Punizione o premio quella che Atena inflisse ad Aracne per aver osato sfidarla nell’arte della tessitura? Specchio di una condizione che si dissolve nell’incerto e nell’illusorio, o tentativo di definire i contorni di una realtà sensibile, quotidiana, che chiama in causa l’agire umano?
Chi era Aracne? Una infaticabile tessitrice lidia, figlia di Idmone, tintore di Colofone. Il mito che la riguarda narra di lei e della smisurata invidia di Atena, quando si accorse che le tele tessute dalla fanciulla superavano di gran lunga quelle ordite dalla stessa dea.
La maestria di Aracne era apprezzata in tutti gli empori della Grecia; da Rodi, Chio, Efeso giungevano lodi ai tessuti della fanciulla di Lidia.
La notizia della sua bravura salì sino all’Olimpo e incuriosì Atena, la grande tessitrice. Gli dei dell’Olimpo, si sa, difficilmente manifestavano ai mortali il loro vero volto, perciò la dea assunse l’aspetto di ancella, di ospite, di vecchia, di mercante, di colomba, per sbirciare, spiare, dare un’occhiatina, non una ma più volte, al lavoro di Aracne. Voleva rendersi conto, Atena, se la fanciulla vivesse sottomessa alla volontà degli dei.
“Questa tua arte è certo un dono degli dei” – ebbe a dirle provocatoriamente un giorno, manifestandosi alla ragazza sotto forma di mercante. La risposta della giovane non si fece attendere: “Io credo che gli dei forniscano la possibilità di dare uno scopo alla vita, ma spetta a ciascuno sviluppare poi i loro doni per risultare bravo in questo o in quello”.
Il vario intrecciarsi sul telaio dei fili orizzontali e verticali componeva disegni di complicata e aggrovigliata struttura, ricchi di colori, di fondi e di rilievi.
Atena comprese immediatamente che Aracne non era solo un’artista, ma anche una donna pensante, che si era fatta una ragione del proprio operato, che sapeva renderne conto. La sicurezza di questa fanciulla rischiava di mettere in dubbio il suo primato. Per questo decise di sfidare apertamente Aracne: entrambe avrebbero intessuto un arazzo, per sottoporlo al giudizio insindacabile degli dei dell’Olimpo.
Atena raffigurò nel suo lavoro la sorte dei mortali che avevano osato disobbedire e sfidare gli dei, Aracne, dal canto suo, ricamò il comportamento scandaloso degli dei: stupri e violenze nei confronti di donne, compiuti per lo più sotto mentite spoglie.
Ex aequo fu il verdetto degli dei. Ma Atena, furibonda, prima lacerò la tela della sua avversaria; non contenta, trasformò la fanciulla in un ragno, costretto a filare per sempre la sua inconsistente tela, ricamo senza colore.
Due suggestioni sembra offrire questo mito: la descrizione di un evento tragico riassumibile nella distruzione di chi aveva fatto del lavoro creativo lo scopo della sua vita e insieme la riaffermazione della vita, sia pure sotto nuove spoglie.
Capita sempre così. Chi ha qualcosa da nascondere, grida più forte; chi non ha verità da proporre, contrabbanda il falso e ne annuncia la merce con tracotanza e in piazza.
La verità è più pudica. La menzogna ha invece bisogno di belletto per camuffare la propria falsità.
E la macchina del potere si rivela perfetta quando deve raggiungere i propri scopi; non importa quanto costa il successo in vite umane o in coscienze, in lacrime o dolori. Atena, simbolo del potere costituito, non esita a sbarazzarsi della sua rivale.
Ma la metamorfosi offre sorprendentemente anche una possibilità di riscatto, suggerendo che nulla viene annullato, tutto sopravvive e si riproduce; in natura ciò che importa è la continuità.
È dunque possibile fuggire dalla condanna della falsità imperante e della imposizione schiavizzante: ricercando caparbiamente la forza di andare controcorrente, di intrecciare tenacemente i fili dell’ordito e della trama, per ricomporre un disegno in cui i fili siano trasformati in storia e non annullati in essa.
Aracne allora diventa simbolo di autonome attività produttive e creative; e ciò che di lei rimane è la qualità della determinazione, della tenacia, solo apparentemente nascosta nella diafana ragnatela di un insetto.
