E’ trascorso un anno esatto dalla proposta del nostro direttore di occuparmi di questa piccola rubrica, inaugurata dalla famosa invocazione di Ulisse al proprio cuore (Odissea XX 18): “Sopporta, cuore! Altro male più atroce sopportasti” (“la fonte” n. 6 di giugno 2014). Di qui il desiderio di presentare, ad un anno di distanza, un frammento di saggezza parallelo.
Qualche secolo dopo Omero, un altro antico poeta greco invoca il proprio animo (e non più, come Ulisse, il proprio cuore: forse perché, come osserva lo studioso Giorgio Pasquali, la vita psichica cominciava ad essere distinta da quella organica). Si tratta di Archiloco, vissuto intorno alla metà del VII secolo a.C., e considerato nell’antichità un sommo poeta, al pari di Omero. La sua opera non è sopravvissuta alla fine della civiltà classica e ne sono rimasti circa trecento frammenti. Ma sebbene privi di conoscenze sui legami tra la sua esistenza e lo scenario che egli traccia nei suoi versi, possiamo lo stesso gustarne la poesia. Nel breve brano in questione (fr. 128 West), Archiloco si rivolge al proprio animo, “sconvolto da tormenti senza scampo” (la traduzione è di Gennaro Perrotta, insigne grecista nato a Termoli il 19 maggio 1900). E, come se fosse un guerriero, lo esorta a tenere saldamente il proprio campo, con il petto sporto contro i propri nemici. Ma lo ammonisce anche a non esaltarsi troppo per la vittoria, né a dolersi troppo per la sconfitta.
Questo frammento, che al dolore oppone la forza, e contro ogni eccesso proclama il senso della misura e del limite, finisce poi per noi con una famosa invocazione al proprio animo: “riconosci quale ritmo regge gli uomini” (traduzione di Filippo Maria Pontani). È fondamentale – sembra concludere Archiloco – capire che la vita è regolata da una sorta di flusso simile a quello del mare, con le onde che ora portano in alto, ora fanno sprofondare. E non a caso impiega il termine ionico rhysmós (in attico rhythmós), connesso al verbo rhéo, “scorrere”. Così il poeta scopre il significato profondo della vita, caratterizzata da continui alti e bassi, in quella sorta di ‘sinusoide’ che è l’alterna vicenda del bene e del male. L’esistenza di ogni individuo può cambiare, e in alcuni casi essere anche stravolta: ma è proprio la consapevolezza del “ritmo” che la scandisce, mutabile nelle varie circostanze, a permettergli di affrontare come si dovrebbe anche la sorte avversa.
E’ trascorso un anno esatto dalla proposta del nostro direttore di occuparmi di questa piccola rubrica, inaugurata dalla famosa invocazione di Ulisse al proprio cuore (Odissea XX 18): “Sopporta, cuore! Altro male più atroce sopportasti” (“la fonte” n. 6 di giugno 2014). Di qui il desiderio di presentare, ad un anno di distanza, un frammento di saggezza parallelo.
Qualche secolo dopo Omero, un altro antico poeta greco invoca il proprio animo (e non più, come Ulisse, il proprio cuore: forse perché, come osserva lo studioso Giorgio Pasquali, la vita psichica cominciava ad essere distinta da quella organica). Si tratta di Archiloco, vissuto intorno alla metà del VII secolo a.C., e considerato nell’antichità un sommo poeta, al pari di Omero. La sua opera non è sopravvissuta alla fine della civiltà classica e ne sono rimasti circa trecento frammenti. Ma sebbene privi di conoscenze sui legami tra la sua esistenza e lo scenario che egli traccia nei suoi versi, possiamo lo stesso gustarne la poesia. Nel breve brano in questione (fr. 128 West), Archiloco si rivolge al proprio animo, “sconvolto da tormenti senza scampo” (la traduzione è di Gennaro Perrotta, insigne grecista nato a Termoli il 19 maggio 1900). E, come se fosse un guerriero, lo esorta a tenere saldamente il proprio campo, con il petto sporto contro i propri nemici. Ma lo ammonisce anche a non esaltarsi troppo per la vittoria, né a dolersi troppo per la sconfitta.
