il sogno interrotto di Giovanni Di Stasi | La Fonte TV
L'Europa concepita a Ventotene aveva il fascino di un sogno e la precisione di un progetto concreto. In quell'Europa c'era spazio per la pace, per la democrazia, per la prosperità, per la solidarietà. Alla realizzazione di quel progetto ha lavorato la migliore classe dirigente europea con risultati per molti versi straordinari. I popoli del vecchio continente hanno visto crescere quella nuova realtà, ne hanno assecondato il consolidamento ed hanno sviluppato, nella seconda metà del secolo scorso, un forte sentimento europeista. Negli ultimi dieci anni il cantiere della costruzione europea ha, però, perso energia e slancio ed in molti si chiedono se oggi valga la pena di continuare a credere nell'Europa e tornare ad investire speranze in quell'opera ciclopica. I dubbi sono alimentati dalla recessione economica, dalla disoccupazione dilagante, dalle crescenti disuguaglianze. La prospettiva si appanna per i singoli cittadini, per i territori e per intere comunità nazionali, mentre le classi dirigenti, a tutti i livelli, mandano messaggi confusi e contraddittori.
È questa la cornice in cui i cittadini italiani sono chiamati a rinnovare il parlamento nazionale. È questa la contingenza nella quale tre regioni – Lazio, Lombardia e Molise – vanno anticipatamente al voto. Può, dunque, tornare utile una riflessione volta a diradare le nubi che incombono sul nostro e su molti altri paesi europei partendo da un punto fermo: la costruzione europea non può e non deve essere fermata, mentre le priorità della sua agenda vanno rivisitate in profondità.
La crisi finanziaria, economica e sociale che sta minando gli equilibri mondiali impone il risanamento dei conti pubblici di tutti i paesi dell'eurozona. Tale processo sarebbe inevitabile anche se l'Unione Europea non esistesse e risulterà impossibile realizzarlo senza un contestuale sostegno alla innovazione e alla crescita economica. È ormai chiaro a tutti che l'assenza di incisive iniziative di sostegno allo sviluppo rischia di vanificare gli enormi sacrifici che vengono imposti ai cittadini dal “fiscal compact”.
E, tuttavia, se l'UE si limitasse a perseguire, con un successo che non appare scontato, l'obiettivo del risanamento di bilancio, tradirebbe comunque la sua natura e la sua missione. All'indispensabile risanamento finanziario dei paesi membri deve essere associato, infatti, un altro obiettivo irrinunciabile: la progressiva ma concreta riduzione del divario tra ricchi e poveri, tra i territori sviluppati e quelli in ritardo di sviluppo.
L'Europa dei diritti umani, dell'integrazione e della solidarietà non può rassegnarsi:
– ad un modello che si va diffondendo e che concentra la metà della ricchezza nazionale nelle mani del 10% della popolazione, lasciando solo metà della ricchezza al rimanente 90% dei cittadini;
– ad una situazione in cui il PIL pro capite, espresso in potere d'acquisto standard, nella regione di Severozapaden in Bulgaria nel 2009 era pari al 27% della media europea, mentre il PIL pro capite della regione Inner London nel Regno Unito era pari al 332%.
Paradossalmente l'UE, che punta solo al risanamento dei conti pubblici attraverso tagli indiscriminati, rischia di procurare recessione, disoccupazione e minori tutele sociali, mentre una UE capace di perseguire contestualmente l'obiettivo del risanamento e quello della riduzione del divario tra chi sta meglio e chi sta peggio, avrebbe un compito più facile. La necessaria lotta agli sprechi, alla corruzione, all'evasione fiscale e alla malavita devono diventare il pilastro portante delle politiche del necessario risanamento morale, prima ancora di quello finanziario. Le risorse recuperate per questa via devono essere utilizzate per abbattere i debiti pregressi e per rilanciare crescita economica e occupazione, ma esse non sono comunque sufficienti.
Per questo l'Europa delle grandi conquiste sociali e di libertà deve porsi l'obiettivo esplicito di una più equilibrata distribuzione della ricchezza tra i suoi cittadini e tra i suoi territori. In questa ottica il sostegno dell'Ue alla realizzazione di un sistema fiscale efficace e fortemente progressivo in ciascuno dei paesi membri insieme alla disponibilità di un bilancio comunitario molto più consistente di quello attuale, consentirebbe di sostenere l'innovazione e la crescita su tutto il territorio continentale, a partire da quelle aree che registrano uno sviluppo inferiore alla media europea.
