Lettera aperta ai divorziati risposati per un cammino di chiesa
Si può vivere anche senza denaro (e i governi che si succedono fanno di tutto per farcelo sperimentare), ma non senza amore. È l’amore che dà senso alla vita, che consente una vera e piena realizzazione: “Se qualcuno provasse a comprare l’amore con le sue ricchezze – dice il Cantico dei cantici – otterrebbe solo disprezzo”, ne sanno qualcosa Berlusconi e quelli come lui! Un amore è per sempre, non può essere progettato a tempo o con data di scadenza, come un qualsiasi prodotto commestibile. Ne eri certo ieri quando decidesti di impegnare la tua esistenza in quello che credevi l’amore della tua vita, ne sei altrettanto convinto oggi che, dopo un periodo burrascoso e tutt’altro che indolore, stai intessendo un progetto comune con un’altra persona.
In questa gioiosa fatica a rifarti una vita, è così che volgarmente si dice, trovi incomprensibile, come credente, e non posso darti torto, l’esclusione per tutta la vita dai sacramenti che la chiesa ha decretato nei tuoi confronti. Per tutti c’è possibilità di perdono, anche per quelli che commettono i delitti più efferati, fuorché per quanti come te che hanno messo su una nuova famiglia. La domanda vera, come diceva con grande intuito il card. Martini, non è se i divorziati risposati possono fare la comunione, ma in che modo la chiesa può arrivare in loro aiuto con la forza dei sacramenti. La strada forse è ancora lunga, ma una nuova consapevolezza sta nascendo e noi, come tutti i pionieri, senza demordere e lasciare le cose come stanno, dobbiamo dare il nostro apporto perché diventi patrimonio collettivo ciò che oggi si è ancora in pochi ad anelare: una comunione piena nella chiesa, seppure dopo un serio cammino penitenziale a cui sottoporsi, come era prassi nelle comunità degli inizi della cristianità (G. Cereti, Divorzio, nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva, EDB).
Non hai voluto far ricorso al tribunale ecclesiastico per dimostrare “l’inesistenza del vincolo”, cioè che il contratto matrimoniale era viziato alla radice e quindi inesistente, perché vuoi giustamente che possa essere costatata “la morte del vincolo”, cioè che l’unione ha esaurito tutte le potenziali e rimanere ancora insieme sarebbe un inutile e dannoso accanimento terapeutico. Pur di salvaguardare l’indissolubilità del matrimonio si estendono sempre di più i capi di nullità, mostrando così unicamente la non volontà di prendere in seria considerazione la possibilità che una relazione possa concludersi definitivamente e irreparabilmente. Il teorema è: se la coppia esiste vuol dire che è sana, se è malata significa che non è mai esistita. Perché non prendere atto che una relazione possa ammalarsi con il trascorrere degli anni e anche morire? (A. Grillo, Indissolubile? Contributo al dibattito sui divorziati risposati, Cittadella). Il giuridismo ha ingabbiato la chiesa, tarpando le ali proprio a quella libertà per la quale è nata e della quale doveva essere messaggera profetica nella storia. È finita prigioniera del proprio operato, come l’artigiano protagonista de La giara di Pirandello. Si ha timore di prendere in considerazione la possibilità che l’amore finisca perché, dopo aver contribuito a strutturare la società sulla famiglia, si teme che tolto questo pilastro venga giù tutto l’impianto. A parte il fatto che è possibile ipotizzare società costruite su altri valori, ma dove sta scritto che dobbiamo esserne noi gli strenui difensori per giunta in compagnia di tutti quegli esponenti politici che da fedifraghi hanno innalzato la famiglia a valore non negoziabile, solo per gli altri naturalmente?
Cristo nel vangelo pone ideali di vita o norme comportamentali? È interessato a colpevolizzare o a far volare alto? Possibile che la chiesa censuri il suo fondatore che non è venuto per i sani (o più correttamente: che si spacciano per sani!), ma per i malati, impedendo proprio a questi di incontrarlo nei sacramenti per tutta la vita? È vero che il vangelo riporta parole molto ferme, ma perché qui ci si ferma in modo intransigente alla lettera del testo e quando parla con ancor maggiore rigore contro la ricchezza quelle parole vengono depotenziate con penosi arzigogoli? Non sarà che una chiesa celibataria e sessuofobica ha costruito una morale su misura di una gerarchia più intenta a fare cassa che vivere l’amore?
