Questo splendido autunno non ci priva di mattini limpidi e tiepidi. Uscire sulla mia terrazza e attendere che il sole si levi, incendi il crinale delle colline e accenda di verdi scintille il bosco ancora folto è il sorso quotidiano di armonia che mi aiuta a star bene. Mi manca solo il canto nostalgico d’amore della tortora partita per lidi più accoglienti.
Non è facile il ben-essere nella vecchiaia quando, venendo meno il corpo, si fa fatica a “tenere insieme” le restanti forze e a conservare l’equilibrio. Si riscopre allora che nel profondo dei nostri stati d’animo c’è sempre un bisogno di armonia. È nel malessere che provo alla vista del vuoto aperto nel bosco da un taglio impietoso o quando il nero del Camerun si presenta alla mia porta con il suo fagotto di merci invendute e mi racconta dei suoi bambini da sfamare. È nella quiete raggiunta dopo un lacerante conflitto interiore. È nel senso di beatitudine che mi dà l’ascolto della Sinfonia pastorale di Beethoven.
Nei termini greci “harmo- zein” (connettere), “harmonia” (unione, proporzione) c’è l’idea di accordo fra elementi diversi che messi insieme producono qualcosa di gradevole, infondono uno stato di pace. Rimandano alla radice “ar” (adattare, connettere), che si ritrova anche in “areté” (virtù). “Si chiama virtù quella potenza che produce e conserva il bene” (Aristotele). Per i credenti in Cristo quella potenza elevata a un grado sublime è l’amore. Amore armonia pace, un trittico inscindibile: un sogno? una meta irraggiungibile? Importante è partire.
“È camminando che s’apre il cammino”. Un verso del poeta Machado, che Arturo Paoli ha messo in pratica nel percorso della sua lunga strada (centouno anni il 30 novembre nella sua Lucca), lo sguardo sempre oltre, ad amorizzare il mondo, espressione da lui molto amata (mutuata dallo scienziato e teologo Teilhard de Chardin), che apre a un cristianesimo radicato nella realtà terrena, a una spiritualità che non esclude la materia. Sacerdote, “giusto fra le nazioni” (ha contribuito a salvare centinaia di ebrei durante la seconda guerra mondiale), cappellano sulle navi dei migranti italiani in Argentina, piccolo fratello del Vangelo e, per quarantacinque anni, nell’America latina dove si è dedicato alla causa dei poveri, degli oppressi, dei senza voce. Una storia che ha il suo cuore nei tredici mesi trascorsi nel deserto algerino, sulle orme di Charles de Foucauld. La pazienza del nulla – nome che egli dà all’esperienza del deserto – gli ha fatto capire che “la vita cristiana è morire a te stesso e rinascere per l’altro. Abbandonare la fede astratta verso un Essere invisibile e orientarla verso l’amicizia con Gesù e il suo progetto di pacificare il mondo”… “Gesù non ha parlato di salvezza dell’anima, ha parlato di una esistenza dell’uomo completo il quale deve trovare nella sua realtà terrena la maniera di costruire la persona nuova… Essere sale, lievito, luce, non separando l’anima dalla totale realtà del mondo e di vivere in questo mondo. Quindi tutte le attività, le relazioni fra noi e con la natura devono entrare in una unità e in una armonia”.
Sono parole di fratel Arturo – soltanto un flash – che ho prese dal suo diario intimo, La pazienza del nulla, (Chiarelettere 2012) e da uno dei suoi ultimi articoli comparsi sulla rivista Rocca (Pro civitate christiana, Assisi). Vorrei servissero a dirigere l’attenzione verso una persona di coerente, ardente fede.
Il suo “cristianesimo dinamico esistenziale” penso possa portare ogni credente a una profonda riflessione, specialmente quei credenti che, come me, hanno ricevuto una educazione religiosa di tipo preconciliare, improntata di verità astratte, lontane dal pulsare della vita che si rinnova di giorno in giorno. Amorizzare il mondo vuol dire entrare nel movimento della vita mettendo al centro Gesù, l’Amico, il grande Fratello modello unico, come lo chiamava Charles de Foucauld. È Gesù che ha saputo tradurre in realtà, a costo della vita, il “progetto uomo” condensato negli stupendi versetti di Isaia, che l’evangelista Luca (4, 16-18) gli fa proclamare nella sinagoga di Nazareth.
Vissuto lunghi anni nell’ America latina, in un mondo religioso dove cielo e terra trovano la giusta armonia, Fratel Arturo ne ha assorbito con la cultura il rispetto sacro della terra, la pachamama, cui la vita è legata da un nodo indissolubile. Purtroppo l’uomo, comportandosi da padrone e signore, tradisce il mandato divino di custodia, minaccia e consuma la terra abusando del suo potere tecnoscientifico. Di qui la “cultura della scarto” ripresa con forza da papa Francesco in una sua recente catechesi. Con il suo messaggio di mitezza Fratel Arturo ci convince che è possibile, senza inutili preoccupazioni e paure, tra cui quella dell’aldilà, lasciando solamente libero il cuore, raggiungere l’armonia. ☺
terelaba@alice.it
Questo splendido autunno non ci priva di mattini limpidi e tiepidi. Uscire sulla mia terrazza e attendere che il sole si levi, incendi il crinale delle colline e accenda di verdi scintille il bosco ancora folto è il sorso quotidiano di armonia che mi aiuta a star bene. Mi manca solo il canto nostalgico d’amore della tortora partita per lidi più accoglienti.
