È successo anche a me. Come a tanta altra gente prima di me e come succederà ancora nel corso della storia dell'umanità. Da poco tempo ho preso anche io la valigia e ho cercato altrove un futuro che per quelli della mia generazione sembra una parolaccia. Futuro che? Sono in tanti a ignorare il significato di questa parola.
E dire che avevo iniziato il percorso in questo mondo con tante speranze, figlia di una generazione che la fame, quella vera, l'aveva patita sulla propria pelle. I tempi della guerra, le ristrettezze, il pane sudato. Pezzi dell'albero genealogico della mia famiglia cominciarono a spargersi in giro per il mondo. Tra quelli che emigrarono alcuni tornarono, altri invece sono restati nella terra che, oramai, li aveva adottati.
Faccio parte di quella generazione cresciuta ancora a "pane e panelle", ma anche con molti agi che i miei genitori, alla mia età, potevano solo sognare. Sono cresciuta mangiando più che a sufficienza, giocando in modo spensierato, studiando, andando alle gite e, allo stesso tempo, prendendo qualche “sganassone”, non solo dai miei, ma anche dal maestro alle elementari, cosa ora impensabile, all'epoca assolutamente normale. Vivevo con l'illusione che il futuro fosse il mondo delle possibilità, della meritocrazia, dell'impegno ripagato.
Poi qualcosa è cambiato. Pian piano è arrivata una lenta ma inesorabile regressione.
Non so dire di preciso quando e come sia iniziata questa cosa, fatto sta che a poco a poco quelle piccole certezze che pensavo di costruire, sono andate sgretolandosi. La mia generazione è stata ribattezzata in mille modi: generazione x, generazione senza nome, generazione senza ideali… e via discorrendo. Come se tutto quello che ci ha preceduti avesse rappresentato il meglio e noi il peggio. Il confronto generazionale vede vincere sul fronte della fatica, della sofferenza, del sacrificio e del duro lavoro la generazione dei nostri nonni e dei nostri genitori. Quello che possiamo vivere di problematico noi, messo a confronto con quello che loro hanno vissuto, sembra niente.
Con questa frustrazione e questo continuo confronto, mentre la parola "precariato" prendeva sempre più a braccetto la mia vita, a malincuore, dopo attente valutazioni, ho deciso anche io di partire. Come fecero cinquanta anni fa i miei genitori e i miei zii.
Se la storia è fatta di corsi e ricorsi, posso dire che questo è il corso e il ricorso storico della mia famiglia e, se è vero che il confronto generazionale non ha mai fine, è anche vero che dal confronto si possono ricavare importanti riflessioni. Sicuramente molta della sofferenza vissuta non la si può cancellare, ma forse il racconto può riscattarla, trasformandola in insegnamenti di vita di cui fare tesoro. ☺
bonsai79@katamail.com
È successo anche a me. Come a tanta altra gente prima di me e come succederà ancora nel corso della storia dell'umanità. Da poco tempo ho preso anche io la valigia e ho cercato altrove un futuro che per quelli della mia generazione sembra una parolaccia. Futuro che? Sono in tanti a ignorare il significato di questa parola.
E dire che avevo iniziato il percorso in questo mondo con tante speranze, figlia di una generazione che la fame, quella vera, l'aveva patita sulla propria pelle. I tempi della guerra, le ristrettezze, il pane sudato. Pezzi dell'albero genealogico della mia famiglia cominciarono a spargersi in giro per il mondo. Tra quelli che emigrarono alcuni tornarono, altri invece sono restati nella terra che, oramai, li aveva adottati.
Faccio parte di quella generazione cresciuta ancora a "pane e panelle", ma anche con molti agi che i miei genitori, alla mia età, potevano solo sognare. Sono cresciuta mangiando più che a sufficienza, giocando in modo spensierato, studiando, andando alle gite e, allo stesso tempo, prendendo qualche “sganassone”, non solo dai miei, ma anche dal maestro alle elementari, cosa ora impensabile, all'epoca assolutamente normale. Vivevo con l'illusione che il futuro fosse il mondo delle possibilità, della meritocrazia, dell'impegno ripagato.
Poi qualcosa è cambiato. Pian piano è arrivata una lenta ma inesorabile regressione.
