attenzione privilegiata di Dario Carlone | La Fonte TV
Stress: non c’è parola più onnicomprensiva e internazionale di questa!
La si sente utilizzare in qualsiasi circostanza, ricorrendovi a volte anche in maniera poco pertinente perché è un vocabolo che suggerisce “rapidamente” il quadro tutt’altro che confortante di una condizione psicofisica che necessiterebbe di ben più articolata trattazione. “Semplice, senza particolari regole di pronuncia, secca come una frustata” (G. Nascimbeni), il “suono” di poche sillabe fornisce un ritratto preciso, consente di raffigurarci una situazione, di valutare atteggiamenti ed espressioni di chi ne è affetto.
Il termine anglofono, sostantivo e verbo, rimanda soprattutto al significato prevalente di “pressione, spinta o tensione”, applicato all’ambito della psicologia. Le origini del vocabolo, individuate nel latino strictus, participio passato del verbo stringere che traduce l’italiano “tenere stretto, co-stringere”, chiariscono come l’azione di sottoporre a sforzo qualcosa (o qualcuno) abbia come obiettivo quello di apportare modifiche, il più delle volte in senso negativo. Per diversi secoli l’uso del termine non ha riguardato la sfera psicologica, cominciando ad essere usato in campo medico solo a metà del secolo scorso.
È stato il professor Hans Selye, austriaco emigrato in Canada, ad indagare le cause dell’affaticamento psicofisico, e a formulare, diversi decenni fa, la ormai nota teoria dello stress: la tensione cui circostanze, impegni , doveri o problemi sottopongono una persona fanno scattare una “complessa reazione” dell’organismo di fronte a tali stimoli esterni. La reazione consiste, secondo gli esperti, in un adattamento che causa comportamenti diversificati, che variano da persona a persona, e che spesso si traducono in sofferenza, preoccupazione, inquietudine.
Nella nostra lingua, poi, sono stati creati neologismi derivanti dal vocabolo inglese, tutti nell’accezione medico-psicologica: tra i più noti “stressato/a” per indicare colui o colei sottoposto alla sindrome, “stressante” se ci si riferisce a qualcosa (o qualcuno) che provoca l’alterazione dell’equilibrio emotivo.
Ma i parlanti anglofoni intendono con stress anche altro! Prevalendo l’area semantica del termine afferente l’ambito della salute, si tralasciano altri, non meno importanti, significati del vocabolo. Stress è l’accento tonico, che regola la pronuncia delle parole. Porre in rilievo, di un problema, un elemento, “enfatizzare”, è per gli inglesi stress!
“Attenzione privilegiata” è la lettura che vorrei suggerire per il termine stress.
Quante volte, di fronte a ciò che accade intorno a noi ci accontentiamo del consueto, accogliamo acriticamente valutazioni e giudizi approssimativi, prestiamo ascolto a quanto grossolanamente viene spacciato per interpretazione autentica di un evento o di un problema? E lasciamo correre, preoccupandoci semplicemente di conservare quelli che consideriamo i nostri privilegi?
Questo diventa un modo con cui contribuiamo a farci sopraffare dallo stress di un mondo e di una società che ha perso di vista i temi essenziali, i punti di riferimento intorno ai quali “ri-costruirsi” e “ri-cominciare”: mettere in rilievo, evidenziare, porre nella dovuta attenzione è ciò che spesso ci sta venendo a mancare. Costretti tutti ad un ormai tacito e vuoto adattamento, dimentichiamo di dare il giusto peso a quelli che sono gli elementi basilari della nostra vita di relazione, individuale e collettiva.
La tentazione di rendere uniforme la realtà che ci circonda può condurre ad una lettura del mondo acritica e superficiale, che tende all’omologazione, alla disaffezione. È necessario invece porre l’accento su ingiustizie, disagio, sfiducia nel domani per ribaltare la situazione stantia che ci sovrasta e che sembra avere annullato qualsiasi forma di reazione.
Don Lorenzo Milani ci invitava a “porre attenzione” con il suo “I care” [pronuncia: ai-chèr]. A distanza di decenni è ancora il suo appello a richiamarci alla “voglia di contare, di farlo assieme ad altri, di prendersi delle responsabilità. È una disponibilità preziosa, da non disperdere e anzi da coltivare negli anni duri che ci stanno davanti, in cui è fortissimo il rischio che le disuguaglianze aumentino e lo spazio della solidarietà venga ridotto” (Chiara Saraceno, Cittadini a metà).☺
dario.carlone@tiscali.it
Stress: non c’è parola più onnicomprensiva e internazionale di questa!
