati
25 Maggio 2017
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Divisi e soggiogati

Divide et impera. Agli europei d’una volta sarebbe bastata questa semplice locuzione, vecchia quanto il mondo, per spiegare cosa ci sia dietro il caos che regna sovrano nel continente. Eppure sembra un miraggio il mezzo secolo più bello della storia europea, quello in cui dei popoli da sempre in lotta hanno prima imparato a rispettarsi e conoscersi per poi tentare di creare un’unica grande nazione. Crogiolo di culture e fondata sui diritti umani e sul ripudio della guerra, quell’Europa era riuscita a farsi strada e ad insegnare al mondo l’importanza del dialogo, dell’Unione, del rispetto dell’uomo e dell’ambiente.

Ho avuto anch’io il privilegio di far parte di quella ch’è stata ribattezzata la “generazione Erasmus”. Sono stato prima affascinato da quel sogno unitario, studiato con passione sui libri di testo universitari. Poi accolto nel cuore dell’Europa, che ha aperto le sue porte a me e a migliaia di studenti e lavoratori con programmi di formazione all’estero. Ero, come tanti, convinto che nessuno potesse ormai minare quelle solide fondamenta, perché lì, insieme a giovani provenienti da ventotto Paesi, non vedevo alcuna differenza tra me e loro. Per un periodo sono stato spesso per lavoro in una di quelle periferie di Bruxelles, così tanto studiate dagli intellettuali di turno dopo i sanguinosi attentati degli ultimi anni. E, vi assicuro, non avevano nulla da invidiare, per decoro, ai nostri centri storici. Altro che periferie! Ho vissuto in un quartiere, Saint-Josse-Ten-Noode, abitato forse solo da arabi e regnava una certa serenità. Gli immigrati, tanto di prima che di seconda generazione, avevano lavori dignitosi, gestivano piccole attività, i loro figli studiavano accanto a noi europei all’università. Tutto questo per dire che, chiamatemi pure complottista, ci vedo un disegno ben preciso dietro le azioni, spesso anche male organizzate, di qualche esaltato, ignorante, folle.

Che in periodi di crisi economica si inneschino sistematicamente delle guerre tra poveri, non è una novità. Che si cerchi e addirittura si finanzi un nemico, neanche. Che in un mondo allo sbando, innanzitutto per crisi d’identità, si riesca facilmente a trovare qualche matto da strumentalizzare dovremmo averlo imparato. E allora a chi conviene tutto ciò? Chi ha bisogno di “dividere per regnare”? Non ho la pretesa di ergermi ad analista geopolitico, ma mi limito ad osservare i fatti: il rapporto tra la super(pre)potenza americana ed i sauditi, universalmente ritenuti tra i finanziatori del sedicente stato islamico, sono sempre stati alquanto ambigui. E stanno vivendo una nuova luna di miele con gli yankees. La Turchia, che sembrava voler rincorrere il sogno europeo, ora punta i piedi con prese di posizione assurde, forte della possibilità di strizzare l’occhio al Cremlino. Più che combattere Daesh, diciamolo chiaramente, continua a prendersela coi poveri Curdi, che pure si sono spesi nella lotta al terrore segnando alcune tra le vittorie più importanti. Ed Erdogan – in buona compagnia con Assad, Putin, lo stesso Trump, Kim-Jong-un e, in un certo senso, anche con la May – sta cavalcando l’ultima tendenza: in tempi di crisi, l’occasione è ghiotta per l’uomo solo al comando, che sappia mostrare i muscoli e non si lasci “imbrigliare” in istituzioni sovranazionali.

In questo marasma, chi ne esce davvero sconfitto è l’essere umano in generale, gli europei in particolare. Se in decenni di scelte condivise, questi si erano ritagliati un ruolo di primo piano nell’economia mondiale, ora rischiano di tornare un terreno di conquista per le grandi potenze. Forse abbiamo tirato troppo la corda. Con la Russia, da quando abbiamo accolto le repubbliche baltiche ed una serie di Paesi che orbitavano intorno all’ex Unione Sovietica; si veda quanto s’è infuriata Mosca in Ucraina! Con gli Stati Uniti, quando abbiamo posto veti allo strapotere delle loro multinazionali, difendendo i nostri controlli di qualità sui prodotti e rifiutando il principio della supremazia del mercato sull’interesse collettivo (si veda il TTIP). Ed ora, tra una May di qua e un rischio Le Pen di là, ci potremmo trovare di nuovo genuflessi. Nel dubbio, Gentiloni ha già iniziato a scodinzolare alla corte di Trump, giustificando azioni esecrabili come il lancio di decine di missili e della bomba più potente mai sganciata sulla terra, dopo quella atomica.

Mentre andiamo in stampa, si celebra la Giornata della Terra. Ipocrisia, visto che anche dal punto di vista delle politiche ambientali il Mondo sta facendo dei pesanti passi indietro. Due dati su tutti: Trump nega il nesso tra i combustibili fossili e i cambiamenti climatici, mentre nell’Africa sub-sahariana si registra la più nefasta carestia di tutti i tempi, nel silenzio dei media; l’Italia, dopo aver raggiunto traguardi inattesi in fatto di rinnovabili, sta dando carta bianca, ancora una volta, alle multinazionali degli idrocarburi, con nuovi sgravi fiscali e concessioni off-shore e svendendo un gioiello paesaggistico come San Foca per un gasdotto.

Tutto ciò, con buona pace di chi credeva davvero che bisognasse difendere il Pianeta dalla cupidigia del progresso a tutti i costi. Dove andremo a finire? Ci divideremo per lasciarci soggiogare?☺

 

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