la scala di giacobbe
5 Luglio 2011 Share

la scala di giacobbe

 

Nelle vicende dei patriarchi d’Israele i sogni sono una componente importante, in quanto costituiscono uno dei modi con cui Dio fa conoscere il suo volere. Il sognatore più famoso è Giuseppe, venduto dai fratelli, ma è Giacobbe, il padre di Giuseppe, a cominciare ad interpretare i sogni come messaggi di Dio. In un momento particolare della sua vita, dopo aver ricevuto dal padre la benedizione, fa un’espe- rienza particolare che segna la sua investitura come depositario delle promesse di Dio. Sogna una scala che dalla terra sale fino al cielo, sulla quale salgono e scendono degli angeli, i messaggeri di Dio (Gn 28,12). La tradizione ebraica dice anche che gli angeli scendevano per vedere Giacobbe, quasi fossero stupiti di questo uomo destinato a diventare padre del popolo eletto, in quanto il secondo nome di Giacobbe sarà proprio Israele, padre delle dodici tribù. La scala in questione probabilmente si ispira alle ziqqurat babilonesi, le enormi torri sulle quali era costruito il tempio della divinità e che simboleggiavano l’aspirazione dell’uomo a comunicare con gli dèi (a queste costruzioni si ispira anche il racconto della torre di Babele). Nel sogno, Giacobbe riceve anche un messaggio da parte di Dio che gli promette, come aveva fatto già con Abramo, di farlo capostipite di un grande popolo e di dargli la terra che aveva promesso ad Abramo, facendolo diventare una benedizione per tutti i popoli della terra (28,13-15). Al risveglio dal sogno, Giacobbe esclama che quel luogo è la casa di Dio (Betel) e la porta del cielo e vi costruisce un altare, che diventerà uno dei santuari più importanti di Israele (28,16-18).

Questo episodio è un classico racconto eziologico, che intende spiegare cioè le origini di qualcosa, in questo caso di un luogo di culto. Tuttavia ogni racconto porta in sé tanti significati, perché può diventare una metafora per altre realtà. Nella tradizione cristiana, ad esempio, la scala di Giacobbe è diventata un’immagine per indicare il cammino spirituale, con i diversi gradini che diventano altrettante tappe per raggiungere la meta, cioè l’esperienza di Dio. L’idea che soggiace al racconto è che la scala diventa un mezzo per arrivare ad un luogo elevato, che non è direttamente raggiungibile con le semplici capacità fisiche dell’uomo, che non può saltare così in alto né tantomeno volare. La scala, in tal senso, indica anche un percorso fatto di tappe (gli scalini) che sono concatenate e susseguenti, non si possono fare salti, che rischierebbero di essere salti nel vuoto, ma ogni momento successivo è radicato in quelli precedenti, solide basi perché non crolli la struttura. Nella vita spirituale non si possono raggiungere le vette della mistica senza un’adeguata ascesi (la parola riecheggia la salita), cioè un allenamento a lasciare ciò che è in basso, a eliminare i bagagli inutili che rendono faticosa e spesso impossibile la salita, per acclimatarsi con l’aria rarefatta delle diverse altitudini che permettono di avere uno sguardo sempre più aperto e profondo sulla realtà.

Potremmo applicare la metafora della scala, quindi, anche alla nostra esperienza di lotta per una maggiore presa di coscienza della corresponsabilità civile per il bene comune, contro ogni mendace promessa di facili scalate, passando da un bunga-bunga all’altro. L’esperienza entusiasmante dei referendum recenti, preceduti dal promettente presagio delle elezioni amministrative e dal profetico monito della catastrofe giapponese, non deve far pensare di esser giunti alla cima, allo scopo ultimo dell’im- pegno civile, perché facilmente ci si può fermare a mezza costa, accontentandosi di miseri panorami. La salita verso la vetta è faticosa e richiede scelte impegnative, capacità di rifuggire le sirene di uno stile di vita e di un modo di pensare che non è patrimonio solo di una parte, ma che ha avvelenato un’intera società, dove le idee politiche sono ridotte a slogan ideologici per conquistare una fetta di potere e l’ostentazione della solidarietà con chi non ha è solo la recita di un copione per assicurarsi laute prebende. Sulla scala di Giacobbe ci sono degli angeli che scendono e salgono, metafora di quei pochi profeti, spesso inascoltati, che tutt’ora recano messaggi per invitare a un cambiamento sempre più urgente.

Giacobbe capisce il senso del sogno e comincia a costruire il luogo dove potrà incontrare Dio, mettendo però solo la prima pietra, perché sa che prima di vedere realizzata la promessa di Dio, dovrà ancora andare esule e pellegrino per la terra. Quella prima pietra diventa il promemoria per il cammino che ancora ha da compiere, un segno di speranza che, per non essere trasformato in monumento alla frustrazione, dovrà essere affiancato da tante altre pietre che un giorno diventeranno quell’edificio che lo farà sentire finalmente a casa. ☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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