La si sente utilizzare in qualsiasi circostanza, ricorrendovi a volte anche in maniera poco pertinente perché è un vocabolo che suggerisce “rapidamente” il quadro tutt’altro che confortante di una condizione psicofisica che necessiterebbe di ben più articolata trattazione. “Semplice, senza particolari regole di pronuncia, secca come una frustata” (G. Nascimbeni), il “suono” di poche sillabe fornisce un ritratto preciso, consente di raffigurarci una situazione, di valutare atteggiamenti ed espressioni di chi ne è affetto.
Il termine anglofono, sostantivo e verbo, rimanda soprattutto al significato prevalente di “pressione, spinta o tensione”, applicato all’ambito della psicologia. Le origini del vocabolo, individuate nel latino strictus, participio passato del verbo stringere che traduce l’italiano “tenere stretto, co-stringere”, chiariscono come l’azione di sottoporre a sforzo qualcosa (o qualcuno) abbia come obiettivo quello di apportare modifiche, il più delle volte in senso negativo. Per diversi secoli l’uso del termine non ha riguardato la sfera psicologica, cominciando ad essere usato in campo medico solo a metà del secolo scorso.
È stato il professor Hans Selye, austriaco emigrato in Canada, ad indagare le cause dell’affaticamento psicofisico, e a formulare, diversi decenni fa, la ormai nota teoria dello stress: la tensione cui circostanze, impegni , doveri o problemi sottopongono una persona fanno scattare una “complessa reazione” dell’organismo di fronte a tali stimoli esterni. La reazione consiste, secondo gli esperti, in un adattamento che causa comportamenti diversificati, che variano da persona a persona, e che spesso si traducono in sofferenza, preoccupazione, inquietudine.
Nella nostra lingua, poi, sono stati creati neologismi derivanti dal vocabolo inglese, tutti nell’accezione medico-psicologica: tra i più noti “stressato/a” per indicare colui o colei sottoposto alla sindrome, “stressante” se ci si riferisce a qualcosa (o qualcuno) che provoca l’alterazione dell’equilibrio emotivo.
Ma i parlanti anglofoni intendono con stress anche altro! Prevalendo l’area semantica del termine afferente l’ambito della salute, si tralasciano altri, non meno importanti, significati del vocabolo. Stress è l’accento tonico, che regola la pronuncia delle parole. Porre in rilievo, di un problema, un elemento, “enfatizzare”, è per gli inglesi stress!
“Attenzione privilegiata” è la lettura che vorrei suggerire per il termine stress.
Quante volte, di fronte a ciò che accade intorno a noi ci accontentiamo del consueto, accogliamo acriticamente valutazioni e giudizi approssimativi, prestiamo ascolto a quanto grossolanamente viene spacciato per interpretazione autentica di un evento o di un problema? E lasciamo correre, preoccupandoci semplicemente di conservare quelli che consideriamo i nostri privilegi?
Questo diventa un modo con cui contribuiamo a farci sopraffare dallo stress di un mondo e di una società che ha perso di vista i temi essenziali, i punti di riferimento intorno ai quali “ri-costruirsi” e “ri-cominciare”: mettere in rilievo, evidenziare, porre nella dovuta attenzione è ciò che spesso ci sta venendo a mancare. Costretti tutti ad un ormai tacito e vuoto adattamento, dimentichiamo di dare il giusto peso a quelli che sono gli elementi basilari della nostra vita di relazione, individuale e collettiva.
La tentazione di rendere uniforme la realtà che ci circonda può condurre ad una lettura del mondo acritica e superficiale, che tende all’omologazione, alla disaffezione. È necessario invece porre l’accento su ingiustizie, disagio, sfiducia nel domani per ribaltare la situazione stantia che ci sovrasta e che sembra avere annullato qualsiasi forma di reazione.
Don Lorenzo Milani ci invitava a “porre attenzione” con il suo “I care” [pronuncia: ai-chèr]. A distanza di decenni è ancora il suo appello a richiamarci alla “voglia di contare, di farlo assieme ad altri, di prendersi delle responsabilità. È una disponibilità preziosa, da non disperdere e anzi da coltivare negli anni duri che ci stanno davanti, in cui è fortissimo il rischio che le disuguaglianze aumentino e lo spazio della solidarietà venga ridotto” (Chiara Saraceno, Cittadini a metà).☺
Stress: non c’è parola più onnicomprensiva e internazionale di questa!
