andare via   di Cristina Muccilli
8 Marzo 2013 Share

andare via di Cristina Muccilli

 

Li ascolto parlare e li guardo, i due uomini raccontano pacatamente la loro condizione di disoccupati. Hassan, quarantaquattro anni, due figlie alle soglie dell’adolescenza, e Mourad, trentadue, papà da pochi mesi. Storia di ordinaria precarietà dato il periodo, ma per due stranieri il disagio economico, l’angoscia di un presente senza possibilità di riscatto è amplificata alla massima potenza, senza un lavoro dovranno andar via alla scadenza del permesso di soggiorno.

E andar via significa tornare alla condizione da cui avevano tentato di affrancarsi, andar via significa abbandonare il sogno di una casa in Marocco, andar via significa rinunciare all’aiuto che potevano dare alla famiglia di origine, andar via significa interrompere il percorso formativo di due ragazze che comprendono la lingua natale ma non scrivono né leggono l’arabo – Hassan me lo spiega muovendo la mano sul tavolo col pollice e l’indice uniti, orgoglioso di quanto loro siano più brave di lui -. Andar via significa tornare nella propria terra con vergogna per non aver saputo dare vita ad una visione, sconfitti.

Qui si sono trovati bene, sì qualcuno li ha guardati in obliquo, ma loro non se ne sono curati, “Se c’è il lavoro noi stiamo bene”, è una frase che mi ripetono e io li guardo e continuo a domandarmi da dove vengano quello sguardo sereno e quella tranquillità di eloquio. Hanno lavorato per anni per qualcuno che li sfruttava con più ore e un salario più basso rispetto ai dipendenti italiani, hanno perso il lavoro e aspettano ancora il saldo di parecchie mensilità, dovrebbero essere rabbiosi.

Conosco quella limpidezza negli occhi, quella misura di modi appartiene al mio passato. Ne conservo tanti di uomini così nella memoria, erano i nostri padri e zii e amici di famiglia, ormai scomparsi, un patrimonio di umanità dimenticato, esempi di sobrietà, di correttezza, uomini che si spendevano per un lavoro duro, che vivevano la famiglia come fulcro delle loro attenzioni e conservavano sogni nel cuore. Un ricordo per tutti, il papà di Mimmo, una vita tra calce e mattoni, che sale le scale dei Cappuccini, le mani potenti intrecciate sulla schiena e una copia de L'Unità che spunta dalla tasca del vestito buono.

Pensando a loro capisco il presente di Hassan e Mourad e i loro modi, la trasparenza dello sguardo, l'assenza di rabbia non è altro che l'espressione della loro dignità, del valore che danno al proprio lavoro e a quanto spendono di sé, sono querce, sono giganti.

In Italia la materia (e)migrazione è ancora disciplinata da una legge il cui nome è altamente qualificante, Bossi-Fini; in Italia la politica non si spende per braccia e gambe da soma, per i nuovi schiavi; in Italia il diritto di asilo è letargico, in Italia si spendono milioni di euro dei fondi europei destinati all'ospitalità per rendere i migranti abulici precari con patologie psichiche (e devono essere pure grati!); in Italia esiste la vergogna dei CIE (centri di identificazione ed espulsione) che sono ormai una bomba ad orologeria, in Italia dal primo marzo una moltitudine di rifugiati, sarà senza casa e senza cibo, in Italia il primo marzo saremo ancora occupati a discutere sui risultati elettorali.

…e l'Italia giocava alle carte e parlava di calcio nei bar e l'Italia rideva e cantava… (Gaber La presa del potere dei tecnocrati).☺

cristina.muccilli@gmail.com

 

eoc

eoc