Il castigo si tramuta paradossalmente in premio. ☺
annama.mastropietro@tiscali.it
Punizione o premio quella che Atena inflisse ad Aracne per aver osato sfidarla nell’arte della tessitura? Specchio di una condizione che si dissolve nell’incerto e nell’illusorio, o tentativo di definire i contorni di una realtà sensibile, quotidiana, che chiama in causa l’agire umano?
Chi era Aracne? Una infaticabile tessitrice lidia, figlia di Idmone, tintore di Colofone. Il mito che la riguarda narra di lei e della smisurata invidia di Atena, quando si accorse che le tele tessute dalla fanciulla superavano di gran lunga quelle ordite dalla stessa dea.
La maestria di Aracne era apprezzata in tutti gli empori della Grecia; da Rodi, Chio, Efeso giungevano lodi ai tessuti della fanciulla di Lidia.
La notizia della sua bravura salì sino all’Olimpo e incuriosì Atena, la grande tessitrice. Gli dei dell’Olimpo, si sa, difficilmente manifestavano ai mortali il loro vero volto, perciò la dea assunse l’aspetto di ancella, di ospite, di vecchia, di mercante, di colomba, per sbirciare, spiare, dare un’occhiatina, non una ma più volte, al lavoro di Aracne. Voleva rendersi conto, Atena, se la fanciulla vivesse sottomessa alla volontà degli dei.
“Questa tua arte è certo un dono degli dei” – ebbe a dirle provocatoriamente un giorno, manifestandosi alla ragazza sotto forma di mercante. La risposta della giovane non si fece attendere: “Io credo che gli dei forniscano la possibilità di dare uno scopo alla vita, ma spetta a ciascuno sviluppare poi i loro doni per risultare bravo in questo o in quello”.
Il vario intrecciarsi sul telaio dei fili orizzontali e verticali componeva disegni di complicata e aggrovigliata struttura, ricchi di colori, di fondi e di rilievi.
Atena comprese immediatamente che Aracne non era solo un’artista, ma anche una donna pensante, che si era fatta una ragione del proprio operato, che sapeva renderne conto. La sicurezza di questa fanciulla rischiava di mettere in dubbio il suo primato. Per questo decise di sfidare apertamente Aracne: entrambe avrebbero intessuto un arazzo, per sottoporlo al giudizio insindacabile degli dei dell’Olimpo.
Atena raffigurò nel suo lavoro la sorte dei mortali che avevano osato disobbedire e sfidare gli dei, Aracne, dal canto suo, ricamò il comportamento scandaloso degli dei: stupri e violenze nei confronti di donne, compiuti per lo più sotto mentite spoglie.
Ex aequo fu il verdetto degli dei. Ma Atena, furibonda, prima lacerò la tela della sua avversaria; non contenta, trasformò la fanciulla in un ragno, costretto a filare per sempre la sua inconsistente tela, ricamo senza colore.
Due suggestioni sembra offrire questo mito: la descrizione di un evento tragico riassumibile nella distruzione di chi aveva fatto del lavoro creativo lo scopo della sua vita e insieme la riaffermazione della vita, sia pure sotto nuove spoglie.
Capita sempre così. Chi ha qualcosa da nascondere, grida più forte; chi non ha verità da proporre, contrabbanda il falso e ne annuncia la merce con tracotanza e in piazza.
La verità è più pudica. La menzogna ha invece bisogno di belletto per camuffare la propria falsità.
E la macchina del potere si rivela perfetta quando deve raggiungere i propri scopi; non importa quanto costa il successo in vite umane o in coscienze, in lacrime o dolori. Atena, simbolo del potere costituito, non esita a sbarazzarsi della sua rivale.
Ma la metamorfosi offre sorprendentemente anche una possibilità di riscatto, suggerendo che nulla viene annullato, tutto sopravvive e si riproduce; in natura ciò che importa è la continuità.
È dunque possibile fuggire dalla condanna della falsità imperante e della imposizione schiavizzante: ricercando caparbiamente la forza di andare controcorrente, di intrecciare tenacemente i fili dell’ordito e della trama, per ricomporre un disegno in cui i fili siano trasformati in storia e non annullati in essa.
Aracne allora diventa simbolo di autonome attività produttive e creative; e ciò che di lei rimane è la qualità della determinazione, della tenacia, solo apparentemente nascosta nella diafana ragnatela di un insetto.
