Qualcosa si muove. Forse.
1 Marzo 2014 Share

Qualcosa si muove. Forse.

L’ultimo quinquennio è stato un incubo per la maggior parte dei molisani. La fragile economia regionale ha visto allentare quella rete di sostegni nazionali che in passato le era venuta in soccorso e l’Europa stessa ha anteposto la funzione di custode del rigore alla sua missione di promotrice della solidarietà e dell’inclusione. Le difficoltà in cui si sono ritrovate le famiglie e le imprese hanno spesso assunto la forma e la sostanza della tragedia, anche per l’assoluta impossibilità di intravvedere una via d’uscita.

Oggi permangono intatti tutti i problemi che vengono dal passato e tutte le ragioni che quei problemi hanno causato e, tuttavia, qualcosa comincia a muoversi. È stato appena annunciato il risultato delle primarie indette per l’elezione del nuovo segretario regionale del partito democratico. Alla guida del partito che esprime la presidenza della Regione Molise ci sarà una donna, con un profilo politico e una buona conoscenza tecnica delle dinamiche da attivare per promuovere uno sviluppo sostenibile. Ci sono buone possibilità di ristabilire, a livello regionale, quella dialettica democratica che un esercizio dirigistico del potere aveva azzerato, ma non è detto che le cose vadano così. Il risultato finale dipende anche da noi, dall’esercizio collettivo di una cittadinanza attiva e responsabile.

Nel contempo il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha affidato a Matteo Renzi l’incarico di formare un nuovo governo. I dubbi sulla correttezza delle procedure formali e sostanziali che hanno accompagnato il passaggio delle consegne da Letta a Renzi sono molteplici, ma sarebbe un errore negare che le parole dette da Renzi, e per il momento possiamo giudicare solo le parole, siano di qualche interesse. Le riforme della legge elettorale e delle istituzioni, del lavoro, del fisco e della pubblica amministrazione da realizzare in tempi assai ristretti fanno parte di un elenco di urgenze troppo a lungo ignorate dalla politica. Si tratta ora di capire se quei tempi ristretti saranno rispettati e, sopratutto, se la qualità di quelle riforme sarà utile al rafforzamento della democrazia, della coesione  sociale e dello sviluppo economico.

Di fatto, dopo una lunga lista di seguaci di Quinto Fabio Massimo, è arrivato il turno di qualcuno che sembra aver capito che non c’è più tempo da perdere e che, per cambiare le cose, non basta la pur legittima protesta. Di conseguenza sembra che si possa avere qualche motivo di speranza in più per il futuro del nostro paese. E, tuttavia, per poter davvero cambiare il corso delle cose serve un profondo cambiamento politico-istituzionale. Il motore di questo cambiamento potrebbe essere la creazione di grandi partiti europei, organizzati su base continentale e capaci di elaborare strategie di sostegno all’evoluzione delle istituzioni europee in senso federale, superando gli egoismi nazionali. Su quest’ultimo tema non ci sono novità e il PSE e il PPE come l’ALDE, continuano ad essere delle finzioni con programmi assai simili tra di loro. Per questo il panorama politico europeo si è plasmato su un modello bipolare che vede, da una parte, i gruppi politici tradizionali eurosoddisfatti e, dall’altra, gli euroscettici che spesso sono anche pericolosamente antieuro.

In questo  paludoso sce- nario ho registrato con interesse l’irruzione sulla scena europea del leader greco di Syriza, Alexis Tsipras e l’appello fatto da un gruppo di intellettuali italiani guidati da Barbara Spinelli, in cui si legge tra l’altro: “facciamo nostre le proposte di Alexis Tsipras, leader del partito unitario greco Syriza, e nelle elezioni europee del 25 maggio lo indichiamo come nostro candidato alla presidenza della Commissione Europea. Tsipras ha detto che l’Europa, se vuol sopravvivere, deve cambiare fondamentalmente. Deve darsi i mezzi finanziari per un piano Marshall dell’Unione, che crei posti di lavoro con comuni piani di investimento e colmi il divario tra l’Europa che ce la fa e l’Europa che non ce la fa, offrendo sostegno a quest’ultima. Deve divenire unione politica, dunque darsi una nuova Costituzione: scritta non più dai governi ma dal suo Parlamento, dopo un’ampia consultazione di tutte le organizzazioni associative e di base presenti nei paesi europei. Al centro di tutto, deve mettere il superamento della disuguaglianza, lo stato di diritto. La Banca centrale europea dovrà avere poteri simili a quelli esercitati dalla Banca d’Inghilterra o dalla FED, garantendo non solo prezzi stabili ma lo sviluppo del reddito e dell’occupazione, la salvaguardia dell’ambiente, della cultura, delle autonomie locali e dei servizi sociali, e divenendo prestatrice di ultima istanza in tempi di recessione. Non dimentichiamo che la Comunità nacque per debellare le dittature e la povertà. Le due cose andavano insieme allora, e di nuovo oggi”.

Avrei voluto che queste proposte fossero state avanzate da Martin Schultz, candidato socialdemocratico alla presidenza della Commissione Europea, e spero ancora che egli si sforzi di condividerle rendendole compatibili con l’ineludibile esigenza di tenere in equilibrio i conti pubblici, ma non posso ignorare una bella novità solo perché viene dall’esterno. ☺

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