
Più che mai resistenza
Il 25 aprile di quest’anno ci parla con voce più alta del solito, e interroga la nostra coscienza perché sia viva la consapevolezza del dover lottare ogni giorno in nome dei diritti conquistati allora con tanta sofferenza.
A Termoli si è appena conclusa una rassegna di film sulla Resistenza, organizzata dalla sezione cittadina dell’ANPI in preparazione delle celebrazioni per il 25 aprile, e anche chi come me è cresciuto nella venerazione di quella storia e non la dimentica mai è uscito da quei pomeriggi con la coscienza aumentata, per così dire: ci è stato ricordato che la memoria non è mai abbastanza, che ciò che i partigiani facevano lassù in montagna non ha perso negli anni neanche una sfumatura di significato, che anche oggi come allora siamo circondati da “criminali asciutti in questo mare di sangue (Pilade di Pier Paolo Pasolini)”. E che la linea di demarcazione tra oppressi e oppressori resta chiara oggi come allora.
Liberazione, allora: dalla guerra prima di tutto, dall’ossessiva ripetizione che non abbiamo abbastanza armi in Europa, dall’incredibile e oscena capacità di continuare a vivere la nostra piccola vita quotidiana ignorando il genocidio in Palestina, dall’ ignoranza ributtante dei nostri Ministri, dal coro gonfio di retorica di voci che giustificano i manganelli sulle teste dei nostri studenti e vaneggiano del nuovo ruolo da protagonista dell’Italia nel mondo (Make Italy Great Again?).
Ma Liberazione anche dalla politica piccola piccola del nostro piccolo Molise, dall’incapacità di unirsi per amministrare bene, dalla miseria dei protagonismi locali, dall’ignavia che porta a rifiutare le responsabilità individuali, dall’emigrazione dei nostri ragazzi che svuota il futuro di queste terre. Liberazione dall’indifferenza e dalla complicità silente che è il marchio di Caino di questa regione, dall’inerzia che non ci fa scendere in piazza per la nostra sanità massacrata, dall’abitudine a non prendere parola quando percepiamo un’ ingiustizia, demandando a chissà chi il dovere di parlare per noi.
E la lotta per i diritti si fa con i corpi e con le azioni: Dio sa se ne abbiamo di motivi per lottare, contro la guerra, contro le armi del capitale e del patriarcato, contro la negazione della storia che tristemente vediamo e sentiamo messa in atto sistematicamente dal governo di destra più becero mai visto negli ultimi 70 anni.
Non solo perché i fascisti eterni sono tornati, o non sono mai andati via, e oggi spadroneggiano; ma perché Liberazione oggi significa tante e tante cose: ha il volto dei migranti lasciati affogare o martirizzati nei CPR, dei lavoratori uccisi sui luoghi di lavoro, e di quelli sfruttati senza vergogna, degli studenti picchiati e privati del diritto allo studio, delle donne uccise, maltrattate, discriminate, dei popoli cui è negata terra e dignità.
Se non riusciamo a vedere il sottile filo rosso che unisce il coraggio e il sacrificio di allora con il nostro miserabile presente, e che inesorabile porta l’eco delle voci dei ragazzi incoscienti ed eroici partiti per le montagne, avranno vinto loro: i vigliacchi. Gli opportunisti che si tolsero la camicia nera ed entrarono indisturbati nell’amministrazione del nuovo stato repubblicano, i criminali che si mimetizzarono tra le vittime, i vecchi e nuovi professionisti della politica che in questi anni hanno impedito la piena realizzazione della Costituzione e che oggi portano avanti l’assalto finale con il premierato e l’ autonomia differenziata.
La Liberazione è il nostro compito quotidiano, non solo un bel ricordo che portiamo nel cuore: i partigiani di oggi non rischiano morte e tortura, ma certo fronteggiano un nemico insidioso e ipocrita, che a noi tocca individuare in troppi aspetti del vivere. E troppo spesso è faticoso comprendere che la Resistenza vive lì: nel clima impazzito, nel suolo cementificato, nella ferocia contro i migranti e i diversi, nel lavoro nero, nell’ astensione dal voto, nell’erosione lenta e sempre un po’ più profonda degli spazi di parola e azione, nei paesi che si svuotano, negli ospedali chiusi o lentamente resi scatole vuote, nel mantra insensato della nazione, della competitività, dello “sviluppo”, del pareggio di bilancio.
Andiamo allora nelle strade, il 25 aprile e tutti i giorni dell’anno, a gridare senza sosta il nostro desiderio di nuova Liberazione, in faccia ai poteri piccoli e grandi che questa data vorrebbero cancellarla dal calendario: più che mai oggi è lì che dobbiamo stare, ritti sulla collina come il partigiano Johnny. Ma la nostra collina ora è ovunque, è nelle nostre azioni di ogni giorno.
E non dobbiamo dimenticarcene. Mai.☺