Spero vivamente e profondamente insieme con te che l’imminente sinodo dei vescovi, convocato per riflettere sulla famiglia, sappia farsi carico di dare risposte adeguate alle crisi che investono la vita familiare. Non è mia intenzione abbassare l’asticella della responsabilità e della presa in carico, banalizzare il matrimonio, pensare che si possa cambiare partner come si cambia una maglietta. So bene di lacerazioni, frustrazioni, sopraffazioni, affidamento ed educazione di figli, ecc. ma non è tollerabile oltre che qualcuno venga tenuto ai margini della comunità vita natural durante. E proprio perché ritengo che solo l’amore può dare senso pieno alla vita e restituire serenità, desidero che venga data una seconda opportunità, che ognuno possa essere messo in condizione di vivere in pienezza, senza sensi di colpa, additato magari ancora come “un pubblico peccatore” (come accadeva in tempi non lontani!). Siamo chiamati a rendere ragione della speranza che è in noi e possiamo farlo solo se scommettiamo sull’amore. A oltranza.☺
Lettera aperta ai divorziati risposati per un cammino di chiesa
Si può vivere anche senza denaro (e i governi che si succedono fanno di tutto per farcelo sperimentare), ma non senza amore. È l’amore che dà senso alla vita, che consente una vera e piena realizzazione: “Se qualcuno provasse a comprare l’amore con le sue ricchezze – dice il Cantico dei cantici – otterrebbe solo disprezzo”, ne sanno qualcosa Berlusconi e quelli come lui! Un amore è per sempre, non può essere progettato a tempo o con data di scadenza, come un qualsiasi prodotto commestibile. Ne eri certo ieri quando decidesti di impegnare la tua esistenza in quello che credevi l’amore della tua vita, ne sei altrettanto convinto oggi che, dopo un periodo burrascoso e tutt’altro che indolore, stai intessendo un progetto comune con un’altra persona.
In questa gioiosa fatica a rifarti una vita, è così che volgarmente si dice, trovi incomprensibile, come credente, e non posso darti torto, l’esclusione per tutta la vita dai sacramenti che la chiesa ha decretato nei tuoi confronti. Per tutti c’è possibilità di perdono, anche per quelli che commettono i delitti più efferati, fuorché per quanti come te che hanno messo su una nuova famiglia. La domanda vera, come diceva con grande intuito il card. Martini, non è se i divorziati risposati possono fare la comunione, ma in che modo la chiesa può arrivare in loro aiuto con la forza dei sacramenti. La strada forse è ancora lunga, ma una nuova consapevolezza sta nascendo e noi, come tutti i pionieri, senza demordere e lasciare le cose come stanno, dobbiamo dare il nostro apporto perché diventi patrimonio collettivo ciò che oggi si è ancora in pochi ad anelare: una comunione piena nella chiesa, seppure dopo un serio cammino penitenziale a cui sottoporsi, come era prassi nelle comunità degli inizi della cristianità (G. Cereti, Divorzio, nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva, EDB).