Questo frammento, che al dolore oppone la forza, e contro ogni eccesso proclama il senso della misura e del limite, finisce poi per noi con una famosa invocazione al proprio animo: “riconosci quale ritmo regge gli uomini” (traduzione di Filippo Maria Pontani). È fondamentale – sembra concludere Archiloco – capire che la vita è regolata da una sorta di flusso simile a quello del mare, con le onde che ora portano in alto, ora fanno sprofondare. E non a caso impiega il termine ionico rhysmós (in attico rhythmós), connesso al verbo rhéo, “scorrere”. Così il poeta scopre il significato profondo della vita, caratterizzata da continui alti e bassi, in quella sorta di ‘sinusoide’ che è l’alterna vicenda del bene e del male. L’esistenza di ogni individuo può cambiare, e in alcuni casi essere anche stravolta: ma è proprio la consapevolezza del “ritmo” che la scandisce, mutabile nelle varie circostanze, a permettergli di affrontare come si dovrebbe anche la sorte avversa.
E' trascorso un anno esatto dalla proposta del nostro direttore di occuparmi di questa piccola rubrica, inaugurata dalla famosa invocazione di Ulisse al proprio cuore (Odissea XX 18): “Sopporta, cuore!
E’ trascorso un anno esatto dalla proposta del nostro direttore di occuparmi di questa piccola rubrica, inaugurata dalla famosa invocazione di Ulisse al proprio cuore (Odissea XX 18): “Sopporta, cuore! Altro male più atroce sopportasti” (“la fonte” n. 6 di giugno 2014). Di qui il desiderio di presentare, ad un anno di distanza, un frammento di saggezza parallelo.
Qualche secolo dopo Omero, un altro antico poeta greco invoca il proprio animo (e non più, come Ulisse, il proprio cuore: forse perché, come osserva lo studioso Giorgio Pasquali, la vita psichica cominciava ad essere distinta da quella organica). Si tratta di Archiloco, vissuto intorno alla metà del VII secolo a.C., e considerato nell’antichità un sommo poeta, al pari di Omero. La sua opera non è sopravvissuta alla fine della civiltà classica e ne sono rimasti circa trecento frammenti. Ma sebbene privi di conoscenze sui legami tra la sua esistenza e lo scenario che egli traccia nei suoi versi, possiamo lo stesso gustarne la poesia. Nel breve brano in questione (fr. 128 West), Archiloco si rivolge al proprio animo, “sconvolto da tormenti senza scampo” (la traduzione è di Gennaro Perrotta, insigne grecista nato a Termoli il 19 maggio 1900). E, come se fosse un guerriero, lo esorta a tenere saldamente il proprio campo, con il petto sporto contro i propri nemici. Ma lo ammonisce anche a non esaltarsi troppo per la vittoria, né a dolersi troppo per la sconfitta.
Questo frammento, che al dolore oppone la forza, e contro ogni eccesso proclama il senso della misura e del limite, finisce poi per noi con una famosa invocazione al proprio animo: “riconosci quale ritmo regge gli uomini” (traduzione di Filippo Maria Pontani). È fondamentale – sembra concludere Archiloco – capire che la vita è regolata da una sorta di flusso simile a quello del mare, con le onde che ora portano in alto, ora fanno sprofondare. E non a caso impiega il termine ionico rhysmós (in attico rhythmós), connesso al verbo rhéo, “scorrere”. Così il poeta scopre il significato profondo della vita, caratterizzata da continui alti e bassi, in quella sorta di ‘sinusoide’ che è l’alterna vicenda del bene e del male. L’esistenza di ogni individuo può cambiare, e in alcuni casi essere anche stravolta: ma è proprio la consapevolezza del “ritmo” che la scandisce, mutabile nelle varie circostanze, a permettergli di affrontare come si dovrebbe anche la sorte avversa.
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