L’estate, si sa, è tempo di viaggi. Ma se la speranza, partendo, è di lenire e curare l’inquietudine, viene da chiedersi come possa giovare vedere nuovi paesi e a che serva conoscere città e luoghi diversi. Per parafrasare il filosofo latino Seneca, si rischia uno sballottamento che sfocia nel vuoto, se prima non ci si è scrollato di dosso il peso che opprime la mente. Una fuga inutile, se si fugge con se stessi. Animum debes mutare, non caelum, “devi mutare animo, non cielo”: è quello che Seneca risponde all’amico Lucilio, un romano del I secolo d.C., che si dice stupito che i propri viaggi non gli siano serviti a eliminare la tristezza che lo affligge (Epistulae ad Lucilium 28). Ma la convinzione che i motivi delle nostre insoddisfazioni non provengano dall’esterno e che quindi il cambiamento di luoghi e persone non possa mutare la nostra condizione interiore doveva essere cara agli antichi. Sembra risalire addirittura a Socrate, del quale, nella stessa lettera, Seneca ci riporta la risposta data ad un giovane insoddisfatto del suo peregrinare: “Perché ti stupisci se i lunghi viaggi non ti servono, dal momento che porti in giro te stesso?”. E trova poi una formulazione definitiva, di eccezionale bellezza, in un verso del poeta latino Orazio: caelum, non animum mutant qui trans mare currunt, “mutano cielo, non animo, coloro che corrono al di là del mare” (Epistulae I 11, 27). Ancora un amico inquieto, Bullazio – di cui è impossibile conoscere l’identità, ma che riflette la vera natura, profondamente malinconica, di Orazio stesso -, e ancora la risposta che è inutile visitare le città e le isole famose del mare Egeo per trovare pace. La pace è invece dentro di noi, purché conquistiamo quella serenità d’animo (animus aequus) che consente di apprezzare ciò che è a portata di mano. Un’acquisizione difficile, certo, ma che coincide con la conclusione a cui giunge anche Seneca: “quando ti sarai liberato da questo male, qualsiasi cambiamento di località diverrà un piacere”.
Filomena Giannotti
L’estate, si sa, è tempo di viaggi. Ma se la speranza, partendo, è di lenire e curare l’inquietudine, viene da chiedersi come possa giovare vedere nuovi paesi e a che serva conoscere città e luoghi diversi. Per parafrasare il filosofo latino Seneca, si rischia uno sballottamento che sfocia nel vuoto, se prima non ci si è scrollato di dosso il peso che opprime la mente. Una fuga inutile, se si fugge con se stessi. Animum debes mutare, non caelum, “devi mutare animo, non cielo”: è quello che Seneca risponde all’amico Lucilio, un romano del I secolo d.C., che si dice stupito che i propri viaggi non gli siano serviti a eliminare la tristezza che lo affligge (Epistulae ad Lucilium 28). Ma la convinzione che i motivi delle nostre insoddisfazioni non provengano dall’esterno e che quindi il cambiamento di luoghi e persone non possa mutare la nostra condizione interiore doveva essere cara agli antichi. Sembra risalire addirittura a Socrate, del quale, nella stessa lettera, Seneca ci riporta la risposta data ad un giovane insoddisfatto del suo peregrinare: “Perché ti stupisci se i lunghi viaggi non ti servono, dal momento che porti in giro te stesso?”. E trova poi una formulazione definitiva, di eccezionale bellezza, in un verso del poeta latino Orazio: caelum, non animum mutant qui trans mare currunt, “mutano cielo, non animo, coloro che corrono al di là del mare” (Epistulae I 11, 27). Ancora un amico inquieto, Bullazio – di cui è impossibile conoscere l’identità, ma che riflette la vera natura, profondamente malinconica, di Orazio stesso -, e ancora la risposta che è inutile visitare le città e le isole famose del mare Egeo per trovare pace. La pace è invece dentro di noi, purché conquistiamo quella serenità d’animo (animus aequus) che consente di apprezzare ciò che è a portata di mano. Un’acquisizione difficile, certo, ma che coincide con la conclusione a cui giunge anche Seneca: “quando ti sarai liberato da questo male, qualsiasi cambiamento di località diverrà un piacere”.
L'estate, si sa, è tempo di viaggi. Ma se la speranza, partendo, è di lenire e curare l'inquietudine, viene da chiedersi come possa giovare vedere nuovi paesi e a che serva conoscere città e luoghi diversi.
L’estate, si sa, è tempo di viaggi. Ma se la speranza, partendo, è di lenire e curare l’inquietudine, viene da chiedersi come possa giovare vedere nuovi paesi e a che serva conoscere città e luoghi diversi. Per parafrasare il filosofo latino Seneca, si rischia uno sballottamento che sfocia nel vuoto, se prima non ci si è scrollato di dosso il peso che opprime la mente. Una fuga inutile, se si fugge con se stessi. Animum debes mutare, non caelum, “devi mutare animo, non cielo”: è quello che Seneca risponde all’amico Lucilio, un romano del I secolo d.C., che si dice stupito che i propri viaggi non gli siano serviti a eliminare la tristezza che lo affligge (Epistulae ad Lucilium 28). Ma la convinzione che i motivi delle nostre insoddisfazioni non provengano dall’esterno e che quindi il cambiamento di luoghi e persone non possa mutare la nostra condizione interiore doveva essere cara agli antichi. Sembra risalire addirittura a Socrate, del quale, nella stessa lettera, Seneca ci riporta la risposta data ad un giovane insoddisfatto del suo peregrinare: “Perché ti stupisci se i lunghi viaggi non ti servono, dal momento che porti in giro te stesso?”. E trova poi una formulazione definitiva, di eccezionale bellezza, in un verso del poeta latino Orazio: caelum, non animum mutant qui trans mare currunt, “mutano cielo, non animo, coloro che corrono al di là del mare” (Epistulae I 11, 27). Ancora un amico inquieto, Bullazio – di cui è impossibile conoscere l’identità, ma che riflette la vera natura, profondamente malinconica, di Orazio stesso -, e ancora la risposta che è inutile visitare le città e le isole famose del mare Egeo per trovare pace. La pace è invece dentro di noi, purché conquistiamo quella serenità d’animo (animus aequus) che consente di apprezzare ciò che è a portata di mano. Un’acquisizione difficile, certo, ma che coincide con la conclusione a cui giunge anche Seneca: “quando ti sarai liberato da questo male, qualsiasi cambiamento di località diverrà un piacere”.
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