Alla fine tutto diventa evidenza. Le cose non sono che quelle che sono. L’uomo per essere tale deve solo essere un uomo, un essere pensante, quindi dubitante. Se gli viene negata (da sé o da altri) questa possibilità, egli smette di essere tale. La storia è piena di esempi che negano questa semplice asserzione, di potenze di qualsiasi tipo che hanno detto al loro vicino “Sei libero di essere quello che io voglio che tu sia”, di uomini che hanno deciso volontariamente di asservirsi. Ma ci sono state anche battaglie belle e significative, nate per ristabilire la possibilità di esistere, senza la volontà di dominio. La lotta antifascista aveva come obiettivo restituire le libertà fondamentali ad uno stato oppresso. Le donne hanno cercato, attraverso l’emancipazione, di esprimersi in quanto donne senza le determinazioni di una società maschilista. Ma non desideravano controllare l’altro.
Nonostante la volontà di sopraffazione sia sempre intrinseca dell’essere umano, ora in occidente godiamo, in generale, di una libertà che è diventata addirittura impotenza. La totale indipendenza da strutture ideologiche, politiche, morali, familiari, ha posto all’uomo una domanda fondamentale: Che cosa fare della propria libertà? Molti di noi hanno preferito non prendersi questa responsabilità e disperdere l’unicità preziosa della propria vita in modo caotico, senza ricercarne il significato autentico. Inoltre c’è nell’uomo il naturale bisogno di identità, identità che viene meno senza radici storico-cuturali. La risposta più semplice a questo problema è stata l’identificazione conformistica con il debole modello di società esistente, che ha già perduto le sue radici, avendo dimenticato o rinnegato la sua storia. Una volta assorbiti in una società che ha come unica regola morale “dover essere qualcuno” non abbiamo più bisogno di pensare, di entrare in contatto con noi stessi: l’unico obiettivo è arrivare. Ma pur volendo provare a pensare non ci riusciamo. Anche menti brillanti, davanti a questo clima derivante della crisi, appaiono disperate, bloccate, non riuscendo a concepire una vita che non sia come quella “economica” che viviamo.
Questo è allora l’unico modello possibile? Nessuno ci ha mai obbligato a pensarlo. Noi siamo sempre stati liberi, abbiamo avuto gli strumenti per analizzare e conoscere la realtà e scorgere altre strade da percorrere. Ma non ci siamo riusciti. Siamo un deserto privo d’immaginazione. La nostra anima, nutrita di storia dell’arte, di poesia (che sono rari doni, privilegi) non è capace di sognare. Come uomini maturi e civili, liberi, noi non siamo ancora nati. Siamo più piccoli di bambini spaventati dal buio. Il nostro buio è la miseria, la sofferenza, la crescita, la morte dei nostri idoli primitivi: fama, personalità, bellezza. Abbiamo paura della povertà, di essere tutti uguali, di somigliare ai nostri vicini affamati. Essere come loro ci spaventa, non ci piace l’idea di smettere di essere dominatori. Eppure non dicevamo di amarli i bisognosi, non eravamo caritatevoli? Questo è lo scheletro che da anni abbiamo appeso nell’armadio, chiudendo la finestra ogni volta che ci si mostrava lo spettacolo dei popoli poveri, dei nostri fratelli poveri, che in fondo non siamo che noi, poveri, appena venuti al mondo. La mente allontana e rimuove gli spettri, gli incubi, i bambini denutriti con la pancia gonfia. La loro morte è la nostra morte, la morte dei pensieri confortevoli. Non abbiamo abbastanza cuore per sentirci uomini, non abbiamo voglia di crescere, ci teniamo stretti la nostra copertina di Linus fatta di morbide certezze mondane, di chiacchiere a cui non possiamo rinunciare. Eppure tanti hanno lottato per questa possibilità di pensare, di fare, di sognare che abbiamo tra le mani, disgregata e impoverita dal nostro individualismo senza identità, dalla nostra società senza sociale, che prevarica e affama le altre culture in nome della libertà.
Ora che l’idolo della ricchezza inizia a crollare (o se un giorno crollerà) ci sembra di non esistere più, piagnucoliamo impauriti senza sapere più chi siamo e la cerchiamo ancora, questa nostra dea dorata, perché non ci abbandoni, lei che ci ha fatto esistere.
