Nulla di nuovo in Molise per la ricostruzione post sisma. Oltre a qualche spicciolo per saldare antiche pendenze e al tentativo imprudente del Consigliere Ciocca di imbastire percorsi improbabili nella speranza di convincere gli imprenditori del mattone ad anticipare milioni di euro, nessuna strategia si intravede all’orizzonte per far ripartire i lavori fermi da troppo tempo. Le uniche soluzioni possibili per continuare a ricostruire gli immobili danneggiati dal sisma restano l’autofinanziamento, condizionato alla riduzione del debito regionale e la deroga alle norme che regolano il patto di stabilità, eventualmente autorizzata con legge del Parlamento. È forse il caso di ricordare che il presidente Frattura, all’ inizio di questa legislatura, si è impegnato a risolvere i problemi legati alla sostenibilità finanziaria della ricostruzione anche a costo di sforare i tetti imposti dal patto di stabilità. Col passare del tempo è diventato più saggio e di terremoto non ne ha parlato più. La delegazione parlamentare, tutta di maggioranza, impegnata a difendersi da Renzi, evita di frequentare i luoghi del terremoto in particolare e quelli della politica in generale. Il fallimento della gestione post terremoto è così evidente che nessuno si azzarda a parlarne dopo le numerose figuracce rimediate sul tema da quasi tutti i parlamentari indigeni. Il completamento della ricostruzione non figura più nell’ agenda politica come se tutti i problemi legati alla ricostruzione fossero già risolti.
Anche quest’anno i consiglieri regionali celebreranno la giornata della memoria per ricordare le vittime del terremoto, questa volta lo faranno con l’ impegno tacito di non prendere impegni. I sindaci del cratere non fanno neanche più finta di riconsegnare la fascia tricolore al Prefetto, una moina che recitavano almeno una volta all’anno e la stampa molisana, sempre pronta a difendere le imprese di Iorio, sul tema ricostruzione non emette neanche un cinguettio: meglio stare zitti che fare autocritica. Intanto se ai ragazzi nati nei villaggi “provvisori” – le casette di legno costruite dopo il terremoto – chiedi di associare l’idea tragica del terremoto a una immagine reale, ti parlano della loro casa, non di quella scossa dal sisma e mai ricostruita, ma della baracca dove ancora oggi abitano. Per gli anziani che all’epoca dei fatti avevano oltre sessanta anni, trascorsi quasi sempre a grattare la terra per sopravvivere, quelli che scelsero una vita fatta di stenti pur di non andar via dal loro paese, dalla casa dove sono nati, dagli amici con i quali sono cresciuti, il dramma diventa più complesso da comprendere e quasi impossibile da raccontare. Se la violenza con la quale la natura si è abbattuta su di loro è risultata incomprensibile, quella perpetrata dagli uomini è ingiustificabile: quei vecchi avrebbero avuto bisogno di certezze, dopo la deportazione nei villaggi della speranza; di tempo, per vivere serenamente il loro tramonto: una categoria che in questa tragedia è diventata variabile indipendente ai fini del risultato.
Per ognuno di noi i primi dodici anni di vita hanno rappresentato il tempo della spensieratezza e del sogno, senza i quali non si diventa mai grande, gli ultimi quello sereno della saggezza e della pace vissuta. Proviamo ad immaginare un uomo al quale è stato impedito di vivere il tempo straordinario del sogno e quello sereno della pace e avremo l’esatta misura della violenza perpetrata da chi in questi anni si è occupato di lui. Non fu solo il passato ad essergli sottratto ma anche il futuro. Infatti, oltre alla nuova scuola antisismica di San Giuliano di Puglia, nulla è stato fatto affinché la tragedia non si ripetesse. Forse sarebbe il caso di dire, ad alta voce, che la scuola Jovine, crollata in occasione del sisma, è solo uno degli esempi negativi e forse neanche il peggiore. In molte scuole del nostro paese, anche dopo i fatti di San Giuliano, sono accaduti incidenti rilevanti che hanno messo in luce l’enorme fragilità degli edifici costruiti con tecniche simili a quelle con cui si è edificata la scuola crollata a San Giuliano e che fortunatamente non hanno prodotto danni alle persone solo perché non c’era nessuno. Così come è accaduto nelle periferie dell’Aquila, dove il progetto C.A.S.E., quelle abitazioni antitutto costate il doppio delle case vere, fortemente voluto dal martire di Arcore, dopo solo quattro anni dalla realizzazione perde pezzi, anzi interi balconi.
