Per favore, non mi rimproverate. Oramai è un chiodo fisso. Ne parlo continuamente anche ai miei esausti amici che, forse per bontà, non mi contraddicono. Come qualcuno ricorderà, parlai della mancanza e modalità del saluto su questo giornale alcuni anni fa.
A dire il vero ero convinto, all’epoca, che a pochi giorni dall’uscita del giornale avrei visto il frutto di quel richiamo che feci ai miei concittadini bonefrani. Invece: zero. Eppure la fonte è ben letto! Immaginavo, sciocco, che le persone incontrandosi, si sarebbero salutate con affetto, ad alta voce: ciao Pasquale, ciao Antonio. Avrebbero cercato di anticipare il saluto all’amico o al conoscente. Niente di niente. Allora non mi resta che fare appello specifico alle agenzie educative locali: famiglia, scuola, chiesa. Dopo di che non vedo rimedio. Vuol dire che il problema è a monte.
Quis custodiet custodes? Sia chiaro: questo non è un semplice problema di bon ton, di buona educazione, che già di per sé ha la sua importanza. È un problema di convivenza. È stato accertato (paradosso di Easterlin) che la qualità della vita non dipende solo e tanto dalla economia di una persona o di una comunità, ma anche da altri parametri. Tra questi un elemento importante è rappresentato dalle relazioni sociali. Una comunità in cui le persone si rispettano e si vogliono anche bene vive meglio di una il cui reddito è di molto più alto. Quindi se ci convinciamo di questa necessità, di curare i nostri rapporti, noi tutti vivremo meglio, ci sentiremo una grande famiglia. Altrimenti, e soprattutto da un certo punto in poi, continueremo ad evitarci, ad aspettare che sia l’altro a salutare perché, sciocchi, pensiamo di essere “più importanti”. Ma noi siamo polvere, tutti.
Permettetemi, alla fine, di fare un appunto al genere femminile adulto del posto: non pensiate che salutare o rispondere al saluto sia un’ammissione di disponibilità. Di solito viene inteso solo come segno di buona educazione.
Alessandro Pappalardi
Per favore, non mi rimproverate. Oramai è un chiodo fisso. Ne parlo continuamente anche ai miei esausti amici che, forse per bontà, non mi contraddicono. Come qualcuno ricorderà, parlai della mancanza e modalità del saluto su questo giornale alcuni anni fa.
A dire il vero ero convinto, all’epoca, che a pochi giorni dall’uscita del giornale avrei visto il frutto di quel richiamo che feci ai miei concittadini bonefrani. Invece: zero. Eppure la fonte è ben letto! Immaginavo, sciocco, che le persone incontrandosi, si sarebbero salutate con affetto, ad alta voce: ciao Pasquale, ciao Antonio. Avrebbero cercato di anticipare il saluto all’amico o al conoscente. Niente di niente. Allora non mi resta che fare appello specifico alle agenzie educative locali: famiglia, scuola, chiesa. Dopo di che non vedo rimedio. Vuol dire che il problema è a monte.
Quis custodiet custodes? Sia chiaro: questo non è un semplice problema di bon ton, di buona educazione, che già di per sé ha la sua importanza. È un problema di convivenza. È stato accertato (paradosso di Easterlin) che la qualità della vita non dipende solo e tanto dalla economia di una persona o di una comunità, ma anche da altri parametri. Tra questi un elemento importante è rappresentato dalle relazioni sociali. Una comunità in cui le persone si rispettano e si vogliono anche bene vive meglio di una il cui reddito è di molto più alto. Quindi se ci convinciamo di questa necessità, di curare i nostri rapporti, noi tutti vivremo meglio, ci sentiremo una grande famiglia. Altrimenti, e soprattutto da un certo punto in poi, continueremo ad evitarci, ad aspettare che sia l’altro a salutare perché, sciocchi, pensiamo di essere “più importanti”. Ma noi siamo polvere, tutti.
Permettetemi, alla fine, di fare un appunto al genere femminile adulto del posto: non pensiate che salutare o rispondere al saluto sia un’ammissione di disponibilità. Di solito viene inteso solo come segno di buona educazione.
Per favore, non mi rimproverate. Oramai è un chiodo fisso. Ne parlo continuamente anche ai miei esausti amici che, forse per bontà, non mi contraddicono. Come qualcuno ricorderà, parlai della mancanza e modalità del saluto su questo giornale alcuni anni fa.
Per favore, non mi rimproverate. Oramai è un chiodo fisso. Ne parlo continuamente anche ai miei esausti amici che, forse per bontà, non mi contraddicono. Come qualcuno ricorderà, parlai della mancanza e modalità del saluto su questo giornale alcuni anni fa.
A dire il vero ero convinto, all’epoca, che a pochi giorni dall’uscita del giornale avrei visto il frutto di quel richiamo che feci ai miei concittadini bonefrani. Invece: zero. Eppure la fonte è ben letto! Immaginavo, sciocco, che le persone incontrandosi, si sarebbero salutate con affetto, ad alta voce: ciao Pasquale, ciao Antonio. Avrebbero cercato di anticipare il saluto all’amico o al conoscente. Niente di niente. Allora non mi resta che fare appello specifico alle agenzie educative locali: famiglia, scuola, chiesa. Dopo di che non vedo rimedio. Vuol dire che il problema è a monte.
Quis custodiet custodes? Sia chiaro: questo non è un semplice problema di bon ton, di buona educazione, che già di per sé ha la sua importanza. È un problema di convivenza. È stato accertato (paradosso di Easterlin) che la qualità della vita non dipende solo e tanto dalla economia di una persona o di una comunità, ma anche da altri parametri. Tra questi un elemento importante è rappresentato dalle relazioni sociali. Una comunità in cui le persone si rispettano e si vogliono anche bene vive meglio di una il cui reddito è di molto più alto. Quindi se ci convinciamo di questa necessità, di curare i nostri rapporti, noi tutti vivremo meglio, ci sentiremo una grande famiglia. Altrimenti, e soprattutto da un certo punto in poi, continueremo ad evitarci, ad aspettare che sia l’altro a salutare perché, sciocchi, pensiamo di essere “più importanti”. Ma noi siamo polvere, tutti.
Permettetemi, alla fine, di fare un appunto al genere femminile adulto del posto: non pensiate che salutare o rispondere al saluto sia un’ammissione di disponibilità. Di solito viene inteso solo come segno di buona educazione.
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