
L’erba che spiace alle talpe
La catapuzia (Euphorbia lathyris) è una pianta ornamentale, erbacea biennale – a volte annuale – della famiglia delle Euforbiacee. Originaria dell’Asia, predilige come habitat sia i luoghi incolti, sia gli orti e gli angoli dei giardini, dove un tempo non mancava mai, soprattutto nel sud dell’Italia.
Il suo fusto, eretto, vigoroso e glauco, può superare anche il metro di altezza e raggiungere un diametro di circa due centimetri. Le foglie, lanceolate e opposte, di colore verde scuro lucido con vistose venature, sono disposte a croce, dando alla pianta l’ aspetto di un “alberello geometrico” molto caratteristico. L’infiorescenza è molto grande, ad ombrella, con lunghe brattee gialle triangolari. Su qualche foglia, come anche sul fusto, possono apparire più o meno estese colorazioni porpora. La fecondazione avviene prevalentemente a opera di insetti, ma spesso le infiorescenze sono visitate anche da formiche che vi trovano sostanze zuccherine. I frutti, che per forma e colore appaiono simili ai piselli, sono delle capsule rugose con semi nerastri provvisti di una appendice anch’essa zuccherina detta arillo. Gli insetti ne sono molto ghiotti e trascinano così il seme lungo il loro percorso, favorendo inconsciamente la diffusione della specie.
L’etimologia del nome scientifico Euphorbia è incerta: secondo alcuni deriva da colui che, secondo Plinio, avrebbe scoperto le virtù medicinali di questa pianta, ovvero Euforbo, medico greco di Giuba II, un re della Numidia. Secondo altri, invece, potrebbe significare qualcosa come “ben nutrito”, in quanto derivante da eû, “bene” e phérbo, “nutrire”. Anche il nome della specie lathyris sembra di origine greca, essendo riconducibile a láthyros, “pisello”, forse per la forma dei frutti, o per la sua tossicità, che dà sintomi simili a quelli del pisello selvatico (lathyrus). Alla sua tossicità si devono a loro volta sia il nome volgare, dal latino tardo cataputia (derivante da un verbo greco che ha il significato di “rigettare”), sia gli altri fantasiosi nomi “latte del diavolo” o “latte delle streghe”, o ancora “erba delle verruche”, con cui la pianta è talvolta indicata. Mentre il riferimento alla parola “latte” di questi nomi comuni si spiega con il latice bianco e tossico prodotto dall’incisione o rottura del suo fusto.
Questo latice acre e irritante spiace in particolare alle talpe. Solitamente detestati da ortolani e giardinieri, questi animali solitari sono in realtà più utili che dannosi, in quanto si nutrono di vermi, lumache e insetti, non di piante coltivate. E il modesto danno che possono provocare è largamente compensato dal beneficio delle gallerie drenanti che scavano nel suolo. Pare comunque che, seminata attorno agli orti e ai giardini, l’euforbia venga percepita a distanza dalle talpe, e perciò evitata in particolare nel secondo anno di vita, quando è più carica di sostanze irritanti e velenose. Ma ogni parte di questa pianta è velenosa per quasi tutti gli animali a sangue caldo. Occorre pertanto fare attenzione che i bambini non la tocchino perché il suo latice irritante potrebbe procurare forti dolori alle mucose, specialmente agli occhi. E se una volta la catapuzia costituiva un rimedio usato nella medicina popolare, sia contro calli, verruche e sciatica, sia per l’olio estratto dai semi e usato come drastico lassativo, oggi è bandita per l’alta tossicità. Anche se assunta a piccole dosi, provoca effetti catartici ed emetici potenti con conseguenze piuttosto gravi ed è classificata per questo fra le piante più velenose.
Ma lasciamo la parola, per concludere, al poeta e saggista Maurice Maeterlinck, premio Nobel per la Letteratura nel 1911, che nel suo delizioso libretto L’intelligenza dei fiori (trad. it. di Giuseppe Grattacaso, Ro- ma, Elliot, 2022) ne fornisce una mirabile descrizione: “uno dei grandi maestri dell’ artiglieria vegetale è l’ Euforbia catapuzia. È un’Euforbiacea adatta ai nostri climi, una grande ‘cattiva erba’ abbastanza ornamentale, che spesso supera la statura dell’uomo. In questo momento ho sul mio tavolo, immerso in un bicchiere d’acqua, un ramo di Euforbia catapuzia. Ha bacche trilobate e verdastre che contengono i semi. Di tanto in tanto, una di queste bacche scoppia con fracasso, e i semi dotati di una velocità iniziale prodigiosa colpiscono da tutte le parti i mobili e le pareti. Se una di loro vi colpisse il viso, pensereste di essere punti da un insetto, tanto è straordinaria la forza di penetrazione di queste minuscole sementi grosse come teste di spillo. Esaminate la bacca, cercate gli accorgimenti che la animano, non troverete il segreto di questa forza; essa è invisibile come quella dei nostri nervi”.☺