Non hai voluto far ricorso al tribunale ecclesiastico per dimostrare “l’inesistenza del vincolo”, cioè che il contratto matrimoniale era viziato alla radice e quindi inesistente, perché vuoi giustamente che possa essere costatata “la morte del vincolo”, cioè che l’unione ha esaurito tutte le potenziali e rimanere ancora insieme sarebbe un inutile e dannoso accanimento terapeutico. Pur di salvaguardare l’indissolubilità del matrimonio si estendono sempre di più i capi di nullità, mostrando così unicamente la non volontà di prendere in seria considerazione la possibilità che una relazione possa concludersi definitivamente e irreparabilmente. Il teorema è: se la coppia esiste vuol dire che è sana, se è malata significa che non è mai esistita. Perché non prendere atto che una relazione possa ammalarsi con il trascorrere degli anni e anche morire? (A. Grillo, Indissolubile? Contributo al dibattito sui divorziati risposati, Cittadella). Il giuridismo ha ingabbiato la chiesa, tarpando le ali proprio a quella libertà per la quale è nata e della quale doveva essere messaggera profetica nella storia. È finita prigioniera del proprio operato, come l’artigiano protagonista de La giara di Pirandello. Si ha timore di prendere in considerazione la possibilità che l’amore finisca perché, dopo aver contribuito a strutturare la società sulla famiglia, si teme che tolto questo pilastro venga giù tutto l’impianto. A parte il fatto che è possibile ipotizzare società costruite su altri valori, ma dove sta scritto che dobbiamo esserne noi gli strenui difensori per giunta in compagnia di tutti quegli esponenti politici che da fedifraghi hanno innalzato la famiglia a valore non negoziabile, solo per gli altri naturalmente?
Cristo nel vangelo pone ideali di vita o norme comportamentali? È interessato a colpevolizzare o a far volare alto? Possibile che la chiesa censuri il suo fondatore che non è venuto per i sani (o più correttamente: che si spacciano per sani!), ma per i malati, impedendo proprio a questi di incontrarlo nei sacramenti per tutta la vita? È vero che il vangelo riporta parole molto ferme, ma perché qui ci si ferma in modo intransigente alla lettera del testo e quando parla con ancor maggiore rigore contro la ricchezza quelle parole vengono depotenziate con penosi arzigogoli? Non sarà che una chiesa celibataria e sessuofobica ha costruito una morale su misura di una gerarchia più intenta a fare cassa che vivere l’amore?
Spero vivamente e profondamente insieme con te che l’imminente sinodo dei vescovi, convocato per riflettere sulla famiglia, sappia farsi carico di dare risposte adeguate alle crisi che investono la vita familiare. Non è mia intenzione abbassare l’asticella della responsabilità e della presa in carico, banalizzare il matrimonio, pensare che si possa cambiare partner come si cambia una maglietta. So bene di lacerazioni, frustrazioni, sopraffazioni, affidamento ed educazione di figli, ecc. ma non è tollerabile oltre che qualcuno venga tenuto ai margini della comunità vita natural durante. E proprio perché ritengo che solo l’amore può dare senso pieno alla vita e restituire serenità, desidero che venga data una seconda opportunità, che ognuno possa essere messo in condizione di vivere in pienezza, senza sensi di colpa, additato magari ancora come “un pubblico peccatore” (come accadeva in tempi non lontani!). Siamo chiamati a rendere ragione della speranza che è in noi e possiamo farlo solo se scommettiamo sull’amore. A oltranza.☺
Lettera aperta ai divorziati risposati per un cammino di chiesa
Lettera aperta ai divorziati risposati per un cammino di chiesa
Si può vivere anche senza denaro (e i governi che si succedono fanno di tutto per farcelo sperimentare), ma non senza amore. È l’amore che dà senso alla vita, che consente una vera e piena realizzazione: “Se qualcuno provasse a comprare l’amore con le sue ricchezze – dice il Cantico dei cantici – otterrebbe solo disprezzo”, ne sanno qualcosa Berlusconi e quelli come lui! Un amore è per sempre, non può essere progettato a tempo o con data di scadenza, come un qualsiasi prodotto commestibile. Ne eri certo ieri quando decidesti di impegnare la tua esistenza in quello che credevi l’amore della tua vita, ne sei altrettanto convinto oggi che, dopo un periodo burrascoso e tutt’altro che indolore, stai intessendo un progetto comune con un’altra persona.
