Amara italia
3 Dicembre 2014 Share

Amara italia

Mentre sono in Cina, nel tentativo complicato di capire e di fare qualcosa di utile, con un certo masochismo continuo a leggere notizie e informazioni che arrivano dall’Italia: Landini si scusa con Renzi, dopo aver detto cose insensate, D’Alema boccia Renzi, perché si rivolge solo ai ricchi, Renzi dice che la realtà calabrese è un disastro, perché c’è stato il magna-magna, in Calabria e in Emilia-Romagna vi è un astensionismo che fa paura e la Boschi? Afferma che questo voto non è un test per il governo, Salvini continua la sua campagna elettorale, anche ad urne chiuse e si potrebbe continuare a lungo. Ognuna di queste affermazioni meriterebbe un commento politico e insieme una diagnosi dello psicoanalista: sono parole, concetti che riflettono bene lo stato di confusione mentale, di narcisismo e di povertà politica di una classe dirigente che continua ad agitarsi sul Titanic che affonda, senza dare il minimo segno di consapevolezza del dramma italiano. Mi spiace in particolare dell’incidente di Landini che considero persona seria, uno dei pochissimi che conserva legittimità ed empatia con i lavoratori, categoria logica ed espressione lessicale da lungo tempo scomparsa dal vocabolario politico della sinistra di questi ultimi anni e non solo dagli spot pubblicitari del Renzismo. Mi auguro sinceramente che il suo sia stato solo un incidente, perché sindacalisti come lui sono ormai una rarità sia nel mondo sindacale che in quello politico.

Dall’aeroporto di Hong Kong arrivo a Guangzhou una città di 25 milioni di abitanti, uno dei motori economici della nuova Cina. Vi sono 120 chilometri di strada veloce che separano queste due grandi città, in realtà un lungo interminabile ponte costruito in meno di tre anni. Mi viene da buttarmi dalla macchina e da questo ponte infinito, quando penso alle nostre autostrade del Sud che si trascinano da decenni e alla ricostruzione senza tempo del dopo terremoto nei nostri paesi del Molise. Una distruzione senza senso di ricchezza, di tempo e di credibilità, una mangiatoia utile solo a quella classe politico-imprenditoriale e a quella delinquenza organizzata che ha contribuito molto al disastro del nostro Sud.

Esco con un sentimento incerto da un incontro molto partecipato dei giovani italiani in Cina nella nostra ambasciata di Pechino. Incerto, perché mi consola vedere questa Italia fresca, intelligente, alla ricerca di un nuovo mondo e che conserva un forte senso di appartenenza per le nostre terre. Incerto, perché mi sale il magone, quando parlo con loro delle opportunità di lavoro, di sbocchi professionali e di fiducia nel futuro a casa nostra, quando sento nelle loro parole indifferenza, lontananza, se non disprezzo verso la politica, la classe dirigente e le istituzioni della nostra Italia.

Mi sale la rabbia, quando sono costretto a bere solo e soltanto vino francese e quando vedo per le strade cinesi che dall’Europa sono arrivate solo macchine tedesche. La Cina è un paese immenso, pieno di contraddizioni e di opportunità, è una realtà dove una classe dirigente italiana sia politica che imprenditoriale avrebbe dovuto e potuto investire. È una grande occasione sin qui persa, d’altronde Berlusconi che per tanti anni ha deciso del futuro del nostro paese, nel suo delirio puttaniero e affaristico frequentava solo Putin e talvolta Erdogan. I nostri imprenditori senza alcuna lungimiranza e senza alcuna attenzione al bene comune hanno pensato solo agli affari a breve termine e ad esportare clandestinamente nei paradisi fiscali i loro capitali. Vorrei anche liquidare un luogo comune che è poi un’illusione tutta italiana, se non occidentale, ovvero l’idea che la Cina si conquista con la qualità, perché in Cina si producono  solo cineserie. Questa convinzione aveva un certo  fondamento se pensiamo al passato  e resta  valida se ci riferiamo alla moda e al design, ma sono ormai anni che i cinesi investono nella formazione, nelle tecnologie e nella innovazione tecnologica. Non è un caso che i loro studenti primeggiano nelle varie università internazionali e nella selezione per entrare nei master più esclusivi.

In realtà vi è una qualità che per un lungo periodo resterà  una strada aperta, una domanda senza risposta nella Cina: i prodotti e la produzione agro-alimentare, il recupero di un ambiente e di una natura devastata da anni di sviluppo senza regole, la cultura e la bellezza. Sono terreni sui quali l’Italia potrebbe svolgere un ruolo strategico, se non vi fossero le consuete miopie, i mediocri interessi personali e di gruppo a ipotecare strategie e scelte politiche. Ci sono voluti quasi due anni, perché nella regione Molise si riconoscesse l’importanza della clean economy, del contratto di sviluppo in agricoltura, di una nuova produzione agricola biologica. Quanto tempo si dovrà aspettare per passare dalle parole ai fatti? E il Molise non è un esempio solitario.

Per evitare equivoci, una battuta generale sulla vicenda cinese che meriterebbe studi e una conoscenza seria. In Cina del comunismo c’è rimasta solo la bandiera rossa, l’ordine di Confucio e non la democrazia regola la vita sociale e istituzionale, i lavoratori sognano i diritti che noi abbiamo avuto, l’ambiente è un disastro e la corruzione è profonda e diffusa quanto e più di quella che noi conosciamo, ma vi è una differenza fondamentale fra noi e loro: la classe dirigente della Cina non cura solo il suo particulare, i suoi affari di famiglia, ma si occupa anche del destino di quasi un miliardo e mezzo di cittadini cinesi.☺

 

eoc

eoc