Anche il sogno di realizzare un paese normale dove i molisani potessero riuscire a vivere dignitosamente è svanito. Quello che doveva diventare un modello da esportare in altri luoghi e per altre emergenze si è rivelato essere un grande affare per pochi, in molti casi maneggioni abituati a fare impresa con soldi pubblici e quasi sempre amici del manovratore. Centinaia di milioni di euro sono stati distribuiti ai molisani per la crescita e lo sviluppo dell’area colpita dalle calamità del 2002/03, quasi nessuno di questi è servito alla creazione di un solo posto di lavoro.☺
Nulla di nuovo in Molise per la ricostruzione post sisma. Oltre a qualche spicciolo per saldare antiche pendenze e al tentativo imprudente del Consigliere Ciocca di imbastire percorsi improbabili nella speranza di convincere gli imprenditori del mattone ad anticipare milioni di euro, nessuna strategia si intravede all’orizzonte per far ripartire i lavori fermi da troppo tempo. Le uniche soluzioni possibili per continuare a ricostruire gli immobili danneggiati dal sisma restano l’autofinanziamento, condizionato alla riduzione del debito regionale e la deroga alle norme che regolano il patto di stabilità, eventualmente autorizzata con legge del Parlamento. È forse il caso di ricordare che il presidente Frattura, all’ inizio di questa legislatura, si è impegnato a risolvere i problemi legati alla sostenibilità finanziaria della ricostruzione anche a costo di sforare i tetti imposti dal patto di stabilità. Col passare del tempo è diventato più saggio e di terremoto non ne ha parlato più. La delegazione parlamentare, tutta di maggioranza, impegnata a difendersi da Renzi, evita di frequentare i luoghi del terremoto in particolare e quelli della politica in generale. Il fallimento della gestione post terremoto è così evidente che nessuno si azzarda a parlarne dopo le numerose figuracce rimediate sul tema da quasi tutti i parlamentari indigeni. Il completamento della ricostruzione non figura più nell’ agenda politica come se tutti i problemi legati alla ricostruzione fossero già risolti.
Anche quest’anno i consiglieri regionali celebreranno la giornata della memoria per ricordare le vittime del terremoto, questa volta lo faranno con l’ impegno tacito di non prendere impegni. I sindaci del cratere non fanno neanche più finta di riconsegnare la fascia tricolore al Prefetto, una moina che recitavano almeno una volta all’anno e la stampa molisana, sempre pronta a difendere le imprese di Iorio, sul tema ricostruzione non emette neanche un cinguettio: meglio stare zitti che fare autocritica. Intanto se ai ragazzi nati nei villaggi “provvisori” – le casette di legno costruite dopo il terremoto – chiedi di associare l’idea tragica del terremoto a una immagine reale, ti parlano della loro casa, non di quella scossa dal sisma e mai ricostruita, ma della baracca dove ancora oggi abitano. Per gli anziani che all’epoca dei fatti avevano oltre sessanta anni, trascorsi quasi sempre a grattare la terra per sopravvivere, quelli che scelsero una vita fatta di stenti pur di non andar via dal loro paese, dalla casa dove sono nati, dagli amici con i quali sono cresciuti, il dramma diventa più complesso da comprendere e quasi impossibile da raccontare. Se la violenza con la quale la natura si è abbattuta su di loro è risultata incomprensibile, quella perpetrata dagli uomini è ingiustificabile: quei vecchi avrebbero avuto bisogno di certezze, dopo la deportazione nei villaggi della speranza; di tempo, per vivere serenamente il loro tramonto: una categoria che in questa tragedia è diventata variabile indipendente ai fini del risultato.
Per ognuno di noi i primi dodici anni di vita hanno rappresentato il tempo della spensieratezza e del sogno, senza i quali non si diventa mai grande, gli ultimi quello sereno della saggezza e della pace vissuta. Proviamo ad immaginare un uomo al quale è stato impedito di vivere il tempo straordinario del sogno e quello sereno della pace e avremo l’esatta misura della violenza perpetrata da chi in questi anni si è occupato di lui. Non fu solo il passato ad essergli sottratto ma anche il futuro. Infatti, oltre alla nuova scuola antisismica di San Giuliano di Puglia, nulla è stato fatto affinché la tragedia non si ripetesse. Forse sarebbe il caso di dire, ad alta voce, che la scuola Jovine, crollata in occasione del sisma, è solo uno degli esempi negativi e forse neanche il peggiore. In molte scuole del nostro paese, anche dopo i fatti di San Giuliano, sono accaduti incidenti rilevanti che hanno messo in luce l’enorme fragilità degli edifici costruiti con tecniche simili a quelle con cui si è edificata la scuola crollata a San Giuliano e che fortunatamente non hanno prodotto danni alle persone solo perché non c’era nessuno. Così come è accaduto nelle periferie dell’Aquila, dove il progetto C.A.S.E., quelle abitazioni antitutto costate il doppio delle case vere, fortemente voluto dal martire di Arcore, dopo solo quattro anni dalla realizzazione perde pezzi, anzi interi balconi.
Anche il sogno di realizzare un paese normale dove i molisani potessero riuscire a vivere dignitosamente è svanito. Quello che doveva diventare un modello da esportare in altri luoghi e per altre emergenze si è rivelato essere un grande affare per pochi, in molti casi maneggioni abituati a fare impresa con soldi pubblici e quasi sempre amici del manovratore. Centinaia di milioni di euro sono stati distribuiti ai molisani per la crescita e lo sviluppo dell’area colpita dalle calamità del 2002/03, quasi nessuno di questi è servito alla creazione di un solo posto di lavoro.☺
Nulla di nuovo in Molise per la ricostruzione post sisma.
