L’inutile utilità della poesia
16 Maggio 2025
laFonteTV (3796 articles)
Share

L’inutile utilità della poesia

A lungo insegnante di filosofia in un liceo di Vicenza, Paolo Lanaro (Schio 1948) ha coltivato in maniera appartata una sua ricerca poetica connotata da rigore, tanto concettuale quanto di scelte formali, e da una costante profondità. Valori che cogliamo rinnovati in una sua recente raccolta – Versi spediti a una cassetta postale. Poesie, Adria, Apogeo editore, 2024 -, uno splendido librino dalla suggestiva copertina in cartoncino bianco ornato in alto a destra dalla riproduzione di un vecchio francobollo del valore di «lire 100», di quelli un tempo maggiormente correnti con la testa della Repubblica (qui marroncina), incollato – come capitava e capita – un po’ storto, col suo ‘regolare’ annullo a timbro di quattro linee ondulate. E non è futile averlo sottolineato: il tutto si fa simbolo di un mondo (e nostalgia di un tempo ormai passato). Come sempre, infatti, le poesie di Lanaro guardano con tenerezza alle cose della vita, ai piccoli eventi quotidiani che la materiano. Per esempio la stessa Nudi fatti: «Succede che da sempre le cose umane,/ quelle comuni, come nascere e morire,/ vengano prese come fatti lineari,/ esemplarmente nudi e basta.// Succede pure che una palpebra si chiuda/ o si spalanchi nell’indifferenza. Come qua,/ in un attimo, in un solo e unico sguarnito attimo,/ avviene qualcosa che svanirà».
Sullo sfondo la lezione dei classici; a Lanaro risulta specialmente vicino Orazio, anche se qui incontriamo invece Tacito (In coda), Sant’Agostino (Cenno biografico) e – fra i non pochi moderni – Emily Dickinson, Charlie Chaplin, Giuliano Scabia (ora angelo) e «innevati versicoli di Ungaretti,/ squarciati da cento fessure,/ immersi in una fine dolce come il legno» (Studio rapido). La poesia eponima della raccolta Versi spediti a una cassetta postale, si apre con l’enunciato «Finché c’è luce c’è parola». Come a dire fino a che c’è vita c’è espressione, e la poesia ne disciplina i «frantumi/ abbandonati in scintillanti/ ammassi di rifiuti», facendone «lievi colombe del giudizio./ Grigie nottole del tempo».
La Nota dell’autore (pp. 5-6), fra le altre considerazioni, osserva: «Ho riflettuto di tanto in tanto sulla funzione della poesia, un tema caro ai poeti, su cui sono state scritte pagine profonde e suggestive. Alla fine ho capito che non ne ha nessuna. E paradossalmente è la ragione della sua importanza. In un mondo in cui quel che conta è ciò che è utilizzabile, la poesia, che non lo è, ha la magnifica e indecifrabile necessità delle cose che non servono a niente. Come la pittura, la scultura, la musica». Detto altrimenti, in versi (è l’intera lirica Sui poeti): «Prendete uno come Petrarca e mettetelo/ su un’isola spartitraffico e domandatevi/ cosa potrebbe fare./ Immaginate come possa venir via da lì/ dove i serti d’alloro non contano proprio niente,/ ma serve invece destrezza nell’ attraversare,/ colpo d’occhio, esperienza e fortuna». È sottinteso: queste qualità (e perfino la fortuna) a Petrarca certo non mancano.
Mentre sto per congedare questa nota, ricevo una nuova raccoltina di Paolo Lanaro, pubblicata dallo stesso editore: Fuga, ritorni (marzo 2025). Si tratta ap- punto di una fuga, in campitura unica, di una novantina di telegrafici epigrammi che ritornano ai giorni vissuti (una sobria e intensa breve prefazione di Paolo Rumiz ne riepiloga con efficacia tutta la sostanza poetica), mentre «Scende a colpi di scure la vecchiaia» (eco, forse voluta, forse inconscia – perché siamo ciò che leggiamo, senza necessariamente recare puntuale memoria di tutte le tessere che vengono a comporre il nostro interiore mosaico -, o solo casuale, del famoso incipit di una poesia del Notizie dal diluvio di Angelo Maria Ripellino: «Scende a colpi di accetta la vecchiaia»). Si inseguono pensieri come «Gli istanti si svuotano, le porte si chiudono,/ si è nel cuore dell’eterno. Ma si sa/ che il male è più forte del bene/ e quanto il tempo saccheggi i sogni», o asserzioni come «Scusate se manco, se non ho avuto il riguardo necessario, quando lo scavo si è rivelato inutile». Tuttavia, anche se la liminare situazione anagrafica ispira un’atmosfera di generale malinconia («È come vedere la scena attraverso una lacrima»), la gentilezza della poesia riesce ancora a schiudere un barlume di metafisica speranza (è l’intero testo di p. 88):

Non so chi, non so cosa, ma lassù,
dove nulla si può capire, sono certo:
ci sono, ci devono essere luci benevole. ☺

laFonteTV

laFonteTV