Oh palestina nome della terra
5 Dicembre 2024
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Oh palestina nome della terra

L’esclamazione – “oh” nel titolo del presente contributo, – esprime, manifestandola con immediata chiarezza, la condizione dolorosa in cui si trova oggi – a 14 mesi dall’inizio del conflitto aspro e atroce tra Hamas/Gaza e lo Stato israeliano – la Palestina, che è stata da sempre – nei millenni – terra in cui vivevano diverse popolazioni, spesso antagoniste, ma che, condividendone i territori, la consideravano, ognuna, la propria terra di origine. E tale dovrebbe anche essere oggi la Palestina, augurabilmente condivisa da arabi/palestinesi e ebrei/israeliani. Purtroppo, però, come ben sappiamo, la situazione è completamente differente, tale da aver acuito le preesistenti divisioni, gli odi, i rancori, le vendette, un conflitto esiziale tra le due popolazioni che oggi si contendono quei territori..
In Palestina, nel 2003 giunse un’attivista statunitense, Rachel Corrie, ragazza di 23 anni, morta schiacciata da una ruspa israeliana. Perché morì in questo modo atroce? Per la semplice ragione che cercava di evitare che una ruspa, a Gaza, demolisse la casa di un medico palestinese: “Una ragazza americana di nome Rachel Corrie venne a vivere a Gaza. Restammo tutti colpiti dalla sua bellezza. Tutti i dodici milioni di palestinesi che eravamo al mondo. In una lettera a sua madre in America, scrisse: – Ho parlato a lungo della delusione con cui ho scoperto, sulla mia stessa pelle, il grado di cattiveria di cui siamo ancora capaci (…). Ma sto scoprendo anche una forza e una capacità innata delle persone di rimanere umane nelle circostanze più atroci (…). Credo che il termine giusto sia – dignità” (in Susan Abulhawa, Nel blu tra il cielo e il mare, Feltrinelli, 2024, p. 158).
Kaled, uno dei ragazzi protagonisti del romanzo Nel blu tra il cielo e il mare, quando compie dieci anni – 27 dicembre 2008 – e Gaza è sotto assedio catastrofico da parte dell’ esercito di Israele (gli scontri feroci a Gaza e la ripresa del conflitto armato sono noti come “Piombo fuso”, stagione che vede la morte violenta di Vittorio Arrigoni), Kaled, dicevamo, ha l’impressione, gioiosamente ingenua, che anche gli ebrei siano sopraggiunti a Gaza per festeggiare il suo compleanno, il decimo anno di età: “Credevo che Wasim e Tawfiq mentissero. Invece dicevano la verità. Compiere dieci anni è stato come dicevano loro, e anche di più. Una cosa magica. Perfino gli ebrei sono venuti a festeggiare con me. Tutta Gaza e credo il mondo intero hanno festeggiato il mio decimo compleanno. Era appena finito il primo turno di scuola e le strade erano piene di bambini che andavano e venivano, quando caddero le prime bombe. Le esplosioni fecero tremare la terra, riducendo edifici, corpi e oggetti del vivere quotidiano in frantumi che volavano per aria in tutte le direzioni. Non c’era nessun posto dove scappare. Gaza bruciò. (…) Grandi fuochi d’artificio hanno fatto tremare la terra. (…) Le ambulanze accendevano le sirene e sfrecciavano a tutta velocità. Israele ha mandato degli aeroplani per me, che volavano così bassi da far tremare i palazzi e rompere le finestre. Mi sono sbagliato sul conto degli ebrei. Sono meravigliosi. Anche papà si sbaglia, e chiedo a Dio di dimenticare tutte le preghiere in cui chiedevo di punirli. (…) I loro elicotteri hanno lanciato enormi getti di coriandoli bianchi che hanno striato il cielo come una ragnatela bianca. E i coriandoli sono caduti come un milione di candele con un milione di fiamme. Alcune persone sono state toccate dalle fiamme dei coriandoli e se le sono portate addosso mentre correvano qua e là gridando. Che invenzione! Lo sanno tutti che gli ebrei sono il popolo più intelligente del mondo. Io volavo su Gaza come senza peso. Scivolavo anche sopra il mare. Ecco com’è la magia dei miei dieci anni” (pp. 181/2).
L’ironia amara, che si manifesta inconsciamente dai desideri e dai sogni di un bambino palestinese, accresce a dismisura la tragedia che da decenni è caduta sulla pelle dei palestinesi e sulla città di Gaza. Le bombe disastrose del dicembre 2008, che agli occhi del bambino Khaled appaiono come i “coriandoli” usati da noi nelle giornate del Carnevale, oggi – dicembre 2024 – finiscono di distruggere la città di Gaza. Gaza e i gazawi sono oggi soltanto ombre. Khaled, colpito da una bomba, rimane gravemente ferito ed in questa condizione rimarrà fino a quando il suo esile corpo non sarà più in grado di sopportare le sofferenze che lo hanno reso, all’età di 10 anni, irrimediabilmente disabile. Quello che sta succedendo nella Striscia di Gaza – devastazione sistematica e totale del territorio e delle sue infrastrutture; demolizione scientificamente programmata delle università, delle scuole, degli ospedali; dei più rilevanti monumenti architettonici, artistici, storici; uccisione pianificata dell’intellighenzia palestinese (professori; medici; giornalisti; artisti, etc.); quindi, riduzione della popolazione a condizioni estreme di vita: annientamento, tout court della dignità della persona; questo ed una infinità di altre meschine ed inqualificabili violenze ci spingono a chiederci a questo punto se Israele sia, in verità, uno Stato democratico.
Sembra strano, ma in effetti non lo è. Ad oggi, dicembre 2024, Israele non ha ancora una sua Costituzione; la sostituisce la Dichiarazione di indipendenza – maggio 1948 -, che ribadisce il legame tra il popolo ebraico e la terra d’Israele – Eretz Israel. L’elemento più sorprendente, in relazione alla nascita dello Stato israeliano, appare il principio che garantiva libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura a tutti i suoi cittadini, non solo ebrei ma anche arabi.
Pertanto, la Dichiarazione di indipendenza si riprometteva di garantire il doppio diritto, quello degli ebrei, che ambivano far nascere lo Stato d’Israele, e il diritto dei cittadini non ebrei – arabi/palestinesi – ad essere considerati eguali agli ebrei e a vedersi rappresentati nelle istituzioni. Ma sappiamo che non è andata proprio così. Infatti, appena qualche giorno dopo la Dichiarazione di indipendenza – il 19 maggio 1948 – le condizioni di vita dei cittadini arabi e il loro rapporto con le istituzioni subirono una arbitraria modificazione, da cui sono scaturite tutte le dolorose contraddizioni e le infauste contrapposizioni alle quali assistiamo con angoscia e sofferenza oggi. Di qui, Israele non raffigura uno Stato democratico; tutt’al più rappresenta uno Stato liberale. ☺

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