Pesa troppo guardarsi dentro, sapere di essere liberi e dunque responsabili, di avere lo stesso volto degli altri uomini, soprattutto sapere di essere uomini. La domanda: “Che uomo vuoi essere? ” ci fa tremare di paura.☺
micheladimemmo@email.it
Alla fine tutto diventa evidenza. Le cose non sono che quelle che sono. L’uomo per essere tale deve solo essere un uomo, un essere pensante, quindi dubitante. Se gli viene negata (da sé o da altri) questa possibilità, egli smette di essere tale. La storia è piena di esempi che negano questa semplice asserzione, di potenze di qualsiasi tipo che hanno detto al loro vicino “Sei libero di essere quello che io voglio che tu sia”, di uomini che hanno deciso volontariamente di asservirsi. Ma ci sono state anche battaglie belle e significative, nate per ristabilire la possibilità di esistere, senza la volontà di dominio. La lotta antifascista aveva come obiettivo restituire le libertà fondamentali ad uno stato oppresso. Le donne hanno cercato, attraverso l’emancipazione, di esprimersi in quanto donne senza le determinazioni di una società maschilista. Ma non desideravano controllare l’altro.
Nonostante la volontà di sopraffazione sia sempre intrinseca dell’essere umano, ora in occidente godiamo, in generale, di una libertà che è diventata addirittura impotenza. La totale indipendenza da strutture ideologiche, politiche, morali, familiari, ha posto all’uomo una domanda fondamentale: Che cosa fare della propria libertà? Molti di noi hanno preferito non prendersi questa responsabilità e disperdere l’unicità preziosa della propria vita in modo caotico, senza ricercarne il significato autentico. Inoltre c’è nell’uomo il naturale bisogno di identità, identità che viene meno senza radici storico-cuturali. La risposta più semplice a questo problema è stata l’identificazione conformistica con il debole modello di società esistente, che ha già perduto le sue radici, avendo dimenticato o rinnegato la sua storia. Una volta assorbiti in una società che ha come unica regola morale “dover essere qualcuno” non abbiamo più bisogno di pensare, di entrare in contatto con noi stessi: l’unico obiettivo è arrivare. Ma pur volendo provare a pensare non ci riusciamo. Anche menti brillanti, davanti a questo clima derivante della crisi, appaiono disperate, bloccate, non riuscendo a concepire una vita che non sia come quella “economica” che viviamo.
Questo è allora l’unico modello possibile? Nessuno ci ha mai obbligato a pensarlo. Noi siamo sempre stati liberi, abbiamo avuto gli strumenti per analizzare e conoscere la realtà e scorgere altre strade da percorrere. Ma non ci siamo riusciti. Siamo un deserto privo d’immaginazione. La nostra anima, nutrita di storia dell’arte, di poesia (che sono rari doni, privilegi) non è capace di sognare. Come uomini maturi e civili, liberi, noi non siamo ancora nati. Siamo più piccoli di bambini spaventati dal buio. Il nostro buio è la miseria, la sofferenza, la crescita, la morte dei nostri idoli primitivi: fama, personalità, bellezza. Abbiamo paura della povertà, di essere tutti uguali, di somigliare ai nostri vicini affamati. Essere come loro ci spaventa, non ci piace l’idea di smettere di essere dominatori. Eppure non dicevamo di amarli i bisognosi, non eravamo caritatevoli? Questo è lo scheletro che da anni abbiamo appeso nell’armadio, chiudendo la finestra ogni volta che ci si mostrava lo spettacolo dei popoli poveri, dei nostri fratelli poveri, che in fondo non siamo che noi, poveri, appena venuti al mondo. La mente allontana e rimuove gli spettri, gli incubi, i bambini denutriti con la pancia gonfia. La loro morte è la nostra morte, la morte dei pensieri confortevoli. Non abbiamo abbastanza cuore per sentirci uomini, non abbiamo voglia di crescere, ci teniamo stretti la nostra copertina di Linus fatta di morbide certezze mondane, di chiacchiere a cui non possiamo rinunciare. Eppure tanti hanno lottato per questa possibilità di pensare, di fare, di sognare che abbiamo tra le mani, disgregata e impoverita dal nostro individualismo senza identità, dalla nostra società senza sociale, che prevarica e affama le altre culture in nome della libertà.
Ora che l’idolo della ricchezza inizia a crollare (o se un giorno crollerà) ci sembra di non esistere più, piagnucoliamo impauriti senza sapere più chi siamo e la cerchiamo ancora, questa nostra dea dorata, perché non ci abbandoni, lei che ci ha fatto esistere.