Ovviamente si potrebbe obiettare che l'UE dispone già di fondi strutturali destinati al rafforzamento della coesione sociale ed economica, ma è forse il caso di riflettere sulla loro esiguità, sul parziale e cattivo utilizzo che se ne sta facendo e sulla permanenza di gravi squilibri territoriali.
Per questo le prossime elezioni nazionali devono selezionare una rappresentanza democratica che sappia e voglia farsi carico di queste nuove sfide che possono essere vinte soltanto in un rapporto collaborativo tra istituzioni nazionali ed europee rinnovate e rafforzate.
Per questo il Molise, la Lombardia ed il Lazio, che stanno per andare al voto, devono essere affidate alla guida di persone autorevoli e democratiche, capaci di migliorarne la governance, ma anche di battersi perché i principali diritti dei loro cittadini, a partire dal lavoro, la casa, la salute e l'istruzione, possano essere concretamente rispettati. E questo può avvenire soltanto se la nuova agenda europea, che ho qui evocato, viene condivisa e implementata con il concorso di tutti i livelli istituzionali: europeo, nazionale, regionale e locale.
Qualcuno potrebbe pensare che questa sia la via per ridare vita ad un ormai evanescente sogno europeo. Per me questa è la via, concreta e senza alternative, perché tutti noi cittadini del vecchio continente si possa riprendere un cammino di civiltà.☺
giovanni.distasi@gmail.com
L'Europa concepita a Ventotene aveva il fascino di un sogno e la precisione di un progetto concreto. In quell'Europa c'era spazio per la pace, per la democrazia, per la prosperità, per la solidarietà. Alla realizzazione di quel progetto ha lavorato la migliore classe dirigente europea con risultati per molti versi straordinari. I popoli del vecchio continente hanno visto crescere quella nuova realtà, ne hanno assecondato il consolidamento ed hanno sviluppato, nella seconda metà del secolo scorso, un forte sentimento europeista. Negli ultimi dieci anni il cantiere della costruzione europea ha, però, perso energia e slancio ed in molti si chiedono se oggi valga la pena di continuare a credere nell'Europa e tornare ad investire speranze in quell'opera ciclopica. I dubbi sono alimentati dalla recessione economica, dalla disoccupazione dilagante, dalle crescenti disuguaglianze. La prospettiva si appanna per i singoli cittadini, per i territori e per intere comunità nazionali, mentre le classi dirigenti, a tutti i livelli, mandano messaggi confusi e contraddittori.
È questa la cornice in cui i cittadini italiani sono chiamati a rinnovare il parlamento nazionale. È questa la contingenza nella quale tre regioni – Lazio, Lombardia e Molise – vanno anticipatamente al voto. Può, dunque, tornare utile una riflessione volta a diradare le nubi che incombono sul nostro e su molti altri paesi europei partendo da un punto fermo: la costruzione europea non può e non deve essere fermata, mentre le priorità della sua agenda vanno rivisitate in profondità.
La crisi finanziaria, economica e sociale che sta minando gli equilibri mondiali impone il risanamento dei conti pubblici di tutti i paesi dell'eurozona. Tale processo sarebbe inevitabile anche se l'Unione Europea non esistesse e risulterà impossibile realizzarlo senza un contestuale sostegno alla innovazione e alla crescita economica. È ormai chiaro a tutti che l'assenza di incisive iniziative di sostegno allo sviluppo rischia di vanificare gli enormi sacrifici che vengono imposti ai cittadini dal “fiscal compact”.
E, tuttavia, se l'UE si limitasse a perseguire, con un successo che non appare scontato, l'obiettivo del risanamento di bilancio, tradirebbe comunque la sua natura e la sua missione. All'indispensabile risanamento finanziario dei paesi membri deve essere associato, infatti, un altro obiettivo irrinunciabile: la progressiva ma concreta riduzione del divario tra ricchi e poveri, tra i territori sviluppati e quelli in ritardo di sviluppo.
L'Europa dei diritti umani, dell'integrazione e della solidarietà non può rassegnarsi:
– ad un modello che si va diffondendo e che concentra la metà della ricchezza nazionale nelle mani del 10% della popolazione, lasciando solo metà della ricchezza al rimanente 90% dei cittadini;
– ad una situazione in cui il PIL pro capite, espresso in potere d'acquisto standard, nella regione di Severozapaden in Bulgaria nel 2009 era pari al 27% della media europea, mentre il PIL pro capite della regione Inner London nel Regno Unito era pari al 332%.
