Pentecoste nasce in Israele come festa della mietitura. Dopo l’attesa, finalmente il raccolto. Il Salmista descrive bene questa dinamica contrassegnando la semina con le lacrime del contadino che non può prevedere come andranno le cose, e la raccolta invece con il giubilo per la chiara promessa del pane. Anche il povero è ammesso alla raccolta, grazie all’escamotage divino della spigolatura. Dopo l’esilio, Pentecoste si veste di nuovi colori: sarà anche la festa della Parola ricevuta al Sinai.
Pane e parola nella Bibbia sono un binomio inscindibile: è detto infatti che l’uomo vive di pane e parola. Il pane che non è mai mancato al popolo in terra straniera non è più la manna, ma la Parola, vera patria portatile, in Babilonia come nei campi di sterminio. Raccontare la storia della salvezza è infatti per il credente cibo che sazia tutto l’essere, che apporta sostanza alla propria identità, crea appartenenza, tesse legami autentici, accumula nel cuore il tesoro della memoria. Dopo la risurrezione di Cristo, la Pentecoste si colora ulteriormente di senso: è la festa della parola pneumatofora, che trasmette lo Spirito, e che in noi da afona vuol farsi virile, perché le nostre vite non solo raccontino, ma comunichino pure la presenza vivificante di Cristo nella storia.
“Rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49).
Pentecoste nasce in Israele come festa della mietitura. Dopo l’attesa, finalmente il raccolto. Il Salmista descrive bene questa dinamica contrassegnando la semina con le lacrime del contadino che non può prevedere come andranno le cose, e la raccolta invece con il giubilo per la chiara promessa del pane. Anche il povero è ammesso alla raccolta, grazie all’escamotage divino della spigolatura. Dopo l’esilio, Pentecoste si veste di nuovi colori: sarà anche la festa della Parola ricevuta al Sinai.
Pane e parola nella Bibbia sono un binomio inscindibile: è detto infatti che l’uomo vive di pane e parola. Il pane che non è mai mancato al popolo in terra straniera non è più la manna, ma la Parola, vera patria portatile, in Babilonia come nei campi di sterminio. Raccontare la storia della salvezza è infatti per il credente cibo che sazia tutto l’essere, che apporta sostanza alla propria identità, crea appartenenza, tesse legami autentici, accumula nel cuore il tesoro della memoria. Dopo la risurrezione di Cristo, la Pentecoste si colora ulteriormente di senso: è la festa della parola pneumatofora, che trasmette lo Spirito, e che in noi da afona vuol farsi virile, perché le nostre vite non solo raccontino, ma comunichino pure la presenza vivificante di Cristo nella storia.
Pentecoste nasce in Israele come festa della mietitura. Dopo l’attesa, finalmente il raccolto. Il Salmista descrive bene questa dinamica contrassegnando la semina con le lacrime del contadino che non può prevedere come andranno le cose, e la raccolta invece con il giubilo per la chiara promessa del pane.
“Rivestiti di potenza dall’alto” (Lc 24,49).
Pentecoste nasce in Israele come festa della mietitura. Dopo l’attesa, finalmente il raccolto. Il Salmista descrive bene questa dinamica contrassegnando la semina con le lacrime del contadino che non può prevedere come andranno le cose, e la raccolta invece con il giubilo per la chiara promessa del pane. Anche il povero è ammesso alla raccolta, grazie all’escamotage divino della spigolatura. Dopo l’esilio, Pentecoste si veste di nuovi colori: sarà anche la festa della Parola ricevuta al Sinai.
Pane e parola nella Bibbia sono un binomio inscindibile: è detto infatti che l’uomo vive di pane e parola. Il pane che non è mai mancato al popolo in terra straniera non è più la manna, ma la Parola, vera patria portatile, in Babilonia come nei campi di sterminio. Raccontare la storia della salvezza è infatti per il credente cibo che sazia tutto l’essere, che apporta sostanza alla propria identità, crea appartenenza, tesse legami autentici, accumula nel cuore il tesoro della memoria. Dopo la risurrezione di Cristo, la Pentecoste si colora ulteriormente di senso: è la festa della parola pneumatofora, che trasmette lo Spirito, e che in noi da afona vuol farsi virile, perché le nostre vite non solo raccontino, ma comunichino pure la presenza vivificante di Cristo nella storia.
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