La si sente utilizzare in qualsiasi circostanza, ricorrendovi a volte anche in maniera poco pertinente perché è un vocabolo che suggerisce “rapidamente” il quadro tutt’altro che confortante di una condizione psicofisica che necessiterebbe di ben più articolata trattazione. “Semplice, senza particolari regole di pronuncia, secca come una frustata” (G. Nascimbeni), il “suono” di poche sillabe fornisce un ritratto preciso, consente di raffigurarci una situazione, di valutare atteggiamenti ed espressioni di chi ne è affetto.
Il termine anglofono, sostantivo e verbo, rimanda soprattutto al significato prevalente di “pressione, spinta o tensione”, applicato all’ambito della psicologia. Le origini del vocabolo, individuate nel latino strictus, participio passato del verbo stringere che traduce l’italiano “tenere stretto, co-stringere”, chiariscono come l’azione di sottoporre a sforzo qualcosa (o qualcuno) abbia come obiettivo quello di apportare modifiche, il più delle volte in senso negativo. Per diversi secoli l’uso del termine non ha riguardato la sfera psicologica, cominciando ad essere usato in campo medico solo a metà del secolo scorso.
È stato il professor Hans Selye, austriaco emigrato in Canada, ad indagare le cause dell’affaticamento psicofisico, e a formulare, diversi decenni fa, la ormai nota teoria dello stress: la tensione cui circostanze, impegni , doveri o problemi sottopongono una persona fanno scattare una “complessa reazione” dell’organismo di fronte a tali stimoli esterni. La reazione consiste, secondo gli esperti, in un adattamento che causa comportamenti diversificati, che variano da persona a persona, e che spesso si traducono in sofferenza, preoccupazione, inquietudine.
Nella nostra lingua, poi, sono stati creati neologismi derivanti dal vocabolo inglese, tutti nell’accezione medico-psicologica: tra i più noti “stressato/a” per indicare colui o colei sottoposto alla sindrome, “stressante” se ci si riferisce a qualcosa (o qualcuno) che provoca l’alterazione dell’equilibrio emotivo.
Ma i parlanti anglofoni intendono con stress anche altro! Prevalendo l’area semantica del termine afferente l’ambito della salute, si tralasciano altri, non meno importanti, significati del vocabolo. Stress è l’accento tonico, che regola la pronuncia delle parole. Porre in rilievo, di un problema, un elemento, “enfatizzare”, è per gli inglesi stress!
“Attenzione privilegiata” è la lettura che vorrei suggerire per il termine stress.
Quante volte, di fronte a ciò che accade intorno a noi ci accontentiamo del consueto, accogliamo acriticamente valutazioni e giudizi approssimativi, prestiamo ascolto a quanto grossolanamente viene spacciato per interpretazione autentica di un evento o di un problema? E lasciamo correre, preoccupandoci semplicemente di conservare quelli che consideriamo i nostri privilegi?
Questo diventa un modo con cui contribuiamo a farci sopraffare dallo stress di un mondo e di una società che ha perso di vista i temi essenziali, i punti di riferimento intorno ai quali “ri-costruirsi” e “ri-cominciare”: mettere in rilievo, evidenziare, porre nella dovuta attenzione è ciò che spesso ci sta venendo a mancare. Costretti tutti ad un ormai tacito e vuoto adattamento, dimentichiamo di dare il giusto peso a quelli che sono gli elementi basilari della nostra vita di relazione, individuale e collettiva.
La tentazione di rendere uniforme la realtà che ci circonda può condurre ad una lettura del mondo acritica e superficiale, che tende all’omologazione, alla disaffezione. È necessario invece porre l’accento su ingiustizie, disagio, sfiducia nel domani per ribaltare la situazione stantia che ci sovrasta e che sembra avere annullato qualsiasi forma di reazione.
Don Lorenzo Milani ci invitava a “porre attenzione” con il suo “I care” [pronuncia: ai-chèr]. A distanza di decenni è ancora il suo appello a richiamarci alla “voglia di contare, di farlo assieme ad altri, di prendersi delle responsabilità. È una disponibilità preziosa, da non disperdere e anzi da coltivare negli anni duri che ci stanno davanti, in cui è fortissimo il rischio che le disuguaglianze aumentino e lo spazio della solidarietà venga ridotto” (Chiara Saraceno, Cittadini a metà).☺
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