Non è facile il ben-essere nella vecchiaia quando, venendo meno il corpo, si fa fatica a “tenere insieme” le restanti forze e a conservare l’equilibrio. Si riscopre allora che nel profondo dei nostri stati d’animo c’è sempre un bisogno di armonia. È nel malessere che provo alla vista del vuoto aperto nel bosco da un taglio impietoso o quando il nero del Camerun si presenta alla mia porta con il suo fagotto di merci invendute e mi racconta dei suoi bambini da sfamare. È nella quiete raggiunta dopo un lacerante conflitto interiore. È nel senso di beatitudine che mi dà l’ascolto della Sinfonia pastorale di Beethoven.
Nei termini greci “harmo- zein” (connettere), “harmonia” (unione, proporzione) c’è l’idea di accordo fra elementi diversi che messi insieme producono qualcosa di gradevole, infondono uno stato di pace. Rimandano alla radice “ar” (adattare, connettere), che si ritrova anche in “areté” (virtù). “Si chiama virtù quella potenza che produce e conserva il bene” (Aristotele). Per i credenti in Cristo quella potenza elevata a un grado sublime è l’amore. Amore armonia pace, un trittico inscindibile: un sogno? una meta irraggiungibile? Importante è partire.
“È camminando che s’apre il cammino”. Un verso del poeta Machado, che Arturo Paoli ha messo in pratica nel percorso della sua lunga strada (centouno anni il 30 novembre nella sua Lucca), lo sguardo sempre oltre, ad amorizzare il mondo, espressione da lui molto amata (mutuata dallo scienziato e teologo Teilhard de Chardin), che apre a un cristianesimo radicato nella realtà terrena, a una spiritualità che non esclude la materia. Sacerdote, “giusto fra le nazioni” (ha contribuito a salvare centinaia di ebrei durante la seconda guerra mondiale), cappellano sulle navi dei migranti italiani in Argentina, piccolo fratello del Vangelo e, per quarantacinque anni, nell’America latina dove si è dedicato alla causa dei poveri, degli oppressi, dei senza voce. Una storia che ha il suo cuore nei tredici mesi trascorsi nel deserto algerino, sulle orme di Charles de Foucauld. La pazienza del nulla – nome che egli dà all’esperienza del deserto – gli ha fatto capire che “la vita cristiana è morire a te stesso e rinascere per l’altro. Abbandonare la fede astratta verso un Essere invisibile e orientarla verso l’amicizia con Gesù e il suo progetto di pacificare il mondo”… “Gesù non ha parlato di salvezza dell’anima, ha parlato di una esistenza dell’uomo completo il quale deve trovare nella sua realtà terrena la maniera di costruire la persona nuova… Essere sale, lievito, luce, non separando l’anima dalla totale realtà del mondo e di vivere in questo mondo. Quindi tutte le attività, le relazioni fra noi e con la natura devono entrare in una unità e in una armonia”.
Sono parole di fratel Arturo – soltanto un flash – che ho prese dal suo diario intimo, La pazienza del nulla, (Chiarelettere 2012) e da uno dei suoi ultimi articoli comparsi sulla rivista Rocca (Pro civitate christiana, Assisi). Vorrei servissero a dirigere l’attenzione verso una persona di coerente, ardente fede.
Il suo “cristianesimo dinamico esistenziale” penso possa portare ogni credente a una profonda riflessione, specialmente quei credenti che, come me, hanno ricevuto una educazione religiosa di tipo preconciliare, improntata di verità astratte, lontane dal pulsare della vita che si rinnova di giorno in giorno. Amorizzare il mondo vuol dire entrare nel movimento della vita mettendo al centro Gesù, l’Amico, il grande Fratello modello unico, come lo chiamava Charles de Foucauld. È Gesù che ha saputo tradurre in realtà, a costo della vita, il “progetto uomo” condensato negli stupendi versetti di Isaia, che l’evangelista Luca (4, 16-18) gli fa proclamare nella sinagoga di Nazareth.
Vissuto lunghi anni nell’ America latina, in un mondo religioso dove cielo e terra trovano la giusta armonia, Fratel Arturo ne ha assorbito con la cultura il rispetto sacro della terra, la pachamama, cui la vita è legata da un nodo indissolubile. Purtroppo l’uomo, comportandosi da padrone e signore, tradisce il mandato divino di custodia, minaccia e consuma la terra abusando del suo potere tecnoscientifico. Di qui la “cultura della scarto” ripresa con forza da papa Francesco in una sua recente catechesi. Con il suo messaggio di mitezza Fratel Arturo ci convince che è possibile, senza inutili preoccupazioni e paure, tra cui quella dell’aldilà, lasciando solamente libero il cuore, raggiungere l’armonia. ☺
terelaba@alice.it
Questo splendido autunno non ci priva di mattini limpidi e tiepidi. Uscire sulla mia terrazza e attendere che il sole si levi, incendi il crinale delle colline e accenda di verdi scintille il bosco ancora folto è il sorso quotidiano di armonia che mi aiuta a star bene. Mi manca solo il canto nostalgico d’amore della tortora partita per lidi più accoglienti.