Il castigo si tramuta paradossalmente in premio. ☺
Punizione o premio quella che Atena inflisse ad Aracne per aver osato sfidarla nell’arte della tessitura? Specchio di una condizione che si dissolve nell’incerto e nell’illusorio, o tentativo di definire i contorni di una realtà sensibile, quotidiana, che chiama in causa l’agire umano?
Chi era Aracne? Una infaticabile tessitrice lidia, figlia di Idmone, tintore di Colofone. Il mito che la riguarda narra di lei e della smisurata invidia di Atena, quando si accorse che le tele tessute dalla fanciulla superavano di gran lunga quelle ordite dalla stessa dea.
La maestria di Aracne era apprezzata in tutti gli empori della Grecia; da Rodi, Chio, Efeso giungevano lodi ai tessuti della fanciulla di Lidia.
La notizia della sua bravura salì sino all’Olimpo e incuriosì Atena, la grande tessitrice. Gli dei dell’Olimpo, si sa, difficilmente manifestavano ai mortali il loro vero volto, perciò la dea assunse l’aspetto di ancella, di ospite, di vecchia, di mercante, di colomba, per sbirciare, spiare, dare un’occhiatina, non una ma più volte, al lavoro di Aracne. Voleva rendersi conto, Atena, se la fanciulla vivesse sottomessa alla volontà degli dei.
“Questa tua arte è certo un dono degli dei” – ebbe a dirle provocatoriamente un giorno, manifestandosi alla ragazza sotto forma di mercante. La risposta della giovane non si fece attendere: “Io credo che gli dei forniscano la possibilità di dare uno scopo alla vita, ma spetta a ciascuno sviluppare poi i loro doni per risultare bravo in questo o in quello”.
Il vario intrecciarsi sul telaio dei fili orizzontali e verticali componeva disegni di complicata e aggrovigliata struttura, ricchi di colori, di fondi e di rilievi.
Atena comprese immediatamente che Aracne non era solo un’artista, ma anche una donna pensante, che si era fatta una ragione del proprio operato, che sapeva renderne conto. La sicurezza di questa fanciulla rischiava di mettere in dubbio il suo primato. Per questo decise di sfidare apertamente Aracne: entrambe avrebbero intessuto un arazzo, per sottoporlo al giudizio insindacabile degli dei dell’Olimpo.
Atena raffigurò nel suo lavoro la sorte dei mortali che avevano osato disobbedire e sfidare gli dei, Aracne, dal canto suo, ricamò il comportamento scandaloso degli dei: stupri e violenze nei confronti di donne, compiuti per lo più sotto mentite spoglie.
Ex aequo fu il verdetto degli dei. Ma Atena, furibonda, prima lacerò la tela della sua avversaria; non contenta, trasformò la fanciulla in un ragno, costretto a filare per sempre la sua inconsistente tela, ricamo senza colore.
Due suggestioni sembra offrire questo mito: la descrizione di un evento tragico riassumibile nella distruzione di chi aveva fatto del lavoro creativo lo scopo della sua vita e insieme la riaffermazione della vita, sia pure sotto nuove spoglie.
Capita sempre così. Chi ha qualcosa da nascondere, grida più forte; chi non ha verità da proporre, contrabbanda il falso e ne annuncia la merce con tracotanza e in piazza.
La verità è più pudica. La menzogna ha invece bisogno di belletto per camuffare la propria falsità.
E la macchina del potere si rivela perfetta quando deve raggiungere i propri scopi; non importa quanto costa il successo in vite umane o in coscienze, in lacrime o dolori. Atena, simbolo del potere costituito, non esita a sbarazzarsi della sua rivale.
Ma la metamorfosi offre sorprendentemente anche una possibilità di riscatto, suggerendo che nulla viene annullato, tutto sopravvive e si riproduce; in natura ciò che importa è la continuità.
È dunque possibile fuggire dalla condanna della falsità imperante e della imposizione schiavizzante: ricercando caparbiamente la forza di andare controcorrente, di intrecciare tenacemente i fili dell’ordito e della trama, per ricomporre un disegno in cui i fili siano trasformati in storia e non annullati in essa.
Aracne allora diventa simbolo di autonome attività produttive e creative; e ciò che di lei rimane è la qualità della determinazione, della tenacia, solo apparentemente nascosta nella diafana ragnatela di un insetto.
Il castigo si tramuta paradossalmente in premio. ☺
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