Mio fratello mi ha lasciata sola nella sua stanza dicendomi che avrei dormito con il suo coinquilino Simone e con la fidanzata. L’idea di condividere la stanza con una coppia mi ha messo istintivamente a disagio. Simone e Giovanna sono arrivati la sera, solari, sorridenti mi hanno accolto e si sono messi nel lettino piccolo abbracciati ed è stato tutto semplice. Mi sono svegliata presto e vedendoli così distesi tranquilli e umani, quasi un prolungamento naturale di me, mi sono chiesta perché avessi così paura dell’intimità. Ho pensato all’imbarazzo del corpo che si sente nudo, l’idea di essere guardati o forse giudicati, la tremenda idea della perfezione che si insinua con cattiveria tra noi e gli altri e crea un distacco ogni giorno più grande, una patina necessaria di convenzioni che ci invitano ad occupare sempre gli spazi giusti e a non invadere. Se si scombinano per un accidente le mosse di questo ballo a due, ci sentiamo fuori posto e non sappiamo più che passi fare, ci pestiamo i piedi e non riusciamo a seguire la musica. Abbiamo dimenticato la musica. Abbiamo dimenticato dove dovrebbe portarci la musica. E presto fuggiamo in bagno a coprire i brufoli e la pancia, a vergognarci dei nostri difetti come se fossero una penosa miseria.
La mattina è sempre fredda e ha ragione un mio amico, qui sono tutti belli e intelligenti. Hanno il loro dio del sapone e degli occhi che non guardano da nessuna parte. Eppure basterebbe così poco per non vergognarsi, per toglierci dallo sforzo che ci costringe alla lontananza. Mostriamoci l’un l’altro il nostro orrore e scopriamo che tra il brutto e il bello non c’è confine. Mi sembra di capire Michelangelo, se è vero che per i suoi santi si ispirò a dei beoni di taverna, perché quella sensualità delle vite disperate, come canta Paolo Conte, è l’unica cosa di umano che vedo. Un barbone mi passa accanto, sporco, il suo sguardo è così ardente che quasi brucia, è una febbre, mi si imprime per giorni. La povertà, la disperazione non sono mai desiderabili, dico solo che sono umane ed è ingiusto in fondo anche rifugiarmi in questa idea per cercare qualcosa di reale.
Come pianeti attratti dai nostri corpi ma con una forza che ci tiene in equilibrio distanti. Siamo maturi per trattarli con materialismo ma sappiamo che quando ci tocchiamo tra di noi non c’è più limite, solo espansione.☺
Mio fratello mi ha lasciata sola nella sua stanza dicendomi che avrei dormito con il suo coinquilino Simone e con la fidanzata. L’idea di condividere la stanza con una coppia mi ha messo istintivamente a disagio. Simone e Giovanna sono arrivati la sera, solari, sorridenti mi hanno accolto e si sono messi nel lettino piccolo abbracciati ed è stato tutto semplice. Mi sono svegliata presto e vedendoli così distesi tranquilli e umani, quasi un prolungamento naturale di me, mi sono chiesta perché avessi così paura dell’intimità. Ho pensato all’imbarazzo del corpo che si sente nudo, l’idea di essere guardati o forse giudicati, la tremenda idea della perfezione che si insinua con cattiveria tra noi e gli altri e crea un distacco ogni giorno più grande, una patina necessaria di convenzioni che ci invitano ad occupare sempre gli spazi giusti e a non invadere. Se si scombinano per un accidente le mosse di questo ballo a due, ci sentiamo fuori posto e non sappiamo più che passi fare, ci pestiamo i piedi e non riusciamo a seguire la musica. Abbiamo dimenticato la musica. Abbiamo dimenticato dove dovrebbe portarci la musica. E presto fuggiamo in bagno a coprire i brufoli e la pancia, a vergognarci dei nostri difetti come se fossero una penosa miseria.
La mattina è sempre fredda e ha ragione un mio amico, qui sono tutti belli e intelligenti. Hanno il loro dio del sapone e degli occhi che non guardano da nessuna parte. Eppure basterebbe così poco per non vergognarsi, per toglierci dallo sforzo che ci costringe alla lontananza. Mostriamoci l’un l’altro il nostro orrore e scopriamo che tra il brutto e il bello non c’è confine. Mi sembra di capire Michelangelo, se è vero che per i suoi santi si ispirò a dei beoni di taverna, perché quella sensualità delle vite disperate, come canta Paolo Conte, è l’unica cosa di umano che vedo. Un barbone mi passa accanto, sporco, il suo sguardo è così ardente che quasi brucia, è una febbre, mi si imprime per giorni. La povertà, la disperazione non sono mai desiderabili, dico solo che sono umane ed è ingiusto in fondo anche rifugiarmi in questa idea per cercare qualcosa di reale.
Come pianeti attratti dai nostri corpi ma con una forza che ci tiene in equilibrio distanti. Siamo maturi per trattarli con materialismo ma sappiamo che quando ci tocchiamo tra di noi non c’è più limite, solo espansione.☺
Mio fratello mi ha lasciata sola nella sua stanza dicendomi che avrei dormito con il suo coinquilino Simone e con la fidanzata.
Mio fratello mi ha lasciata sola nella sua stanza dicendomi che avrei dormito con il suo coinquilino Simone e con la fidanzata. L’idea di condividere la stanza con una coppia mi ha messo istintivamente a disagio. Simone e Giovanna sono arrivati la sera, solari, sorridenti mi hanno accolto e si sono messi nel lettino piccolo abbracciati ed è stato tutto semplice. Mi sono svegliata presto e vedendoli così distesi tranquilli e umani, quasi un prolungamento naturale di me, mi sono chiesta perché avessi così paura dell’intimità. Ho pensato all’imbarazzo del corpo che si sente nudo, l’idea di essere guardati o forse giudicati, la tremenda idea della perfezione che si insinua con cattiveria tra noi e gli altri e crea un distacco ogni giorno più grande, una patina necessaria di convenzioni che ci invitano ad occupare sempre gli spazi giusti e a non invadere. Se si scombinano per un accidente le mosse di questo ballo a due, ci sentiamo fuori posto e non sappiamo più che passi fare, ci pestiamo i piedi e non riusciamo a seguire la musica. Abbiamo dimenticato la musica. Abbiamo dimenticato dove dovrebbe portarci la musica. E presto fuggiamo in bagno a coprire i brufoli e la pancia, a vergognarci dei nostri difetti come se fossero una penosa miseria.
La mattina è sempre fredda e ha ragione un mio amico, qui sono tutti belli e intelligenti. Hanno il loro dio del sapone e degli occhi che non guardano da nessuna parte. Eppure basterebbe così poco per non vergognarsi, per toglierci dallo sforzo che ci costringe alla lontananza. Mostriamoci l’un l’altro il nostro orrore e scopriamo che tra il brutto e il bello non c’è confine. Mi sembra di capire Michelangelo, se è vero che per i suoi santi si ispirò a dei beoni di taverna, perché quella sensualità delle vite disperate, come canta Paolo Conte, è l’unica cosa di umano che vedo. Un barbone mi passa accanto, sporco, il suo sguardo è così ardente che quasi brucia, è una febbre, mi si imprime per giorni. La povertà, la disperazione non sono mai desiderabili, dico solo che sono umane ed è ingiusto in fondo anche rifugiarmi in questa idea per cercare qualcosa di reale.
Come pianeti attratti dai nostri corpi ma con una forza che ci tiene in equilibrio distanti. Siamo maturi per trattarli con materialismo ma sappiamo che quando ci tocchiamo tra di noi non c’è più limite, solo espansione.☺
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