Paradossalmente l'UE, che punta solo al risanamento dei conti pubblici attraverso tagli indiscriminati, rischia di procurare recessione, disoccupazione e minori tutele sociali, mentre una UE capace di perseguire contestualmente l'obiettivo del risanamento e quello della riduzione del divario tra chi sta meglio e chi sta peggio, avrebbe un compito più facile. La necessaria lotta agli sprechi, alla corruzione, all'evasione fiscale e alla malavita devono diventare il pilastro portante delle politiche del necessario risanamento morale, prima ancora di quello finanziario. Le risorse recuperate per questa via devono essere utilizzate per abbattere i debiti pregressi e per rilanciare crescita economica e occupazione, ma esse non sono comunque sufficienti.
Per questo l'Europa delle grandi conquiste sociali e di libertà deve porsi l'obiettivo esplicito di una più equilibrata distribuzione della ricchezza tra i suoi cittadini e tra i suoi territori. In questa ottica il sostegno dell'Ue alla realizzazione di un sistema fiscale efficace e fortemente progressivo in ciascuno dei paesi membri insieme alla disponibilità di un bilancio comunitario molto più consistente di quello attuale, consentirebbe di sostenere l'innovazione e la crescita su tutto il territorio continentale, a partire da quelle aree che registrano uno sviluppo inferiore alla media europea.
Ovviamente si potrebbe obiettare che l'UE dispone già di fondi strutturali destinati al rafforzamento della coesione sociale ed economica, ma è forse il caso di riflettere sulla loro esiguità, sul parziale e cattivo utilizzo che se ne sta facendo e sulla permanenza di gravi squilibri territoriali.
Per questo le prossime elezioni nazionali devono selezionare una rappresentanza democratica che sappia e voglia farsi carico di queste nuove sfide che possono essere vinte soltanto in un rapporto collaborativo tra istituzioni nazionali ed europee rinnovate e rafforzate.
Per questo il Molise, la Lombardia ed il Lazio, che stanno per andare al voto, devono essere affidate alla guida di persone autorevoli e democratiche, capaci di migliorarne la governance, ma anche di battersi perché i principali diritti dei loro cittadini, a partire dal lavoro, la casa, la salute e l'istruzione, possano essere concretamente rispettati. E questo può avvenire soltanto se la nuova agenda europea, che ho qui evocato, viene condivisa e implementata con il concorso di tutti i livelli istituzionali: europeo, nazionale, regionale e locale.
Qualcuno potrebbe pensare che questa sia la via per ridare vita ad un ormai evanescente sogno europeo. Per me questa è la via, concreta e senza alternative, perché tutti noi cittadini del vecchio continente si possa riprendere un cammino di civiltà.☺
L'Europa concepita a Ventotene aveva il fascino di un sogno e la precisione di un progetto concreto. In quell'Europa c'era spazio per la pace, per la democrazia, per la prosperità, per la solidarietà. Alla realizzazione di quel progetto ha lavorato la migliore classe dirigente europea con risultati per molti versi straordinari. I popoli del vecchio continente hanno visto crescere quella nuova realtà, ne hanno assecondato il consolidamento ed hanno sviluppato, nella seconda metà del secolo scorso, un forte sentimento europeista. Negli ultimi dieci anni il cantiere della costruzione europea ha, però, perso energia e slancio ed in molti si chiedono se oggi valga la pena di continuare a credere nell'Europa e tornare ad investire speranze in quell'opera ciclopica. I dubbi sono alimentati dalla recessione economica, dalla disoccupazione dilagante, dalle crescenti disuguaglianze. La prospettiva si appanna per i singoli cittadini, per i territori e per intere comunità nazionali, mentre le classi dirigenti, a tutti i livelli, mandano messaggi confusi e contraddittori.
È questa la cornice in cui i cittadini italiani sono chiamati a rinnovare il parlamento nazionale. È questa la contingenza nella quale tre regioni – Lazio, Lombardia e Molise – vanno anticipatamente al voto. Può, dunque, tornare utile una riflessione volta a diradare le nubi che incombono sul nostro e su molti altri paesi europei partendo da un punto fermo: la costruzione europea non può e non deve essere fermata, mentre le priorità della sua agenda vanno rivisitate in profondità.
