un nuovo inizio   di Giovanni Di Stasi
29 Aprile 2013 Share

un nuovo inizio di Giovanni Di Stasi

 

Ai cittadini globali non sfugge il lento ma inesorabile scivolamento dell'intero continente europeo verso la periferia del mondo. Nel contempo, molti osservatori di Berlino e di Londra si vanno convincendo di una verità che esiste solo nella loro mente e che vede in difficoltà soltanto i paesi mediterranei: certi di poter costruire per se stessi un destino sociale ed economico indipendente da quello europeo, si prodigano in generosi consigli e rigorosi precetti per la Grecia, l'Italia, la Spagna o il Portogallo, ma non sono in grado di proporre una sola iniziativa progettuale per il futuro dell' Europa.

A tutti risultano ormai chiare le responsabilità dei capi di stato e di governo europei nell'assecondare questa linea di pensiero e nel tradurla in politiche che non solo aggravano la crisi economica nei paesi mediterranei, ma ne amplificano i riflessi negativi estendendoli fino al Mare del Nord. Per onestà va detto anche che i capi di stato e di governo europei sono i colpevoli principali, ma non esclusivi, della deriva in atto. I governi locali e sopratutto regionali, che pure avevano promesso di giocare un grande ruolo nel processo di costruzione europea, si sono semplicemente ritirati dalla partita.

Ricordiamo bene l'entusiasmo con cui fu accolto il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 che, dando vita all'Unione Europea, riconosceva un ruolo alle istanze territoriali con l'istituzione del Comitato delle Regioni come organo consultivo. Il 1994 fu l'anno in cui il Consiglio d'Europa istituiva il Congresso dei Poteri Locali e Regionali, mentre l'Unione Europea dava vita al Comitato delle Regioni e, sopratutto, attribuiva un ruolo centrale alle regioni nella programmazione e nella gestione dei fondi strutturali europei.

L'Europa delle Regioni sembrava essere una prospettiva concreta e carica di speranze, sopratutto per i cittadini europei che vivevano nelle aree con maggiori problemi occupazionali. In alcune regioni, si pensi ai Lander della Germania orientale, quelle promesse furono mantenute grazie al forte impegno comune dei governanti territoriali e nazionali per il rafforzamento della coesione socio-economica tedesca. In altri casi, però, le cose sono andate assai diversamente.

La vicenda italiana racchiude, con qualche eccezione, la storia degli insuccessi regionali nell'impiego dei fondi strutturali e non solo. Con l'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle province, introdotta con la Legge n 81/93, partì un dibattito che, attraverso vari passaggi, portò al varo della Legge costituzionale n 1/1999 recante “Disposizioni concernenti l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni”. La citata riforma costituzionale, che trovò una prima applicazione con le elezioni regionali del 2000, fu accolta in Italia e in Europa come un grande contributo al rafforzamento del regionalismo nel vecchio continente. Le nuove responsabilità e i nuovi poteri attribuiti ai presidenti delle regioni lasciavano sperare in una nuova capacità degli stessi di svolgere un ruolo decisivo per il miglioramento della qualità della governance regionale, per un rilancio dello sviluppo territoriale anche attraverso un corretto utilizzo dei fondi strutturali europei e, non ultimo, per un forte sostegno all'avanzamento della costruzione europea.

Tornando per un attimo allo scenario europeo, si potrebbero citare molte iniziative attivate congiuntamente dal Congresso e dal Comitato delle Regioni per far circolare nelle istituzioni europee temi e aspettative dei territori e dei cittadini che in essi vivono. Chi avesse voglia di approfondire l'argomento può ripercorrere la battaglia fatta insieme all'allora Commissario europeo Michel Barnier per mantenere in capo alle regioni la programmazione e la gestione dei fondi strutturali 2007/2013 o riflettere sullo spazio riservato alla dimensione territoriale dal III Summit dei Capi di Stato e di Governo tenutosi a Varsavia nel maggio 2005. Quel che è mancato negli ultimi anni è stata la capacità delle Regioni e dei Comuni europei di  onorare adeguatamente quegli impegni. E gli enti territoriali italiani si sono distinti, ancora una volta, per i risultati negativi conseguiti.

Bisogna riconoscere, senza forzate e ingiuste generalizzazioni, che la visibilità e i nuovi poteri ottenuti con l'elezione diretta dei sindaci prima e dei presidenti delle regioni dopo non solo non hanno prodotto i miglioramenti della governance attesi dai cittadini, ma non hanno neppure impedito l'attuale incredibile deriva morale per la maggior parte delle regioni italiane. In tali condizioni risulta più facile sentir parlare di “Regioni della Vergogna” che di “Europa delle Regioni”. In questo modo uno dei principali canali attraverso i quali i cittadini avrebbero potuto far circolare la propria voce nelle istituzioni europee è stato ostruito. Il tema del recupero del ritardo di sviluppo, quello dell'innovazione e della competitività territoriale sono andati in ombra e l'appartenenza stessa all'UE ha perso valore.

Su questo i sindaci e i presidenti delle regioni italiane, insieme a tutti i loro colleghi europei, farebbero bene a riflettere e a decidere di gettare le basi di un nuovo inizio. L'occasione per il lancio di una nuova strategia basata sul protagonismo dei cittadini e dei loro rappresentanti territoriali potrebbe essere il 2014, a 20 anni dalla nascita del Congresso e del Comitato delle Regioni, ma il tempo a disposizione per agire è poco. Il 2014 è dietro l'angolo.☺

giovanni.distasi@gmail.com

 

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