Non è facile il ben-essere nella vecchiaia quando, venendo meno il corpo, si fa fatica a “tenere insieme” le restanti forze e a conservare l’equilibrio. Si riscopre allora che nel profondo dei nostri stati d’animo c’è sempre un bisogno di armonia. È nel malessere che provo alla vista del vuoto aperto nel bosco da un taglio impietoso o quando il nero del Camerun si presenta alla mia porta con il suo fagotto di merci invendute e mi racconta dei suoi bambini da sfamare. È nella quiete raggiunta dopo un lacerante conflitto interiore. È nel senso di beatitudine che mi dà l’ascolto della Sinfonia pastorale di Beethoven.
Nei termini greci “harmo- zein” (connettere), “harmonia” (unione, proporzione) c’è l’idea di accordo fra elementi diversi che messi insieme producono qualcosa di gradevole, infondono uno stato di pace. Rimandano alla radice “ar” (adattare, connettere), che si ritrova anche in “areté” (virtù). “Si chiama virtù quella potenza che produce e conserva il bene” (Aristotele). Per i credenti in Cristo quella potenza elevata a un grado sublime è l’amore. Amore armonia pace, un trittico inscindibile: un sogno? una meta irraggiungibile? Importante è partire.
“È camminando che s’apre il cammino”. Un verso del poeta Machado, che Arturo Paoli ha messo in pratica nel percorso della sua lunga strada (centouno anni il 30 novembre nella sua Lucca), lo sguardo sempre oltre, ad amorizzare il mondo, espressione da lui molto amata (mutuata dallo scienziato e teologo Teilhard de Chardin), che apre a un cristianesimo radicato nella realtà terrena, a una spiritualità che non esclude la materia. Sacerdote, “giusto fra le nazioni” (ha contribuito a salvare centinaia di ebrei durante la seconda guerra mondiale), cappellano sulle navi dei migranti italiani in Argentina, piccolo fratello del Vangelo e, per quarantacinque anni, nell’America latina dove si è dedicato alla causa dei poveri, degli oppressi, dei senza voce. Una storia che ha il suo cuore nei tredici mesi trascorsi nel deserto algerino, sulle orme di Charles de Foucauld. La pazienza del nulla – nome che egli dà all’esperienza del deserto – gli ha fatto capire che “la vita cristiana è morire a te stesso e rinascere per l’altro. Abbandonare la fede astratta verso un Essere invisibile e orientarla verso l’amicizia con Gesù e il suo progetto di pacificare il mondo”… “Gesù non ha parlato di salvezza dell’anima, ha parlato di una esistenza dell’uomo completo il quale deve trovare nella sua realtà terrena la maniera di costruire la persona nuova… Essere sale, lievito, luce, non separando l’anima dalla totale realtà del mondo e di vivere in questo mondo. Quindi tutte le attività, le relazioni fra noi e con la natura devono entrare in una unità e in una armonia”.
Sono parole di fratel Arturo – soltanto un flash – che ho prese dal suo diario intimo, La pazienza del nulla, (Chiarelettere 2012) e da uno dei suoi ultimi articoli comparsi sulla rivista Rocca (Pro civitate christiana, Assisi). Vorrei servissero a dirigere l’attenzione verso una persona di coerente, ardente fede.
Il suo “cristianesimo dinamico esistenziale” penso possa portare ogni credente a una profonda riflessione, specialmente quei credenti che, come me, hanno ricevuto una educazione religiosa di tipo preconciliare, improntata di verità astratte, lontane dal pulsare della vita che si rinnova di giorno in giorno. Amorizzare il mondo vuol dire entrare nel movimento della vita mettendo al centro Gesù, l’Amico, il grande Fratello modello unico, come lo chiamava Charles de Foucauld. È Gesù che ha saputo tradurre in realtà, a costo della vita, il “progetto uomo” condensato negli stupendi versetti di Isaia, che l’evangelista Luca (4, 16-18) gli fa proclamare nella sinagoga di Nazareth.
Vissuto lunghi anni nell’ America latina, in un mondo religioso dove cielo e terra trovano la giusta armonia, Fratel Arturo ne ha assorbito con la cultura il rispetto sacro della terra, la pachamama, cui la vita è legata da un nodo indissolubile. Purtroppo l’uomo, comportandosi da padrone e signore, tradisce il mandato divino di custodia, minaccia e consuma la terra abusando del suo potere tecnoscientifico. Di qui la “cultura della scarto” ripresa con forza da papa Francesco in una sua recente catechesi. Con il suo messaggio di mitezza Fratel Arturo ci convince che è possibile, senza inutili preoccupazioni e paure, tra cui quella dell’aldilà, lasciando solamente libero il cuore, raggiungere l’armonia. ☺
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