Pesa troppo guardarsi dentro, sapere di essere liberi e dunque responsabili, di avere lo stesso volto degli altri uomini, soprattutto sapere di essere uomini. La domanda: “Che uomo vuoi essere? ” ci fa tremare di paura.☺
Alla fine tutto diventa evidenza. Le cose non sono che quelle che sono. L’uomo per essere tale deve solo essere un uomo, un essere pensante, quindi dubitante. Se gli viene negata (da sé o da altri) questa possibilità, egli smette di essere tale. La storia è piena di esempi che negano questa semplice asserzione, di potenze di qualsiasi tipo che hanno detto al loro vicino “Sei libero di essere quello che io voglio che tu sia”, di uomini che hanno deciso volontariamente di asservirsi. Ma ci sono state anche battaglie belle e significative, nate per ristabilire la possibilità di esistere, senza la volontà di dominio. La lotta antifascista aveva come obiettivo restituire le libertà fondamentali ad uno stato oppresso. Le donne hanno cercato, attraverso l’emancipazione, di esprimersi in quanto donne senza le determinazioni di una società maschilista. Ma non desideravano controllare l’altro.
Nonostante la volontà di sopraffazione sia sempre intrinseca dell’essere umano, ora in occidente godiamo, in generale, di una libertà che è diventata addirittura impotenza. La totale indipendenza da strutture ideologiche, politiche, morali, familiari, ha posto all’uomo una domanda fondamentale: Che cosa fare della propria libertà? Molti di noi hanno preferito non prendersi questa responsabilità e disperdere l’unicità preziosa della propria vita in modo caotico, senza ricercarne il significato autentico. Inoltre c’è nell’uomo il naturale bisogno di identità, identità che viene meno senza radici storico-cuturali. La risposta più semplice a questo problema è stata l’identificazione conformistica con il debole modello di società esistente, che ha già perduto le sue radici, avendo dimenticato o rinnegato la sua storia. Una volta assorbiti in una società che ha come unica regola morale “dover essere qualcuno” non abbiamo più bisogno di pensare, di entrare in contatto con noi stessi: l’unico obiettivo è arrivare. Ma pur volendo provare a pensare non ci riusciamo. Anche menti brillanti, davanti a questo clima derivante della crisi, appaiono disperate, bloccate, non riuscendo a concepire una vita che non sia come quella “economica” che viviamo.
Questo è allora l’unico modello possibile? Nessuno ci ha mai obbligato a pensarlo. Noi siamo sempre stati liberi, abbiamo avuto gli strumenti per analizzare e conoscere la realtà e scorgere altre strade da percorrere. Ma non ci siamo riusciti. Siamo un deserto privo d’immaginazione. La nostra anima, nutrita di storia dell’arte, di poesia (che sono rari doni, privilegi) non è capace di sognare. Come uomini maturi e civili, liberi, noi non siamo ancora nati. Siamo più piccoli di bambini spaventati dal buio. Il nostro buio è la miseria, la sofferenza, la crescita, la morte dei nostri idoli primitivi: fama, personalità, bellezza. Abbiamo paura della povertà, di essere tutti uguali, di somigliare ai nostri vicini affamati. Essere come loro ci spaventa, non ci piace l’idea di smettere di essere dominatori. Eppure non dicevamo di amarli i bisognosi, non eravamo caritatevoli? Questo è lo scheletro che da anni abbiamo appeso nell’armadio, chiudendo la finestra ogni volta che ci si mostrava lo spettacolo dei popoli poveri, dei nostri fratelli poveri, che in fondo non siamo che noi, poveri, appena venuti al mondo. La mente allontana e rimuove gli spettri, gli incubi, i bambini denutriti con la pancia gonfia. La loro morte è la nostra morte, la morte dei pensieri confortevoli. Non abbiamo abbastanza cuore per sentirci uomini, non abbiamo voglia di crescere, ci teniamo stretti la nostra copertina di Linus fatta di morbide certezze mondane, di chiacchiere a cui non possiamo rinunciare. Eppure tanti hanno lottato per questa possibilità di pensare, di fare, di sognare che abbiamo tra le mani, disgregata e impoverita dal nostro individualismo senza identità, dalla nostra società senza sociale, che prevarica e affama le altre culture in nome della libertà.
Ora che l’idolo della ricchezza inizia a crollare (o se un giorno crollerà) ci sembra di non esistere più, piagnucoliamo impauriti senza sapere più chi siamo e la cerchiamo ancora, questa nostra dea dorata, perché non ci abbandoni, lei che ci ha fatto esistere.
Pesa troppo guardarsi dentro, sapere di essere liberi e dunque responsabili, di avere lo stesso volto degli altri uomini, soprattutto sapere di essere uomini. La domanda: “Che uomo vuoi essere? ” ci fa tremare di paura.☺
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