I patti e le persone
3 Maggio 2014 Share

I patti e le persone

Pacta sunt servanda. L’antica norma del diritto romano ha da secoli ammonito tutti circa il rispetto dei contratti che vengono sottoscritti, sanzionando e tacciando di illegalità chiunque non avesse prestato fede agli accordi. Fiscal compact, l’espressione spesso citata anche in Italia e su cui mi soffermo, è un “patto” che alcuni paesi dell’Unione Europea hanno stipulato e quindi si sono impegnati a rispettare. Di cosa si tratta? Il fiscal compact – in italiano “patto finanziario” – è un trattato internazionale, in vigore dall’inizio del 2013, che impone ai paesi dell’Unione che lo hanno sottoscritto alcune regole da seguire, rigidamente, per mantenere i conti pubblici ad un livello di deficit accettabile che non superi il 3% del prodotto interno lordo. Se non si rispettano tali regole, le nazioni potrebbero incorrere in sanzioni o multe certamente non indolori per le economie degli stati inadempienti.

L’accordo, che è sorto con l’ obiettivo di coordinare le politiche economiche degli stati dell’Unione, stabilisce anche che le nazioni si impegnino a controllare che i propri bilanci siano in equilibrio; di conseguenza si è reso necessario tradurre questa regola in legge costituzionale cui attenersi strettamente.

Il premio Nobel per l’economia Amartya Sen faceva notare, già qualche anno addietro, che l’aspetto forse più inquietante dell’attuale malessere europeo è il fatto che l’impegno democratico è soppiantato dai diktat finanziari imposti non solo dai leader dell’UE e dalla Banca Centrale Europea, ma indirettamente anche dalle agenzie che controllano i movimenti finanziari – le cosiddette agenzie di rating – le quali spesso non risultano attendibili.

Diversi economisti sono del parere che le conseguenze del “patto” non stiano andando in direzione positiva, provocando soltanto un sensibile indebolimento delle già precarie finanze degli stati meno forti. Si può parlare di regno della finanza che domina incontrastata e che ha modificato profondamente la struttura economica delle nazioni. Ormai il cuore di tutto il sistema mondiale è diventato il denaro che produce denaro; la finanza non corrisponde più all’economia reale. La regola che impone il controllo sul debito pubblico prevede come necessaria conseguenza la predisposizione di manovre finanziarie che alcuni stati – non esclusa l’ Italia – dovranno effettuare e che si ripercuoteranno inevitabilmente sulla popolazione, con il rischio di deprimere ancor  più economie già impoverite.

Possiamo limitarci esclusivamente ad accordi finanziari per mantenere in piedi una istituzione, l’Europa, che sempre più sembra allontanarsi dalle persone, dai popoli? Quali patti potranno ridare vita all’ entusiasmo e alla creatività dei cittadini, al loro desiderio di partecipare e di prendere decisioni nell’interesse generale? Europa di bilanci, percentuali, tassi d’interesse oppure continente di persone, storie, accoglienza? Abbiamo bisogno di uno sguardo sul mondo che ponga domande urgenti e vitali, che chieda rispetto per la dignità di uomini e donne, che si preoccupi di un futuro che attende milioni di giovani ai quali le risposte non possono essere negate.

Mi trovavo a Roma – qualche settimana fa – nella sede italiana di rappresentanza dell’Unione Europea; ero con altri insegnanti ad un seminario sul nuovo programma “Europa 2020”; oggetto di riflessione era ciò che l’Europa sta tentando di fare per i giovani: definizione delle competenze chiave di cittadinanza, possibilità di scambi culturali di formazione e tirocinio, accompagnamento all’ inserimento nel mondo del lavoro (la cosiddetta “Garanzia Giovani”). Un  funzionario ci parlava, con entusiasmo e voglia di creare empatia, di educazione civica europea, spiegandoci che è ormai imprescindibile, oltre che obbligatorio (!), riservare spazio e tempo nella scuola italiana a questa “nuova” disciplina.

È necessario passare dalle parole ai fatti: rispetto consapevole degli accordi ma anche traduzione delle semplici buone intenzioni in “buone pratiche”. ☺

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