Lamentazione. L’immobilismo dell’essere umano si sta evolvendo fino a diventare fattore innato trovando la sua massima espressione in periodi come il nostro. Così ci scontriamo, nostro malgrado, con persone che proiettano tutto il loro senso di fallimento all’esterno non facendo altro che attribuire il proprio malessere alla classe dirigente e “stramaledire le donne, il tempo ed il governo”.
Il senso di godimento che si prova nel lamento diviene, molto spesso, fattore di mantenimento di una situazione che paradossalmente è croce e delizia. Esistono diversi tipi di lamentatori militanti, coloro i quali si lamentano di ciò che non hanno, quelli che si lamentano perché hanno poco, quelli che si lamentano a prescindere, quelli che si lamentano se gli altri fanno e/o se gli altri non fanno, quelli che si lamentano perché vorrebbero fare… Il sintomo comune però è che si lamentano sempre da seduti.
È frequente che questi individui si nascondono ed abusano del termine “depressione” per giustificare la loro immobilità, facendo in questo modo torto grave a coloro i quali, purtroppo, hanno realmente avuto la sfortuna di incontrare nella loro tragitto l’oscura signora.
Chiariamoci le idee: la depressione è senza dubbio il male del secolo, la lamentazione una sua pantomima. Beck sostiene che l’eziopatogenesi della depressione si basa essenzialmente su 3 convinzioni che l’individuo che ne è affetto ritiene assolutamente vere:
1. Non ho le capacità di cambiare le cose; 2. Nessuno può aiutarmi; 3. Nulla potrà mai cambiare. Il vissuto emotivo che segue tali convinzioni è drammatico ed è evidente come la prospettiva sia una vita di sofferenza alla quale, purtroppo sempre più frequentemente, si preferisce una soluzione più netta ed immediata.
La differenzia tra il depresso e il lamentatore militante non è ciò che viene verbalizzato, ma come questo viene affrontato. Il depresso infatti lotta continuamente prima di rinunciare e cedere ai suoi pensieri, vuole con tutte le proprie forze confutarli, spesso chiede aiuto nonostante non ci creda e nelle fasi migliori accetta l’altro, crede e spera in esso. Il lamentatore militante invece gode del proprio status, non permette all’altro di entrare ed è molto infastidito se le cose vengono modificate poiché sperimenta il rischio di non potersi lamentare oltre. In aggiunta, il lamentatore militante non gradisce che altri riescano nei progetti poiché diventano la prova del fatto che le cose si modificano lottando, senza contare che il successo altrui sottolinea il proprio fallimento; dunque per dissonanza cognitiva insieme alla lamentazione compare la diffamazione; il pettegolezzo rimette sempre tutto al proprio posto, e così ci troviamo dirigenti seduti su poltrone per meriti di alcova, professionisti poco validi ma raccomandati, colleghi arrivisti e scorretti. In questo modo le ferite narcisistiche vengono ricomposte e finalmente si può tornare a godere del proprio lamento. Citando un uomo illustre: “alzati e cammina!”. ☺
Lamentazione. L’immobilismo dell’essere umano si sta evolvendo fino a diventare fattore innato trovando la sua massima espressione in periodi come il nostro. Così ci scontriamo, nostro malgrado, con persone che proiettano tutto il loro senso di fallimento all’esterno non facendo altro che attribuire il proprio malessere alla classe dirigente e “stramaledire le donne, il tempo ed il governo”.
Il senso di godimento che si prova nel lamento diviene, molto spesso, fattore di mantenimento di una situazione che paradossalmente è croce e delizia. Esistono diversi tipi di lamentatori militanti, coloro i quali si lamentano di ciò che non hanno, quelli che si lamentano perché hanno poco, quelli che si lamentano a prescindere, quelli che si lamentano se gli altri fanno e/o se gli altri non fanno, quelli che si lamentano perché vorrebbero fare… Il sintomo comune però è che si lamentano sempre da seduti.
È frequente che questi individui si nascondono ed abusano del termine “depressione” per giustificare la loro immobilità, facendo in questo modo torto grave a coloro i quali, purtroppo, hanno realmente avuto la sfortuna di incontrare nella loro tragitto l’oscura signora.
Chiariamoci le idee: la depressione è senza dubbio il male del secolo, la lamentazione una sua pantomima. Beck sostiene che l’eziopatogenesi della depressione si basa essenzialmente su 3 convinzioni che l’individuo che ne è affetto ritiene assolutamente vere:
1. Non ho le capacità di cambiare le cose; 2. Nessuno può aiutarmi; 3. Nulla potrà mai cambiare. Il vissuto emotivo che segue tali convinzioni è drammatico ed è evidente come la prospettiva sia una vita di sofferenza alla quale, purtroppo sempre più frequentemente, si preferisce una soluzione più netta ed immediata.