In questa gioiosa fatica a rifarti una vita, è così che volgarmente si dice, trovi incomprensibile, come credente, e non posso darti torto, l’esclusione per tutta la vita dai sacramenti che la chiesa ha decretato nei tuoi confronti. Per tutti c’è possibilità di perdono, anche per quelli che commettono i delitti più efferati, fuorché per quanti come te che hanno messo su una nuova famiglia. La domanda vera, come diceva con grande intuito il card. Martini, non è se i divorziati risposati possono fare la comunione, ma in che modo la chiesa può arrivare in loro aiuto con la forza dei sacramenti. La strada forse è ancora lunga, ma una nuova consapevolezza sta nascendo e noi, come tutti i pionieri, senza demordere e lasciare le cose come stanno, dobbiamo dare il nostro apporto perché diventi patrimonio collettivo ciò che oggi si è ancora in pochi ad anelare: una comunione piena nella chiesa, seppure dopo un serio cammino penitenziale a cui sottoporsi, come era prassi nelle comunità degli inizi della cristianità (G. Cereti, Divorzio, nuove nozze e penitenza nella chiesa primitiva, EDB).
Non hai voluto far ricorso al tribunale ecclesiastico per dimostrare “l’inesistenza del vincolo”, cioè che il contratto matrimoniale era viziato alla radice e quindi inesistente, perché vuoi giustamente che possa essere costatata “la morte del vincolo”, cioè che l’unione ha esaurito tutte le potenziali e rimanere ancora insieme sarebbe un inutile e dannoso accanimento terapeutico. Pur di salvaguardare l’indissolubilità del matrimonio si estendono sempre di più i capi di nullità, mostrando così unicamente la non volontà di prendere in seria considerazione la possibilità che una relazione possa concludersi definitivamente e irreparabilmente. Il teorema è: se la coppia esiste vuol dire che è sana, se è malata significa che non è mai esistita. Perché non prendere atto che una relazione possa ammalarsi con il trascorrere degli anni e anche morire? (A. Grillo, Indissolubile? Contributo al dibattito sui divorziati risposati, Cittadella). Il giuridismo ha ingabbiato la chiesa, tarpando le ali proprio a quella libertà per la quale è nata e della quale doveva essere messaggera profetica nella storia. È finita prigioniera del proprio operato, come l’artigiano protagonista de La giara di Pirandello. Si ha timore di prendere in considerazione la possibilità che l’amore finisca perché, dopo aver contribuito a strutturare la società sulla famiglia, si teme che tolto questo pilastro venga giù tutto l’impianto. A parte il fatto che è possibile ipotizzare società costruite su altri valori, ma dove sta scritto che dobbiamo esserne noi gli strenui difensori per giunta in compagnia di tutti quegli esponenti politici che da fedifraghi hanno innalzato la famiglia a valore non negoziabile, solo per gli altri naturalmente?
Cristo nel vangelo pone ideali di vita o norme comportamentali? È interessato a colpevolizzare o a far volare alto? Possibile che la chiesa censuri il suo fondatore che non è venuto per i sani (o più correttamente: che si spacciano per sani!), ma per i malati, impedendo proprio a questi di incontrarlo nei sacramenti per tutta la vita? È vero che il vangelo riporta parole molto ferme, ma perché qui ci si ferma in modo intransigente alla lettera del testo e quando parla con ancor maggiore rigore contro la ricchezza quelle parole vengono depotenziate con penosi arzigogoli? Non sarà che una chiesa celibataria e sessuofobica ha costruito una morale su misura di una gerarchia più intenta a fare cassa che vivere l’amore?
Spero vivamente e profondamente insieme con te che l’imminente sinodo dei vescovi, convocato per riflettere sulla famiglia, sappia farsi carico di dare risposte adeguate alle crisi che investono la vita familiare. Non è mia intenzione abbassare l’asticella della responsabilità e della presa in carico, banalizzare il matrimonio, pensare che si possa cambiare partner come si cambia una maglietta. So bene di lacerazioni, frustrazioni, sopraffazioni, affidamento ed educazione di figli, ecc. ma non è tollerabile oltre che qualcuno venga tenuto ai margini della comunità vita natural durante. E proprio perché ritengo che solo l’amore può dare senso pieno alla vita e restituire serenità, desidero che venga data una seconda opportunità, che ognuno possa essere messo in condizione di vivere in pienezza, senza sensi di colpa, additato magari ancora come “un pubblico peccatore” (come accadeva in tempi non lontani!). Siamo chiamati a rendere ragione della speranza che è in noi e possiamo farlo solo se scommettiamo sull’amore. A oltranza.☺
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