Nulla di nuovo in Molise per la ricostruzione post sisma. Oltre a qualche spicciolo per saldare antiche pendenze e al tentativo imprudente del Consigliere Ciocca di imbastire percorsi improbabili nella speranza di convincere gli imprenditori del mattone ad anticipare milioni di euro, nessuna strategia si intravede all’orizzonte per far ripartire i lavori fermi da troppo tempo. Le uniche soluzioni possibili per continuare a ricostruire gli immobili danneggiati dal sisma restano l’autofinanziamento, condizionato alla riduzione del debito regionale e la deroga alle norme che regolano il patto di stabilità, eventualmente autorizzata con legge del Parlamento. È forse il caso di ricordare che il presidente Frattura, all’ inizio di questa legislatura, si è impegnato a risolvere i problemi legati alla sostenibilità finanziaria della ricostruzione anche a costo di sforare i tetti imposti dal patto di stabilità. Col passare del tempo è diventato più saggio e di terremoto non ne ha parlato più. La delegazione parlamentare, tutta di maggioranza, impegnata a difendersi da Renzi, evita di frequentare i luoghi del terremoto in particolare e quelli della politica in generale. Il fallimento della gestione post terremoto è così evidente che nessuno si azzarda a parlarne dopo le numerose figuracce rimediate sul tema da quasi tutti i parlamentari indigeni. Il completamento della ricostruzione non figura più nell’ agenda politica come se tutti i problemi legati alla ricostruzione fossero già risolti.
Anche quest’anno i consiglieri regionali celebreranno la giornata della memoria per ricordare le vittime del terremoto, questa volta lo faranno con l’ impegno tacito di non prendere impegni. I sindaci del cratere non fanno neanche più finta di riconsegnare la fascia tricolore al Prefetto, una moina che recitavano almeno una volta all’anno e la stampa molisana, sempre pronta a difendere le imprese di Iorio, sul tema ricostruzione non emette neanche un cinguettio: meglio stare zitti che fare autocritica. Intanto se ai ragazzi nati nei villaggi “provvisori” – le casette di legno costruite dopo il terremoto – chiedi di associare l’idea tragica del terremoto a una immagine reale, ti parlano della loro casa, non di quella scossa dal sisma e mai ricostruita, ma della baracca dove ancora oggi abitano. Per gli anziani che all’epoca dei fatti avevano oltre sessanta anni, trascorsi quasi sempre a grattare la terra per sopravvivere, quelli che scelsero una vita fatta di stenti pur di non andar via dal loro paese, dalla casa dove sono nati, dagli amici con i quali sono cresciuti, il dramma diventa più complesso da comprendere e quasi impossibile da raccontare. Se la violenza con la quale la natura si è abbattuta su di loro è risultata incomprensibile, quella perpetrata dagli uomini è ingiustificabile: quei vecchi avrebbero avuto bisogno di certezze, dopo la deportazione nei villaggi della speranza; di tempo, per vivere serenamente il loro tramonto: una categoria che in questa tragedia è diventata variabile indipendente ai fini del risultato.
Per ognuno di noi i primi dodici anni di vita hanno rappresentato il tempo della spensieratezza e del sogno, senza i quali non si diventa mai grande, gli ultimi quello sereno della saggezza e della pace vissuta. Proviamo ad immaginare un uomo al quale è stato impedito di vivere il tempo straordinario del sogno e quello sereno della pace e avremo l’esatta misura della violenza perpetrata da chi in questi anni si è occupato di lui. Non fu solo il passato ad essergli sottratto ma anche il futuro. Infatti, oltre alla nuova scuola antisismica di San Giuliano di Puglia, nulla è stato fatto affinché la tragedia non si ripetesse. Forse sarebbe il caso di dire, ad alta voce, che la scuola Jovine, crollata in occasione del sisma, è solo uno degli esempi negativi e forse neanche il peggiore. In molte scuole del nostro paese, anche dopo i fatti di San Giuliano, sono accaduti incidenti rilevanti che hanno messo in luce l’enorme fragilità degli edifici costruiti con tecniche simili a quelle con cui si è edificata la scuola crollata a San Giuliano e che fortunatamente non hanno prodotto danni alle persone solo perché non c’era nessuno. Così come è accaduto nelle periferie dell’Aquila, dove il progetto C.A.S.E., quelle abitazioni antitutto costate il doppio delle case vere, fortemente voluto dal martire di Arcore, dopo solo quattro anni dalla realizzazione perde pezzi, anzi interi balconi.
Anche il sogno di realizzare un paese normale dove i molisani potessero riuscire a vivere dignitosamente è svanito. Quello che doveva diventare un modello da esportare in altri luoghi e per altre emergenze si è rivelato essere un grande affare per pochi, in molti casi maneggioni abituati a fare impresa con soldi pubblici e quasi sempre amici del manovratore. Centinaia di milioni di euro sono stati distribuiti ai molisani per la crescita e lo sviluppo dell’area colpita dalle calamità del 2002/03, quasi nessuno di questi è servito alla creazione di un solo posto di lavoro.☺
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