Non so dire di preciso quando e come sia iniziata questa cosa, fatto sta che a poco a poco quelle piccole certezze che pensavo di costruire, sono andate sgretolandosi. La mia generazione è stata ribattezzata in mille modi: generazione x, generazione senza nome, generazione senza ideali… e via discorrendo. Come se tutto quello che ci ha preceduti avesse rappresentato il meglio e noi il peggio. Il confronto generazionale vede vincere sul fronte della fatica, della sofferenza, del sacrificio e del duro lavoro la generazione dei nostri nonni e dei nostri genitori. Quello che possiamo vivere di problematico noi, messo a confronto con quello che loro hanno vissuto, sembra niente.
Con questa frustrazione e questo continuo confronto, mentre la parola "precariato" prendeva sempre più a braccetto la mia vita, a malincuore, dopo attente valutazioni, ho deciso anche io di partire. Come fecero cinquanta anni fa i miei genitori e i miei zii.
Se la storia è fatta di corsi e ricorsi, posso dire che questo è il corso e il ricorso storico della mia famiglia e, se è vero che il confronto generazionale non ha mai fine, è anche vero che dal confronto si possono ricavare importanti riflessioni. Sicuramente molta della sofferenza vissuta non la si può cancellare, ma forse il racconto può riscattarla, trasformandola in insegnamenti di vita di cui fare tesoro. ☺
È successo anche a me. Come a tanta altra gente prima di me e come succederà ancora nel corso della storia dell'umanità. Da poco tempo ho preso anche io la valigia e ho cercato altrove un futuro che per quelli della mia generazione sembra una parolaccia. Futuro che? Sono in tanti a ignorare il significato di questa parola.
E dire che avevo iniziato il percorso in questo mondo con tante speranze, figlia di una generazione che la fame, quella vera, l'aveva patita sulla propria pelle. I tempi della guerra, le ristrettezze, il pane sudato. Pezzi dell'albero genealogico della mia famiglia cominciarono a spargersi in giro per il mondo. Tra quelli che emigrarono alcuni tornarono, altri invece sono restati nella terra che, oramai, li aveva adottati.
Faccio parte di quella generazione cresciuta ancora a "pane e panelle", ma anche con molti agi che i miei genitori, alla mia età, potevano solo sognare. Sono cresciuta mangiando più che a sufficienza, giocando in modo spensierato, studiando, andando alle gite e, allo stesso tempo, prendendo qualche “sganassone”, non solo dai miei, ma anche dal maestro alle elementari, cosa ora impensabile, all'epoca assolutamente normale. Vivevo con l'illusione che il futuro fosse il mondo delle possibilità, della meritocrazia, dell'impegno ripagato.
Poi qualcosa è cambiato. Pian piano è arrivata una lenta ma inesorabile regressione.
Non so dire di preciso quando e come sia iniziata questa cosa, fatto sta che a poco a poco quelle piccole certezze che pensavo di costruire, sono andate sgretolandosi. La mia generazione è stata ribattezzata in mille modi: generazione x, generazione senza nome, generazione senza ideali… e via discorrendo. Come se tutto quello che ci ha preceduti avesse rappresentato il meglio e noi il peggio. Il confronto generazionale vede vincere sul fronte della fatica, della sofferenza, del sacrificio e del duro lavoro la generazione dei nostri nonni e dei nostri genitori. Quello che possiamo vivere di problematico noi, messo a confronto con quello che loro hanno vissuto, sembra niente.
Con questa frustrazione e questo continuo confronto, mentre la parola "precariato" prendeva sempre più a braccetto la mia vita, a malincuore, dopo attente valutazioni, ho deciso anche io di partire. Come fecero cinquanta anni fa i miei genitori e i miei zii.
Se la storia è fatta di corsi e ricorsi, posso dire che questo è il corso e il ricorso storico della mia famiglia e, se è vero che il confronto generazionale non ha mai fine, è anche vero che dal confronto si possono ricavare importanti riflessioni. Sicuramente molta della sofferenza vissuta non la si può cancellare, ma forse il racconto può riscattarla, trasformandola in insegnamenti di vita di cui fare tesoro. ☺
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