No a piantedosi
2 Novembre 2024
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No a piantedosi

Se riprendiamo un’espressione che era abituale negli anni ‘60-70, è difficile immaginare un autunno più caldo di quello che sta cominciando: ma allora queste parole indicavano singole vertenze cruciali del mondo del lavoro e rivendicazioni di diritti e salario in un quadro di “normale” conflitto tra padronato e lavoratori.
Oggi l’autunno brucia di emergenze democratiche e di orrori guerreschi, e sono saltati tutti i parametri che per decenni hanno regolato le periodiche criticità sociali, economiche, lavorative.
Il 30 ottobre l’anno accademico a Campobasso sarà inaugurato dal Ministro degli Interni, e già la stridente estraneità di questa scelta manda un messaggio chiarissimo al mondo della cultura e dello studio, poiché si tratta del responsabile dell’ordine pubblico di un governo che più fascista non potrebbe essere. Tanto è vero che ciò ha provocato un immediato appello al boicottaggio della cerimonia da parte di singoli cittadini, associazioni e gruppi politici impegnati sul territorio per la costruzione di un mondo diametralmente opposto a quello incarnato da questo governo.
Contemporaneamente stanno rag- giungendo punte altissime di tensione molti dei punti critici della quotidianità locale e nazionale, o almeno così sembra a chi vive giornalmente l’impegno di lavorare per immaginare un’alternativa alla miseria sociale e morale che governa spesso questa nostra piccola regione e il paese intero: l’ impianto industriale più importante della regione e probabilmente d’Italia si sta disfacendo, aprendo voragini di disagio sociale e cancellando decenni di sacrifici degli operai da nord a sud. L’autonomia differenziata minaccia di frantumare una nazione faticosamente unita da un secolo di lotte risorgimentali e ancora oggi non omogenea nella distribuzione di risorse e crescita sociale. Il decreto 1660 cancella con un colpo di spugna i diritti civili fondamentali conquistati con il sangue e le lotte durissime del Novecento, e ci precipita in un incubo giuridico inimmaginabile solo cinque anni fa, dove qualunque forma di protesta pacifica o dissenso viene criminalizzata e schiacciata.
Se poi allarghiamo lo sguardo oltre l’orizzonte più vicino, rischiamo che l’angoscia ci sommerga: il genocidio in Palestina ora dilagante anche in Libano, la ormai lunghissima guerra in Ucraina, l’emergenza climatica sempre più prepotente ed evidente, con le liti tra Campania, Puglia e Molise per l’acqua e i rubinetti a secco in tre quarti della regione, mentre il nord è sommerso da nubifragi; e forse non ultima la vergogna infinita delle deportazioni dei migranti con modalità di puro stampo nazista (perché di questo si tratta), sbandierate come soluzione (finale?) del “problema” ed esportate trionfalmente in un’Europa tragicamente pronta ad accoglierla e a farla propria.
Personalmente ho l’impressione che stiano scatenandosi insieme tutte le forze distruttive che finora in parte credevamo di non dover vedere direttamente all’opera, come la guerra e il razzismo più becero e crudele, e in parte ci illudevamo di poter tenere sotto controllo, come i mutamenti climatici, le sempre nuove forme di sfruttamento, i periodici arretramenti sul fronte dei diritti sociali e civili.
E l’arrivo di Piantedosi, apparentemente di poco conto in questo quadro apocalittico, rappresenta invece il segnale di un disallineamento piccolo ma significativo, perché in modo strisciante manda un messaggio inequivocabile: nelle aule del sapere il segnale di inizio dell’anno di studio viene dato da chi ha il potere di mandare la polizia a chiuderle, un domani, quelle aule, se da esse dovesse partire una protesta o una rivolta contro chi comanda.
Cosa fare, innanzitutto per governare l’angoscia che sale dentro se ci fermiamo a pensare un attimo, e successivamente per contrastare questa orribile marea?
Resistere, semplicemente; ma non passivamente, chiudendoci nel nostro privato e cercando di tenere lontani i suoni della barbarie incombente. Resistere come nel ‘43, contrastando a muso duro ogni piccolo, apparentemente inoffensivo, restringimento delle nostre libertà. Come ha fatto l’apicultore di Desio con il suo cartello contro le bombe di Gaza; come si è fatto con l’appello al boicottaggio; sollevando la voce e la testa ogni volta che vediamo o sentiamo atti di inciviltà stupidi ma significativi, come i calendari di Mussolini impunemente esposti nelle edicole; non facendoci intimidire dalle voci grosse e dalle prepotenze giornaliere sul lavoro, nelle scuole, nelle amministrazioni pubbliche.
Ma soprattutto con i nostri corpi e le nostre voci nelle piazze, nei presìdi, nelle manifestazioni, sui giornali: tutto quello che abbiamo sempre fatto e che ora dobbiamo moltiplicare per mille, decreti o non decreti.
Dove le leggi sono ingiuste, disobbedire è un dovere. Molto semplice. Non è forse così?☺

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