La crisi finanziaria, economica e sociale che sta minando gli equilibri mondiali impone il risanamento dei conti pubblici di tutti i paesi dell'eurozona. Tale processo sarebbe inevitabile anche se l'Unione Europea non esistesse e risulterà impossibile realizzarlo senza un contestuale sostegno alla innovazione e alla crescita economica. È ormai chiaro a tutti che l'assenza di incisive iniziative di sostegno allo sviluppo rischia di vanificare gli enormi sacrifici che vengono imposti ai cittadini dal “fiscal compact”.
E, tuttavia, se l'UE si limitasse a perseguire, con un successo che non appare scontato, l'obiettivo del risanamento di bilancio, tradirebbe comunque la sua natura e la sua missione. All'indispensabile risanamento finanziario dei paesi membri deve essere associato, infatti, un altro obiettivo irrinunciabile: la progressiva ma concreta riduzione del divario tra ricchi e poveri, tra i territori sviluppati e quelli in ritardo di sviluppo.
L'Europa dei diritti umani, dell'integrazione e della solidarietà non può rassegnarsi:
– ad un modello che si va diffondendo e che concentra la metà della ricchezza nazionale nelle mani del 10% della popolazione, lasciando solo metà della ricchezza al rimanente 90% dei cittadini;
– ad una situazione in cui il PIL pro capite, espresso in potere d'acquisto standard, nella regione di Severozapaden in Bulgaria nel 2009 era pari al 27% della media europea, mentre il PIL pro capite della regione Inner London nel Regno Unito era pari al 332%.
Paradossalmente l'UE, che punta solo al risanamento dei conti pubblici attraverso tagli indiscriminati, rischia di procurare recessione, disoccupazione e minori tutele sociali, mentre una UE capace di perseguire contestualmente l'obiettivo del risanamento e quello della riduzione del divario tra chi sta meglio e chi sta peggio, avrebbe un compito più facile. La necessaria lotta agli sprechi, alla corruzione, all'evasione fiscale e alla malavita devono diventare il pilastro portante delle politiche del necessario risanamento morale, prima ancora di quello finanziario. Le risorse recuperate per questa via devono essere utilizzate per abbattere i debiti pregressi e per rilanciare crescita economica e occupazione, ma esse non sono comunque sufficienti.
Per questo l'Europa delle grandi conquiste sociali e di libertà deve porsi l'obiettivo esplicito di una più equilibrata distribuzione della ricchezza tra i suoi cittadini e tra i suoi territori. In questa ottica il sostegno dell'Ue alla realizzazione di un sistema fiscale efficace e fortemente progressivo in ciascuno dei paesi membri insieme alla disponibilità di un bilancio comunitario molto più consistente di quello attuale, consentirebbe di sostenere l'innovazione e la crescita su tutto il territorio continentale, a partire da quelle aree che registrano uno sviluppo inferiore alla media europea.
Ovviamente si potrebbe obiettare che l'UE dispone già di fondi strutturali destinati al rafforzamento della coesione sociale ed economica, ma è forse il caso di riflettere sulla loro esiguità, sul parziale e cattivo utilizzo che se ne sta facendo e sulla permanenza di gravi squilibri territoriali.
Per questo le prossime elezioni nazionali devono selezionare una rappresentanza democratica che sappia e voglia farsi carico di queste nuove sfide che possono essere vinte soltanto in un rapporto collaborativo tra istituzioni nazionali ed europee rinnovate e rafforzate.
Per questo il Molise, la Lombardia ed il Lazio, che stanno per andare al voto, devono essere affidate alla guida di persone autorevoli e democratiche, capaci di migliorarne la governance, ma anche di battersi perché i principali diritti dei loro cittadini, a partire dal lavoro, la casa, la salute e l'istruzione, possano essere concretamente rispettati. E questo può avvenire soltanto se la nuova agenda europea, che ho qui evocato, viene condivisa e implementata con il concorso di tutti i livelli istituzionali: europeo, nazionale, regionale e locale.
Qualcuno potrebbe pensare che questa sia la via per ridare vita ad un ormai evanescente sogno europeo. Per me questa è la via, concreta e senza alternative, perché tutti noi cittadini del vecchio continente si possa riprendere un cammino di civiltà.☺
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