La differenzia tra il depresso e il lamentatore militante non è ciò che viene verbalizzato, ma come questo viene affrontato. Il depresso infatti lotta continuamente prima di rinunciare e cedere ai suoi pensieri, vuole con tutte le proprie forze confutarli, spesso chiede aiuto nonostante non ci creda e nelle fasi migliori accetta l’altro, crede e spera in esso. Il lamentatore militante invece gode del proprio status, non permette all’altro di entrare ed è molto infastidito se le cose vengono modificate poiché sperimenta il rischio di non potersi lamentare oltre. In aggiunta, il lamentatore militante non gradisce che altri riescano nei progetti poiché diventano la prova del fatto che le cose si modificano lottando, senza contare che il successo altrui sottolinea il proprio fallimento; dunque per dissonanza cognitiva insieme alla lamentazione compare la diffamazione; il pettegolezzo rimette sempre tutto al proprio posto, e così ci troviamo dirigenti seduti su poltrone per meriti di alcova, professionisti poco validi ma raccomandati, colleghi arrivisti e scorretti. In questo modo le ferite narcisistiche vengono ricomposte e finalmente si può tornare a godere del proprio lamento. Citando un uomo illustre: “alzati e cammina!”. ☺
Lamentazione. L’immobilismo dell’essere umano si sta evolvendo fino a diventare fattore innato trovando la sua massima espressione in periodi come il nostro.
Lamentazione. L’immobilismo dell’essere umano si sta evolvendo fino a diventare fattore innato trovando la sua massima espressione in periodi come il nostro. Così ci scontriamo, nostro malgrado, con persone che proiettano tutto il loro senso di fallimento all’esterno non facendo altro che attribuire il proprio malessere alla classe dirigente e “stramaledire le donne, il tempo ed il governo”.
Il senso di godimento che si prova nel lamento diviene, molto spesso, fattore di mantenimento di una situazione che paradossalmente è croce e delizia. Esistono diversi tipi di lamentatori militanti, coloro i quali si lamentano di ciò che non hanno, quelli che si lamentano perché hanno poco, quelli che si lamentano a prescindere, quelli che si lamentano se gli altri fanno e/o se gli altri non fanno, quelli che si lamentano perché vorrebbero fare… Il sintomo comune però è che si lamentano sempre da seduti.
È frequente che questi individui si nascondono ed abusano del termine “depressione” per giustificare la loro immobilità, facendo in questo modo torto grave a coloro i quali, purtroppo, hanno realmente avuto la sfortuna di incontrare nella loro tragitto l’oscura signora.
Chiariamoci le idee: la depressione è senza dubbio il male del secolo, la lamentazione una sua pantomima. Beck sostiene che l’eziopatogenesi della depressione si basa essenzialmente su 3 convinzioni che l’individuo che ne è affetto ritiene assolutamente vere:
1. Non ho le capacità di cambiare le cose; 2. Nessuno può aiutarmi; 3. Nulla potrà mai cambiare. Il vissuto emotivo che segue tali convinzioni è drammatico ed è evidente come la prospettiva sia una vita di sofferenza alla quale, purtroppo sempre più frequentemente, si preferisce una soluzione più netta ed immediata.
La differenzia tra il depresso e il lamentatore militante non è ciò che viene verbalizzato, ma come questo viene affrontato. Il depresso infatti lotta continuamente prima di rinunciare e cedere ai suoi pensieri, vuole con tutte le proprie forze confutarli, spesso chiede aiuto nonostante non ci creda e nelle fasi migliori accetta l’altro, crede e spera in esso. Il lamentatore militante invece gode del proprio status, non permette all’altro di entrare ed è molto infastidito se le cose vengono modificate poiché sperimenta il rischio di non potersi lamentare oltre. In aggiunta, il lamentatore militante non gradisce che altri riescano nei progetti poiché diventano la prova del fatto che le cose si modificano lottando, senza contare che il successo altrui sottolinea il proprio fallimento; dunque per dissonanza cognitiva insieme alla lamentazione compare la diffamazione; il pettegolezzo rimette sempre tutto al proprio posto, e così ci troviamo dirigenti seduti su poltrone per meriti di alcova, professionisti poco validi ma raccomandati, colleghi arrivisti e scorretti. In questo modo le ferite narcisistiche vengono ricomposte e finalmente si può tornare a godere del proprio lamento. Citando un uomo illustre: “alzati e cammina!”. ☺
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